L’economia dell’area euro ha registrato una crescita minima nel secondo trimestre del 2025, mentre gli Stati Uniti hanno mostrato un netto “rimbalzo” nello stesso periodo. Eurostat ha reso noto il 30 luglio che il Pil dell’eurozona, corretto per fattori stagionali, è aumentato dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente, mentre la produzione nell’intera Unione europea a ventisette membri è salita dello 0,2 per cento. Entrambi i valori indicano un forte rallentamento rispetto al primo trimestre, quando la crescita aveva raggiunto lo 0,6 per cento e lo 0,5 per cento, rispettivamente. Tra le principali economie, la Spagna si è distinta con un incremento dello 0,7 per cento, seguita dalla Francia allo 0,3 per cento. Germania e Italia hanno invece subito una contrazione dello 0,1 per cento.
Negli Stati Uniti, invece, il Bureau of Economic Analysis ha riferito che il Pil è salito al 3 per cento su base annua tra aprile e giugno, invertendo la contrazione dello 0,5 per cento del primo trimestre e superando le attese degli economisti, che erano del 2,4 per cento. Il recupero è stato trainato da un calo del 30 per cento delle importazioni e da un aumento dell’1,4 per cento dei consumi.
Stati Uniti e Unione Europea hanno di recente siglato un accordo commerciale che introduce dazi del 15 per cento sulle importazioni negli Stati Uniti provenienti dall’Ue. Definire l’impatto dell’accordi sui dazi sull’Europa (e sull’Italia) è ancora obiettivamente prematuro, anche perché la macro-intesa raggiunta da Donald Trump e Ursula von der Leyen deve ancora essere calata nel concreto e recepita dai singoli Stati membri dell’Ue i quali – nonostante Bruxelles abbia il “monopolio” della contrattazione a livello di commercio internazionale – possono attuare gli accordi in modo sensibilmente diverso gli uni dagli altri, anche in coerenza con le forti diversità che le singole economie delle nazioni europee hanno tra di loro.
Nel frattempo, il Fondo monetario internazionale martedì ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per l’intero anno nell’area euro, citando un’attività del primo trimestre superiore alle attese, dovuta principalmente a un’impennata delle esportazioni farmaceutiche irlandesi, ma la domanda complessiva nell’eurozona resta contenuta e permangono rischi legati ai dazi e alle tensioni di bilancio. Nell’aggiornamento di luglio del World Economic Outlook, l’Fmi ha stimato che il Pil dell’area euro crescerà dell’1 per cento nel 2025 e dell’1,2 per cento nel 2026, con un miglioramento di 0,2 punti percentuali per il 2025 rispetto alle proiezioni di aprile. La revisione riflette ciò che il fondo ha definito un balzo «storicamente elevato» nelle esportazioni farmaceutiche irlandesi verso gli Stati Uniti, a seguito di anticipazioni commerciali e nuove strutture produttive. Senza il contributo dell’Irlanda, l’aggiornamento per l’area euro sarebbe stato di soli 0,1 punti.
Il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’inflazione nell’area euro resti moderata rispetto agli Stati Uniti, favorita dall’apprezzamento della valuta e da misure fiscali temporanee. Per l’intera Ue, la crescita è prevista all’1,3 per cento nel 2025 e all’1,4 per cento nel 2026, sostanzialmente invariata rispetto ad aprile. In una recente dichiarazione al termine della consultazione annuale con l’area euro, l’Fmi ha sottolineato che l’Ue sta affrontando problemi strutturali che limitano le prospettive a medio termine e ha esortato i governi a ricostituire riserve fiscali, a salvaguardare l’indipendenza delle banche centrali e a promuovere riforme per stimolare la produttività. Questi, secondo l’Fmi, i rimedi per rimettere in sesto le economie europee. «I rischi per la crescita sono orientati al ribasso» ha poi detto l’Fmi, citando genericamente possibili escalation dei dazi, tensioni geopolitiche e pressioni di bilancio che potrebbero oscurare i benefici di eventuali allentamenti fiscali inattesi.
Il Fondo Monetario ha anche rivisto al rialzo le previsioni di crescita per gli Stati Uniti, all’1,9 per cento nel 2025 e al 2 per cento nel 2026, grazie a dazi inferiori alle attese, a un dollaro più debole e a incentivi agli investimenti da parte delle imprese previsti dal “One Big Beautiful Bill”, la mega-legge di bilancio approvata dal Parlamento per attuare il programma politico-economico del presidente Trump.
A livello mondiale, infine, l’Fmi ha innalzato la stima di crescita per il 2025 al 3 per cento dal 2,8 per cento di aprile, pur avvertendo che elevate barriere commerciali e shock geopolitici rappresentano ancora rischi significativi. Niente di nuovo insomma: cose come i dazi e le tensioni geopolitiche sono sempre esistite, da che mondo è mondo.