Tra America e regime cinese la guerra è anche informatica

di Redazione ETI/Dorothy Li
26 Aprile 2025 16:16 Aggiornato: 26 Aprile 2025 16:16

Le relazioni tra Stati Uniti e Cina sembrano attraversare una nuova fase di attrito, in cui la sicurezza informatica si intreccia con le dinamiche economiche e commerciali. Mentre si acuisce la competizione tra le due potenze, Pechino accusa l’intelligence statunitense di aver lanciato attacchi informatici contro infrastrutture critiche sul proprio territorio, sollevando interrogativi sulle finalità e sul contesto di tali dichiarazioni.

Secondo quanto riportato dall’agenzia Xinhua, le autorità cinesi avrebbero identificato la National Security Agency come responsabile degli attacchi avvenuti durante i Giochi Asiatici Invernali dello scorso febbraio a Harbin, capoluogo della provincia di Heilongjiang. Gli esperti informatici cinesi sostengono di aver rintracciato software riconducibili all’agenzia statunitense all’interno di sistemi chiave della regione, come riportato anche sul sito del ministero della Pubblica Sicurezza cinese.

Le autorità cinesi hanno anche indicato tre presunti agenti dell’agenzia – Katheryn A. Wilson, Robert J. Snelling e Stephen W. Johnson – come responsabili di attacchi contro obiettivi cinesi, tra cui il colosso delle telecomunicazioni Huawei, senza però fornire dettagli concreti o prove pubbliche. Le forze dell’ordine hanno incoraggiato la popolazione a fornire informazioni utili, offrendo ricompense. Le autorità cinesi sostengono inoltre che due università statunitensi – l’Università della California e il Virginia Tech – sarebbero implicate negli attacchi, senza fornire prove a sostegno.

Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno respinto le accuse, sottolineando invece la minaccia rappresentata dalle attività informatiche cinesi. Un portavoce del ministero degli Esteri ha dichiarato che la Cina «continua a prendere di mira gli Stati Uniti» attraverso attacchi informatici, «pervasivi e irresponsabili» e che devono cessare le intrusioni nelle infrastrutture critiche statunitensi.

Oltre agli aspetti legati alla cybersicurezza, l’accusa cinese sembra riflettere una dinamica più ampia. L’attuale fase del confronto Usa-Cina è infatti segnata da un irrigidimento delle politiche commerciali. Pechino ha risposto all’aumento dei dazi da parte degli Stati Uniti con misure analoghe, inasprendo i controlli sulle esportazioni delle risorse strategiche, inserendo aziende americane in liste nere e scoraggiando i viaggi verso gli Stati Uniti. Il 9 aprile, il ministero della Cultura e del Turismo cinese ha invitato i cittadini a considerare i rischi di un viaggio negli Usa. Tre giorni dopo, l’Amministrazione nazionale del cinema ha annunciato nuove restrizioni sull’importazione di film hollywoodiani.

In questo contesto, secondo alcuni analisti, la denuncia pubblica del regime cinese può essere letta come una reazione strategica. Yeh Yao-Yuan, docente all’Università di St. Thomas, osserva che la mossa cinese si inserisce in un’escalation del conflitto cibernetico e si accompagna a un più generale processo di disaccoppiamento economico. A suo giudizio, le relazioni tra i due Paesi stanno assumendo contorni sempre più simili a quelli della prima guerra fredda, spingendo anche altri Stati a ridefinire le proprie posizioni.

Secondo la scrittrice e attivista per i diritti umani, Sheng Xue, le recenti accuse di Pechino si inseriscono in una più ampia strategia di propaganda. Con l’economia in difficoltà e i dazi statunitensi che superano il 100%, il governo cinese, secondo Sheng, cerca di mostrarsi come una potenza in grado di reagire. La creazione di un «nemico esterno» servirebbe a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi interni, alimentando al contempo il sentimento antiamericano.

Nel frattempo, a Washington, si intensificano le preoccupazioni per le attività informatiche riconducibili al Partito comunista cinese. A marzo, l’amministrazione Trump ha annunciato sanzioni contro una dozzina di cittadini cinesi, tra cui due funzionari del ministero della Pubblica Sicurezza, per il loro presunto coinvolgimento in una campagna di attacchi informatici durata anni e rivolta contro agenzie governative statunitensi e gruppi critici nei confronti del regime.

Tra gli obiettivi figuravano anche i ministeri degli Esteri di alcuni Paesi asiatici, tra cui Taiwan, India e Corea del Sud. A gennaio, le autorità statunitensi avevano già imposto sanzioni a un’entità cinese e a un cittadino cinese per i loro legami con l’organizzazione di hacker Salt Typhoon, responsabile di attacchi contro il ministero del Tesoro e importanti società di telecomunicazioni statunitensi.

Il 5 marzo, la Commissione della Camera dei Rappresentanti che si occupa delle relazioni con il Pcc ha tenuto un’audizione per discutere strategie volte a rafforzare le difese informatiche statunitensi. «Il Pcc ha preso di mira le reti che alimentano le nostre case, gli impianti che trattano l’acqua e gli ospedali che si prendono cura di noi», ha dichiarato il deputato John Moolenaar, presidente della Commissione. «Non si tratta solo di una minaccia informatica, ma di una strategia più ampia per minare lo stile di vita americano».

Mentre le accuse si moltiplicano da entrambe le parti, il quadro generale mostra una crescente polarizzazione. Le sfide si moltiplicano non solo sul piano tecnologico, ma anche economico e geopolitico. E nel mezzo, la comunità internazionale osserva con attenzione un confronto che potrebbe ridefinire gli equilibri dell’intero ordine mondiale.

 

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