Pil made in China. Ci si può fidare?

13 Agosto 2015 19:30 Aggiornato: 28 Gennaio 2025 11:10

Con una battuta, si potrebbe dire che – almeno in un campo – i cinesi siano imbattibili: la contraffazione. Finché si tratta di magliette e orologi il danno è di relativa gravità. Ma quando nasce il dubbio che non sia veritiero anche il dato fondamentale dell’economia, il prodotto interno lordo, c’è davvero di che essere molto preoccupati.

Il dato sul Pil cinese è falso? Si può dire che ci siano diversi indizi a metterlo fortemente in dubbio. Due fra molti, sono le previsioni ‘da sfera di cristallo’ del governo cinese (fatto inaudito per un dato statistico come il prodotto interno lordo) e i consumi complessivi di energia elettrica. Il primo: a fine 2014 il Partito prevede per il 2015 una crescita del 7 per cento su base annua e, sia il primo che il secondo trimestre 2015, fanno registrare una crescita esattamente del 7 per cento. Al limite della preveggenza.

Il secondo è un indizio non statistico ma concreto, ‘fisico’: la crescita del Pil normalmente è strettamente correlata a un aumento dei consumi elettrici. Non è un caso, infatti, che la produzione di energia elettrica sia un elemento basilare di ogni economia: nell’industria pesante (settori siderurgico e petrolchimco) l’elettricità rappresenta un fattore produttivo imprescindibile e di larghissimo impiego. A questo vanno sommati poi i crescenti consumi di elettricità di tutti gli altri settori produttivi e delle famiglie (che in una nazione con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti non sono poche).

Ma in Cina ultimamente questa correlazione è venuta a mancare: il Pil cresce molto, mentre il consumo di elettricità cresce poco: secondo i dati ufficiali, nel 2014 il Pil cinese è aumentato del 7,3 per cento, mentre il consumo di elettricità del 3,8 per cento. Nei primi sei mesi del 2015 (il periodo ‘incriminato’, appunto) al 7 per cento di Pil corrisponderebbe poi un aumento del consumo di elettricità del 1,2 per cento. Decisamente poco.

D’altra parte il calcolo del Pil non è affatto qualcosa di facile: essendo un numero indice derivato da complessi calcoli statistici, presenta tutte le difficoltà (e i punti deboli) di un dato non reale ma stimato. Per ragioni che qui sarebbe troppo lungo e complesso spiegare, il Pil è un dato che, nel migliore dei casi, più che vero in senso stretto è veritiero. Tutti gli economisti lo sanno, non è perciò questo il problema.

Ma se si analizza il modo in cui il governo cinese calcola il prodotto interno lordo (che è cresciuto quasi ininterrottamente in doppia cifra per oltre 3 decenni), il sospetto che il Pil della Cina sia un vero e proprio bluff diventa forte e fondato.

Epoch Times ha a suo tempo affrontato approfonditamente la questione in un precedente articolo. È quindi sufficiente ricordare – fra le tante ‘magagne’ – come la Cina, a partire dalla grande riforma ‘di mercato’ del 1978, abbia, per molti anni, calcolato il Pil al lordo delle rimanenze di magazzino: senza cioé tenere conto delle perdite causate dall’invenduto e da altri fattori (che, a questo punto, è facile immaginare non dovevano essere di piccola entità).

Quando poi la Cina ha uniformato il metodo di calcolo del proprio Pil a quello occidentale, non ha certo risanato il dato, visto che il prodotto interno lordo cinese è da anni sostenuto con iniezioni di migliaia di miliardi di yuan in imprese statali ed enti pubblici di varia natura. Ben diversi tipi di interventi fa, per esempio, la Federal Reserve negli Stati Uniti, che piuttosto finanzia attività produttive in grado di aumentare produzione reale, posti di lavoro e consumi.

La materia è complessa, ma alcune valutazioni generali sono senz’altro possibili: che l’economia cinese cresca è fuori di dubbio, ma quanto cresce? E poi: se ci sono questi dubbi, perché in tutto il mondo (quasi) tutti – governi, commentatori, economisti, opinionisti, giornalisti – accettano supinamente il dato ufficiale di Pechino, senza perlomeno manifestare dei seppur prudenti dubbi sulla sua esattezza?

Certo ci sono diverse ragioni, e qui ne se ne possono considerare solo alcune: prima di tutto, la Cina è un enorme mercato, fatto – indicativamente – di oltre 300 milioni di persone fra benestanti e ricchi (e di circa un miliardo di persone che vivono al livello di sussitenza). Il Global Wealth Report 2012 del Credit Suisse Research Institute, prevede infatti che, entro il 2017, la Cina diventi il secondo Paese più ricco del mondo (il numero dei miliardari cinesi raddoppierà nei prossimi 5 anni); tutte persone col portafogli gonfio e ansiose di riempirsi le case (e i garage) di prodotti europei, giapponesi e americani.

In secondo luogo, la Cina è il miglior serbatoio di manodopera qualificata (e, per gli standard occidentali, schiavizzata) al mondo: gli operai delle fabbriche cinesi che lavorano 16 ore al giorno per salari da fame, sono il sogno di ogni industriale senza scrupoli che sia interessato unicamente a tagliare i costi e a massimizzare gli utili. Produttori e commercianti, naturalmente, non sono tutti senza scrupoli. Ma molti sì.

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non rispecchiano necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

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