A dieci anni dall’inizio della repressione contro l’attivismo legale indipendente in Cina, numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani chiedono un’indagine indipendente sul ruolo delle autorità cinesi. La campagna persecutoria del regime, avviata il 9 luglio 2015, ha portato all’arresto di oltre 300 avvocati e attivisti legali in tutta la Cina. Secondo una dichiarazione congiunta diffusa il 7 luglio da 31 organizzazioni per i diritti umani, almeno dieci persone sono state condannate a pene detentive comprese tra tre e otto anni, mentre alcune sono scomparse per lunghi periodi senza alcuna comunicazione ufficiale.
La repressione ha provocato una significativa riduzione del numero di avvocati disposti a contestare le autorità in materia di diritti umani. Amnesty International ha definito l’attacco ai professionisti del settore legale un passaggio chiave per l’avvio di una più ampia e sistematica offensiva contro le libertà fondamentali. Sebbene molti degli arrestati siano stati successivamente rilasciati, diversi continuano a subire forme di pressione costanti, tra cui sorveglianza, intimidazioni e sfratti forzati, che in alcuni casi hanno determinato l’abbandono della professione.
Tra i casi più noti figura quello di Wang Quanzhang, arrestato nel 2015 con l’accusa di sovversione per aver assunto la difesa di clienti ritenuti politicamente sensibili, come i praticanti del Falun Gong, disciplina spirituale perseguitata dal Partito comunista cinese dal 1999. Dopo quasi cinque anni di detenzione, l’avvocato Wang è tornato in libertà nell’aprile 2020. Tuttavia, le pressioni da parte delle autorità non si sono interrotte. Nel 2023 ha riferito di essere stato sfrattato da tredici abitazioni nel giro di due mesi, in seguito a intimidazioni rivolte ai proprietari, con interruzione dei servizi essenziali come luce e gas. L’avvocato è attualmente sottoposto a stretta sorveglianza. In una fotografia diffusa sui social nel giugno scorso, ha mostrato sei uomini in abiti civili appostati davanti alla sua abitazione. Anche la famiglia è stata oggetto di ritorsioni: durante i tre anni in cui è stato trattenuto in isolamento, al figlio è stata ripetutamente negata l’iscrizione scolastica, in circostanze riconducibili a pressioni politiche. Dopo una nuova espulsione da scuola, il minore, oggi dodicenne, è costretto a proseguire gli studi a casa.
Con l’avvicinarsi del decimo anniversario della cosiddetta “repressione del 709”, le organizzazioni firmatarie dell’appello invitano i governi a intraprendere azioni urgenti per contrastare l’impunità. «Nessuna autorità cinese è stata ritenuta responsabile delle gravi violazioni commesse contro avvocati e difensori dei diritti umani, circostanza che ha favorito l’estensione e la sistematicità degli abusi», si legge nella nota diffusa dal coordinamento.
Nonostante le difficoltà, alcuni attivisti continuano a manifestare pubblicamente il proprio dissenso. È il caso di Xie Yang, il cui arresto ha suscitato l’attenzione internazionale nel 2017, quando il suo legale rese pubbliche le trascrizioni di colloqui che documentavano torture subite in carcere. Xie è stato rilasciato su cauzione nel maggio dello stesso anno, dopo aver ritrattato le accuse di tortura e confessato il reato di sovversione, in quello che ha successivamente descritto come un compromesso imposto dalle autorità per proteggere la famiglia.
In un’intervista rilasciata nel 2019, Xie ha spiegato di non poter fornire i dettagli dell’accordo, ma ha riferito che erano state rivolte minacce economiche e fisiche nei confronti dei familiari, inclusi la moglie, il fratello e le due figlie. Tra le intimidazioni, anche velate allusioni a possibili incidenti stradali. Pur radiato dall’Ordine e sottoposto a sorveglianza per anni, l’avvocato Xie ha proseguito attività simili in ambito legale nonostante l’impossibilità di esercitare ufficialmente. In un’intervista del 2020, ha dichiarato di voler trasmettere ai figli l’orgoglio per la propria esperienza, nonostante le sofferenze subite.
Nel 2022, è stato nuovamente arrestato dopo aver espresso sostegno a un’insegnante incinta internata in un ospedale psichiatrico dalle autorità locali per aver criticato il Partito comunista sui social. Da oltre tre anni è detenuto in carcere senza un processo, con l’accusa di «istigazione alla sovversione», formula spesso utilizzata, nella dittatura comunista cinese, per mandare in carcere i dissidenti. Secondo quanto riferito dalla moglie, rifugiata negli Stati Uniti dal 2017 con le figlie, l’uomo è sottoposto a isolamento prolungato, privazione della luce solare e torture in carcere.
Human Rights Watch ha definito le sofferenze patite da questi avvocati e dalle famiglie il risultato diretto del loro (purtroppo vano) tentativo di garantire giustizia in Cina. In una dichiarazione diffusa il 6 luglio, l’organizzazione ha invitato i governi stranieri a contrastare la repressione con atti concreti di sostegno, riconoscimento e solidarietà.