La Cina sta cercando di conquistare il cuore dell’Unione Europea, ma al contempo la colpisce sul piano economico, creando una contraddizione ormai sempre più evidente e insanabile. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, è arrivato a Bruxelles il 2 luglio per preparare le celebrazioni dei 50 anni di relazioni tra Unione Europea e Repubblica Popolare Cinese. Due giorni dopo, Pechino ha imposto dazi fino al 34,9% sul brandy europeo. Poi, il 6 luglio il regime ha deciso l’esclusione della maggior parte dei fornitori europei dalla partecipazione a gare d’appalto della Sanità cinese.
Queste mazzate sono arrivate proprio nel mezzo del viaggio di Stato diplomatico di Wang a Bruxelles, Berlino e Parigi, in cui l’inviato del Partito comunista cinese chiedeva all’Europa di schierarsi con Pechino contro gli Stati Uniti. Tuttavia – e qui è la colossale contraddizione, perlomeno per gli standard di ragionamento occidentali – il Pcc contemporaneamente colpisce alcune delle esportazioni più importanti per l’Europa.
A livello generale si deve considerare che, da un lato la sicurezza europea (questo è più che evidente) dipenderà ancora da Washington per lungo tempo, per cui Bruxelles non ha il benché minimo incentivo a rompere con Washington; dall’altro, la guerra dei dazi fa sentire Bruxelles tra l’incudine e il martello: le industrie europee, negli ultimi trent’anni hanno sempre avuto campo libero in Cina (seppur tralasciando, in questa sede, a che prezzo), ma ora il regime cinese ha gettato la maschera, si sta rivelando essere del tutto diverso dall’amico che a Bruxelles si voleva credere fosse. Per cui, la pazienza dell’Europa verso le nuove barriere all’ingresso cinesi si sta esaurendo. E, come se tutto questo non bastasse, il cruciale sostegno bellico fornito da Pechino a Mosca rende vuoto ogni discorso su un ipotetico riavvicinamento politico.
Ma a ben vedere, anche in passato tra Europa e Repubblica Popolare Cinese non è mai stato tutto rose e fiori: da anni Bruxelles denuncia che, mentre circa il 95% delle gare pubbliche nell’Ue è aperto a imprese straniere, le aziende europee hanno un accesso pressoché nullo ai contratti con il governo cinese. E il 20 giugno, la Commissione Europea ha finalmente agito in questo senso: ha vietato alle imprese cinesi di partecipare a gare per dispositivi medici nell’Ue del valore superiore a 5 milioni di euro, misura valida nei 27 Stati membri.
Ma Bruxelles sta indagando anche sulle turbine eoliche, i progetti ferroviari e i pannelli solari cinesi; senza contare che ha imposto dazi provvisori fino al 35,3% sui veicoli elettrici cinesi, giustificandoli con i massicci sussidi statali (ovvero il dumping) con cui il settore auto cinese è tenuto in piedi dal Partito comunista. A ben vedere, non è solo Donald Trump a ritenere che il regime cinese agisca in modo commercialmente disonesto: «sulla Cina, Donald ha ragione» ha infatti detto la von der Leyen in corrispondenza dello scorso G7 in Canada.
Secondo l’analista di affari cinesi Wang He, le misure doganali dell’Ue sono il risultato di mesi di dialoghi e negoziati falliti. Pechino, spiega l’analista, «ha risposto immediatamente con delle ritorsioni senza una giustificazione valida, e dimostrando di voler andare allo scontro». Questa diplomazia (si fa per dire) aggressiva, dice l’analista «è un duro colpo per le relazioni tra Cina e Ue». Il ministro degli Esteri del Pcc è venuto in Europa per cercare di sanare la frattura tra l’Ue e la Cina e provocare una frattura tra l’Ue e gli Stati Uniti» prosegue l’esperto, «ma quando si arriva a parlare di interessi economici, Pechino rifiuta di fare concessioni reali» e la dittatura cinese si rivela per quello che realmente è, continuando a trattare praticamente a pesci in faccia gli europei, e «questa è la contraddizione».
Ma, guerra commerciale a parte, la fiducia tra Europa e Repubblica Popolare Cinese era già scarsa a causa della guerra in Ucraina, rendendo la missione del ministro degli Esteri cinese praticamente impossibile. Lo ha fatto capire chiaramente anche l’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, durante l’incontro con Wang Yi a Bruxelles il 2 luglio. A porte chiuse, Wang avrebbe detto alla Kallas che Pechino non può permettersi una sconfitta russa, temendo che gli Stati Uniti possano poi concentrare tutta la loro attenzione sulla Cina, un’ammissione di una tale franchezza da fare pensare a una gaffe, tanto si discosta dalle consuete dichiarazioni di serafica neutralità di Pechino. Ma la Kallas ha insistito affinché la Cina «cessi ogni supporto materiale» alla macchina bellica russa. Anche qui, muro contro muro.
CONCLUSIONE
Analogamente a quanto accade con gli Stati Uniti, la Cina registra un surplus commerciale sbilanciato con l’Europa, superiore a 300 miliardi di dollari nel 2024. Una ritorsione aperta potrebbe quindi danneggiare Pechino più di Bruxelles.
Secondo aspetto fondamentale, la sicurezza europea è garantita da Washington attraverso la Nato, e il principale cliente delle esportazioni Ue sono gli Stati Uniti. «Tra Washington e Pechino, l’Europa si schiererà quasi certamente con gli Stati Uniti», dice Yeh Yao-Yuan, professore di studi internazionali presso l’Università di St. Thomas. E «il tentativo di Pechino di corteggiare l’Ue si è rivelato un autogol».
Escludendo le aziende europee dalle gare d’appalto ospedaliere, il regime comunista cinese rischia di danneggiare più se stesso che l’Ue, perché i dispositivi medici di alta gamma sono uno dei pochi settori in cui la Cina dipende fortemente dalla tecnologia europea.
Ora, mentre Bruxelles esamina i mercati delle turbine eoliche, dei vagoni ferroviari e dei moduli solari cinesi, Pechino rilancia minacciando restrizioni su formaggi e carne suina europei. È in atto un’escalation, insomma, invece della de-escalation tentata inutilmente dal ministro degli Esteri Wang Yi.
«Pechino pensa di essere abbastanza forte da imporre le sue condizioni» osserva il professor Yeh, «ma l’Europa si sta lentamente allontanando». E anche Frank Tian Xie, docente di economia aziendale presso l’Università del South Carolina a Aiken, dubita che Pechino possa formare un blocco anti-statunitense. In un contesto di negoziati commerciali a dir poco tormentati, Washington ha appena buttato sul tavolo nuovi dazi, che colpiranno sia le esportazioni cinesi che quelle europee, osserva il professor Xie. E siccome Pechino sta comprimendo il commercio con l’Ue, l’Europa ha ben poco da guadagnare nell’allinearsi con la Cina.
In proposito, il professor Xie aggiunge che, sebbene i conflitti tra nazioni sembrino spesso riguardare questioni territoriali o religiose, la loro causa principale è solitamente economica; e, per la Cina, le battaglie commerciali si elevano a questioni di sicurezza nazionale. Il Segretario generale del Pcc, Xi Jinping, sperava che il 50esimo anniversario delle relazioni Rpc-Ue potesse permettergli di mettere in bella mostra un’alleanza distinta dal secolare legame tra l’Europa e l’America. Speranza vana: i diplomatici cinesi ed europei ora parlano più di «gestire le differenze» che dei punti in comune che hanno.
Ciò detto, per il momento, l’Ue non sembra intenzionata a rompere con la Cina, secondo il professor Yeh: Germania e Francia vogliono ancora poter accedere al mercato dei consumatori cinesi (a quel che ne rimane, perlomeno). Ma i rischi stanno aumentando sempre di più, e i nuovi investimenti stanno già rallentando. E Bruxelles sta già approvando una serie di norme mirate alla «riduzione del rischio», facendo chiaramente capire che, da qui in poi, utilizzerà contro il regime cinese i propri strumenti di difesa commerciale, in modo più deciso che mai.