Dazi Ue contro la Cina

di Redazione ETI/Milton Ezrati
1 Aprile 2025 15:23 Aggiornato: 1 Aprile 2025 15:23

Mentre tutti parlano dei dazi dell’amministrazione Trump, nessuno parla dei dazi imposti dall’Unione Europea alla Cina.

Alcuni mesi fa, l’Unione Europea ha introdotto alti dazi sui veicoli elettrici prodotti in Cina, denunciando un vantaggio competitivo sleale dovuto ai sussidi pubblici che il regime comunista cinese pompa nel settore delle auto elettriche. Nelle ultime settimane, la Cina ha reagito senza le consuete proteste e minacce, ma con maggiore moderazione rispetto al passato. La sua risposta contenuta è comprensibile, vista la fragile economia interna, che non le dà basi solide per affrontare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, il Giappone e ora anche con l’Europa.

Lo scorso anno, i produttori automobilistici europei hanno iniziato a lamentarsi dell’invasione di veicoli elettrici cinesi a basso costo in Europa. Da un’indagine delle autorità di Bruxelles è emerso che questa ondata di importazioni non solo stava superando le vendite dei veicoli prodotti localmente, ma impediva anche lo sviluppo europeo della produzione nel settore.

In base al cosiddetto regolamento sui sussidi esteri, l’Unione Europea ha ritenuto che il regime cinese stesse effettivamente sovvenzionando la produzione dei veicoli elettrici e, in risposta, ha aumentato i dazi su queste vetture dal 3,5% a quasi il 30%. Nello stesso periodo, Bruxelles ha avviato indagini su treni cinesi, pannelli solari e attrezzature per la sicurezza, lasciando intendere, seppur senza imporli, possibili dazi su questi prodotti.

I produttori cinesi di veicoli elettrici hanno presentato ricorsi in Europa per contestare i dazi, mentre Pechino ha risposto ufficialmente avviando indagini sui prodotti europei in entrata, tra cui il brandy, la carne di maiale e i veicoli di lusso, e  ha imposto un dazio temporaneo sulle importazioni di brandy.

Il ministero del Commercio cinese ha recentemente pubblicato un documento di 20 pagine che riassume le sue conclusioni, mettendo in evidenza il peso delle indagini europee sulle aziende cinesi, con richieste di informazioni dettagliate e ispezioni improvvise. Ha sottolineato che diverse aziende cinesi sono state costrette ad abbandonare progetti già contrattualizzati, subendo perdite per circa 15,6 miliardi di yuan (circa 2,1 miliardi di dollari). Il ministero ha criticato gli europei per non aver definito adeguatamente i concetti di sussidi esteri o distorsione del mercato. Le autorità europee hanno replicato, difendendo l’integrità delle loro leggi e giustificando come le circostanze abbiano reso necessarie le richieste di informazioni e le ispezioni.

Nonostante il tono critico del rapporto, Pechino ha mantenuto una risposta piuttosto contenuta. In passato, avremmo potuto aspettarci minacce di ritorsioni e ricorsi presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio e altri organismi internazionali, ma nulla di tutto questo è accaduto, almeno per ora. Sebbene Pechino si sia lamentata, i dazi sui brandy europei non rappresentano una risposta proporzionata ai dazi imposti dall’Unione Europea sui veicoli elettrici cinesi in entrata.

Un atteggiamento simile è stato adottato dal Pcc anche di fronte agli aumenti dei dazi imposti dagli Stati Uniti su una vasta gamma di prodotti cinesi. Il Partito Cimunista Cinese ha imposto dazi del 10-15% su carbone, gas naturale liquefatto, petrolio greggio, pickup, macchinari agricoli, alcuni prodotti agricoli e veicoli di grossa cilindrata americani, ma si è trattato di misure limitate che hanno riguardato solo circa 35 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi, contro i 525 miliardi di dollari di export cinesi colpiti dai dazi statunitensi.

Alla luce della situazione attuale, è probabile che il regime cinese adotti un approccio ancora più mansueto. Se gli Stati Uniti hanno agito con maggiore aggressività, le autorità cinesi sono consapevoli che una risposta altrettanto dura potrebbe facilmente attirare ulteriore ostilità da parte del resto del mondo. E il Pcc è consapevole di non poterselo permettere: il suo precario sistema economico non sarebbe in grado di sostenere una guerra commerciale con mezzo mondo.

Dopotutto, di fronte a questi sforzi relativamente comuni da parte di Stati Uniti, Europa e Giappone per contrastare il commercio cinese, l’economia cinese deve fare i conti con una crescita interna quasi inesistente, consumi insufficienti, investimenti privati ridotti, flussi di capitali esteri limitati, un enorme debito delle amministrazioni locali, pressioni deflazionistiche e, naturalmente, la persistente crisi immobiliare. Il Pcc non ha altra scelta che usare moderazione.

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