La ExxonMobil guida la protesta contro Bruxelles per l’ennesima norma-suicidio sulla “sostenibilità”. Il colosso energetico statunitense ExxonMobil potrebbe infatti essere costretto ad abbandonare l’Europa, qualora la proposta di legge sulla sostenibilità Cssd dell’Unione europea venisse approvata. Lo ha dichiarato il 3 novembre l’amministratore delegato Darren Woods, che ha lanciato l’allarme sugli «effetti disastrosi» della normativa sul commercio internazionale.
A margine dell’Abu Dhabi International Petroleum Exhibition and Conference (Adipec), Woods ha sottolineato, in un’intervista a Reuters, come la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd) voluta da Bruxelles andrebbe a imporre oneri insostenibili alle aziende: «Se non saremo più in grado di operare con successo in Europa e, peggio ancora, se dovessero tentare di esportare norme tanto penalizzanti nei Paesi dove svolgiamo le nostre attività, restare su quel mercato diventerebbe impraticabile».
COSA IMPONE LA CSSD
La norma comunitaria obbligherebbe le imprese ad affrontare direttamente problemi relativi a diritti umani e ambiente lungo l’intera filiera, con sanzioni fino al 5% del fatturato mondiale. Attualmente il provvedimento interessa le aziende con almeno mille dipendenti e ricavi superiori a 450 milioni di euro.
La Csddd impone alle grandi imprese di adottare misure rigorosissime sulla “sostenibilità”, quali: integrare un sistema di due diligence nelle proprie politiche e nei sistemi di gestione; prevenire, cessare o ridurre al minimo gli impatti negativi (effettivi o potenziali) collegati alle proprie attività operative e a quelle delle controllate e dei fornitori, inclusi quelli indiretti; monitorare e valutare l’efficacia delle misure adottate; fornire persino rimedi adeguati in caso di danni provocati.
La Csddd impone l’allineamento agli impegni dell’Ue per la cosiddetta “transizione verde” e il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi. Ed è una normativa dall’impatto oggettivamente devastante dal punto di vista economico, perché impone un’estrema complessità e elevati oneri gestionali per le imprese, che devono garantire la conformità non solo delle proprie attività, ma anche di tutte le operazioni in capo a fornitori e partner, in tutto il mondo. Le aziende vengono quindi costrette a sostenere elevati extra-costi per adeguare processi, tecnologie e sistemi di monitoraggio, oltre a sviluppare “piani di transizione climatica” che richiedono innovazioni e ristrutturazioni produttive altrettanto costose, con evidenti pesanti ripercussioni sul (già alto) prezzo finale dell’energia. E quindi sull’intero sistema economico.
In sintesi, la Corporates Sustainability Due Diligence Directive obbliga le aziende a un notevole impatto gestionale e finanziario. Nel settore energetico, questo si tradurrà in costi generali alle stelle e problemi sugli approvvigionamenti, fattori che contribuiranno a aumentare il costo dell’energia – e quindi tutti i prezzi – sui mercati europei. In cambio di cosa, non è chiaro.
LE CONSEGUENZE
Tornando alla protesta dell’Ad ExxonMobil, il quadro normativo imporrebbe alla multinazionale del petrolio di applicare gli stessi vincoli ambientali a tutte le proprie operazioni, senza alcun limite territoriale, imposizione che Woods trova «sorprendente». La direttiva europea imporrebbe infatti agli operatori di estendere le prescrizioni anche alle filiali e alle attività esterne al mercato europeo, a prescindere da qualsiasi collegamento diretto con l’Europa o meno. Di conseguenza – come fa notare Woods – questa normativa potrebbe comportare la fuga di diverse aziende dall’Europa riducendo la concorrenza e dando quindi luogo a un ulteriore fattore di aumento dei prezzi dell’energia, e quindi anche della temutissima inflazione.
In maggio, Francia e Germania hanno già chiesto a Bruxelles di ritirare la proposta. In settembre, il Parlamento europeo ha votato per riaprire il dibattito sulla normativa, in risposta alla crescente opposizione sia da parte del mondo produttivo che di diversi governi, tra cui Stati Uniti e Qatar.
Il voto dell’Europarlamento lascia aperta la possibilità di ulteriori modifiche prima che il testo definitivo venga ratificato, entro la fine del 2025. Ma l’Ad di ExxonMobil ha evidenziato che le correzioni in discussione «rischiano di rendere il quadro ancora più confuso» e peggiorare l’incertezza normativa. «Oggi – ha ricordato Woods – l’economia europea è già sottoposta a un eccesso di vincoli burocratici e sta subendo un processo di deindustrializzazione» che sta bloccando la crescita, e questa nuova direttiva europea «rischia di porre un ulteriore freno allo sviluppo» di un’area economica già in crisi. Una crisi determinata, ormai è evidente, da decenni di normative fondate sulle “prepotenze” di alcuni Stati (che oggi, a loro volta, pagano il conto delle politiche che hanno imposto agli altri) ma anche e soprattutto su dogmi ideologici fallimentari applicati dalle burocrazie di Bruxelles.
Alcune settimane fa, il ministro dell’Energia statunitense Chris Wright e il ministro dell’Energia del Qatar, Saad al-Kaabi, avevano avvisato che alcune disposizioni della Csddd potrebbero ostacolare la cooperazione con l’Unione europea, in una situazione in cui gli Stati europei sono messi in estrema difficoltà da costi energetici elevatissimi: «ora, più che mai, i nostri Paesi e le nostre aziende si trovano nella necessità di garantire, e anzi incrementare sensibilmente, la fornitura affidabile di gas naturale liquefatto all’Ue, nel rispetto delle aspettative strategiche europee», hanno scritto i due ministri in una lettera aperta indirizzata ai vertici comunitari, precisando poi: «È fuori discussione che il gas naturale e il Gnl continueranno a rappresentare una componente fondamentale del mix energetico europeo ancora per molti decenni».
Gli Stati Uniti mantengono il ruolo di principali fornitori di Gnl all’Unione europea, con una quota del 57,7% sulle importazioni europee rilevate nel secondo trimestre del 2025, seguiti da Russia, Algeria e Qatar, secondo i dati Eurostat. Intervenendo all’Adipec il 3 novembre, al-Kaabi — amministratore delegato di QatarEnergy — ha ribadito che Doha interromperà le proprie esportazioni di Gnl verso l’Europa qualora la normativa dovesse essere approvata in questa versione.




