Il recente viaggio di Stato del presidente Trump in Medio Oriente ha messo in evidenza un’agenda incentrata su accordi economici e interessi strategici, segnando una svolta nella politica estera americana. Tra il 13 e il 16 maggio, il capo della Casa Bianca ha visitato Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, siglando accordi commerciali per migliaia di miliardi di dollari. Il viaggio ha confermato un approccio pragmatico, che abbandona l’interventismo militare in favore di una cooperazione commerciale.
Al summit sugli investimenti di Riad, Trump ha criticato aspramente le politiche delle precedenti amministrazioni, definendo disastrose le operazioni in Iraq e Afghanistan. «I cosiddetti costruttori di nazioni hanno devastato più di quanto abbiano costruito», ha dichiarato il presidente, rifiutando modelli imposti dall’esterno e ingerenze in società complesse. Il discorso, accolto con calore dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, ha evidenziato il favore della regione per un approccio meno ideologico e più orientato al dialogo bilaterale.
Secondo Dalia Ziada, analista del Centro di Gerusalemme per la sicurezza e gli affari esteri, Trump comprende il linguaggio politico del Medio Oriente meglio dei suoi predecessori, in quanto privilegia rapporti personali e tralascia temi come democratizzazione e diritti umani.
Nella base aerea di Al Udeid, a Doha, Trump ha parlato alle truppe americane, riaffermando la sua visione: «Il mio obiettivo è porre fine ai conflitti, non iniziarne». Le parole, pronunciate nella più grande installazione militare statunitense della regione, hanno assunto un forte valore simbolico. Oltre 20 anni prima, in Qatar, George W. Bush aveva promesso una democrazia stabile per l’Iraq. Al Udeid, che ha svolto un ruolo cruciale nel ritiro dall’Afghanistan nel 2021, il messaggio di Trump ha marcato la definitiva rottura con l’interventismo neocon.
Joel Rubin, ex funzionario del ministero degli Esteri sotto Barack Obama, ha interpretato la strategia di Trump come diretta a due pubblici: i leader del Golfo e l’elettorato statunitense. Il Presidente, secondo Rubin, ha sancito la fine degli interventi militari costosi, promuovendo partnership economiche e pragmatiche.
L’accoglienza riservata a Trump è stata sontuosa. A Riad, tappeti color lavanda hanno accolto l’atterraggio dell’Air Force One. In Qatar, danze tradizionali con spade e cammelli hanno dato il benvenuto al presidente degli Stati Uniti, e edifici di Doha si sono illuminati con la bandiera americana. Ad Abu Dhabi, una danza “Al-Ayyala” ha spopolato con video virali. Il Burj Khalifa a Dubai si è acceso con i colori degli Stati Uniti. Insomma, un altro mondo rispetto alle visite di Joe Biden nel 2022 o del neocon Dick Cheney nel 2002. L’emiro del Qatar, Sheikh Tamim Al Thani, durante una cena di Stato al Palazzo Lusail, ha ricordato con emozione l’attentato subito da Trump nel 2024 in Pennsylvania: «Ho pregato per la tua guarigione e la tua sicurezza».
Sul piano economico, il viaggio ha prodotto accordi per circa 2 mila miliardi di dollari. L’Arabia Saudita ha promesso 600 miliardi, di cui 142 per equipaggiamenti militari avanzati. Il Qatar ha siglato intese per 243,5 miliardi, con 96 miliardi destinati a Boeing per aerei di Qatar Airways e fino a 97 miliardi per progetti di Parsons nel settore difesa. Gli Emirati hanno annunciato accordi commerciali per oltre 200 miliardi, oltre a un piano decennale da 1,4 mila miliardi per investire in settori come intelligenza artificiale, semiconduttori, informatica quantistica e biotecnologie negli Stati Uniti.
Numeri oggettivamente impressionanti, anche se non tutti gli impegni potrebbero concretizzarsi: durante il primo mandato di Trump, l’Arabia Saudita aveva promesso 450 miliardi in acquisti, ma tra il 2017 e il 2020 ne sono stati realizzati meno di 300, secondo l’Istituto degli Stati del Golfo Arabo. Gli analisti, tuttavia, vedono in questi accordi un notevole rafforzamento della posizione americana nella regione, finalizzata soprattutto a contrastare l’espansione di Cina e Russia.