Bruxelles vorrebbe il ReArm ma l’Europa ha bisogno della Nato

di Giovanni Donato
23 Marzo 2025 13:35 Aggiornato: 24 Marzo 2025 14:48

L’Europa, è noto, per la difesa è fortemente dipendente dagli Stati Uniti. Gli avvertimenti dell’amministrazione Trump hanno scosso Bruxelles e buona parte delle capitali europee da un torpore che durava dalla fine della Seconda guerra mondiale, scatenando la frenetica corsa al “ReArm Europe”, che tradotto significa che Bruxelles sta valutando un futuro di indipendenza militare dagli Stati Uniti che assume a tratti il sapore dell’autarchia: quasi Bruxelles mirasse a diventare una potenza militare/nucleare in grado di competere con gli Stati Uniti d’America.

In ogni caso, come questo giornale ha avuto modo di notare, sebbene la spesa per la difesa in Europa sia stata stagnante per decenni dopo la Guerra Fredda, dal 2014 la spesa militare è cresciuta costantemente, come conseguenza del patto Defense Investment Pledge, formalizzato durante il vertice Nato di Newport, in Gran Bretagna, del 4-5 settembre 2014. In quell’occasione, i capi di Stato e di governo dei membri della Nato (l’Italia era rappresentata dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi) si erano impegnati a raggiungere il 2% del Pil nazionale di spesa per la difesa entro il 2024. Un obiettivo, il 2%, che peraltro esisteva, benché disatteso, anche prima del 2014. Questo nuovo impegno veniva assunto in risposta alle crescenti tensioni scatenate dall’annessione della Crimea da parte della Russia ai danni dell’Ucraina, avvenuta pochi mesi prima.

In quegli stessi anni, le importazioni di armi degli Stati Nato europei sono più che raddoppiate, prima tra il 2015 e il 2019 e poi di nuovo tra il 2020 e il 2024 (dato Sipri, Stockholm International Peace Research Institute). E le importazioni militari dagli Usa hanno rappresentato il 64% del totale.

LE ARMI NUCLEARI

L’architettura strategica europea si basa sui sistemi d’arma americani, a partire l’arsenale nucleare. Nella Nato, solo Francia e Regno Unito, oltre agli Usa, hanno armi nucleari, ma non le forniscono a nessuna nazione: sono solo gli Stati Uniti a dotare di armi (bombe) nucleari gli altri Stati europei. La Nato, e quindi l’Europa, beneficia di un accordo di condivisione nucleare in forza del quale Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia ospitano circa 150 bombe nucleari B61 americane.

Il presidente francese Emmanuel Macron, raccogliendo l’assist della von der Leyen, ha proposto di estendere la “deterrenza” nucleare francese ad altri Paesi europei; l’offerta di Macron di un «dibattito strategico» per sostituire il ruolo degli Usa segna un cambio storico nella posizione francese, ma incontra grossi ostacoli, tanto politici quanto materiali: sviluppare una reale deterrenza nucleare autonoma richiede molto tempo e un’enormità di risorse, di cui l’Europa non dispone nemmeno lontanamente. Francia e Regno Unito messe insieme attualmente si stima abbiano 515 testate, gli Stati Uniti oltre 5 mila. E, ostacolo probabilmente ancora maggiore, nessuna nazione europea – Italia, Germania e Gran Bretagna in primis – accetterebbe una simile “sudditanza” alla Francia.

LA SUPREMAZIA AEREA

Le nazioni europee dipendono pesantemente dagli Stati Uniti anche per i velivoli: bombardieri, caccia e droni. Bombardieri strategici come B-52, B-1 e B-2 non hanno equivalenti europei: l’Europa non possiede flotte di bombardieri strategici. Le aeronautiche europee si affidano pesantemente ai caccia di fabbricazione americana F-35 e F-16.

È vero che diverse aeronautiche europee (tra cui quella italiana, che si è finalmente liberata dei pessimi F-104) impiegano gli l’Eurofighter Typhoon, che sono ottimi caccia di quinta generazione. Ed è anche vero che Italia, Inghilterra e Giappone stanno sviluppando un nuovo caccia di sesta generazione che dovrebbe entrare in servizio nel 2035, provvisoriamente chiamato “Tempest”, progettato per sostituire l’Eurofighter. Sarà un sistema aereo avanzato dotato di intelligenza artificiale e capacità stealth. Ma richiederà almeno altri dieci anni per diventare operativo.

Insomma, i progressi e le promesse delle forze aeree e delle industrie aeronautiche europee, sono obiettivamente notevoli rispetto alla situazione dei decenni passati. Ma per  colmare il gap con gli Stati Uniti ci vorranno ancora molti anni (e molti soldi).

DIFESA MISSILISTICA

L’Europa si basa sui sistemi missilistici americani Patriot e Aegis, integrati nel quadro Nato. Il Patriot difende da missili balistici tattici e aerei avanzati, mentre l’Aegis contrasta missili a corto e medio raggio. Sostituire questi sistemi con equivalenti europei sarebbe un processo lungo, complesso e soprattutto costoso.

GLI ESERCITI

Il soldati europei, tra cui gli italiani eccellono, soffrono sensibilmente meno la competizione con i colleghi americani: gli incursori del Nono reggimento paracadutisti Col Moschin, ad esempio, per preparazione e professionalità non hanno nulla da invidiare ai reparti di eccellenza delle forze armate Usa: i Berretti Verdi e la Delta Force. La differenza, qui, la fanno solo gli equipaggiamenti (cioè a dire, di nuovo, il budget).

COME SI CALCOLA IL BUDGET DELLA DIFESA

Un aspetto che deve essere valutato, considerato il livello di intensità che il dibattito sulle spese militari sta raggiungendo, è anche il metodo di calcolo del budget della difesa. Che è molto meno ovvio di come si possa immaginare.

Il ministero della Difesa italiano, nel Documento programmatico pluriennale 2023-2025 presentato dal ministro Crosetto il 7 novembre 2023,  diceva che le risorse di spesa militare, in senso stretto, nel 2023 ammontavano a 27,74 miliardi di euro. Ma il bilancio ordinario della Difesa raggiungeva i 30,75 miliardi di euro aggiungendo i fondi provenienti dal ministero delle Imprese e del Made in Italy e quelli per le operazioni internazionali.

Invece, secondo le stime preliminari di Mil€x, ossia dell’Osservatorio della spesa militare, per il 2023 la spesa militare complessiva – cioè inclusiva di bilancio della Difesa, delle missioni all’estero (finanziate dal ministero dell’Economia) e di una quota di pensioni militari nette (gestite quindi dall’Inps) – sarebbe di 26,5 miliardi di euro. Tuttavia, Mil€x prevede un approfondimento successivo all’approvazione definitiva della Legge di Bilancio, e i dati reali potrebbero essere più alti (fino a superare i 30 miliardi), includendo costi aggiuntivi come quelli per le basi Usa nel nostro territorio e programmi specifici, come ad esempio quello dei caccia F-35.

Il Sipri, poi, riporta la spesa militare italiana per il 2023 a 35,53 miliardi di dollari Usa (circa 33,5 miliardi di euro, al tasso di cambio medio 2023 di 1 Usd = 0,943 Eur). La cifra del Sipri è più alta perché usa una definizione Nato, che include spese per personale civile e militare, operazioni, procurement, ricerca e sviluppo, e aiuti militari.

Infine, il ministro della Difesa Crosetto, in un’audizione parlamentare del novembre 2023, ha indicato una spesa per il 2023 pari a circa 1,46% del Pil, che, con un Pil italiano di circa 2.085.376 milioni di euro, equivarrebbe a circa 30,44 miliardi di euro di spesa militare complessiva per il 2023.

Quindi, molto dipende anche da come si calcola il totale della spesa militare: “qualche miliardo” in più o in meno fa, ovviamente, molta differenza.

Se nel 2023 l’Italia avesse speso il 2% del Pil, il finanziamento delle spese militari sarebbe stato di 41 miliardi 708 milioni di euro; nel “migliore” dei calcoli (ossia il Sipri), circa 8 miliardi e 200 milioni in più di quanto abbiamo realmente speso. Quindi, al netto delle velleità militariste europee, lo scenario più realistico sarebbe che l’Italia sforasse sul proprio debito di 8-9 miliardi all’anno per rispettare gli obblighi Nato (che, al di là delle sparate a cui ci ha abituato il presidente Trump – che ha chiesto di spendere il 5% – per ora sono l’unica cosa che conta).

In questo scenario, rimane senz’altro valida l’obiezione dei partiti pacifisti, come la Lega e alcuni altri dell’opposizione, che fanno notare come la rigidità estrema del Patto di Stabilità imposta per 26 anni a centinaia di milioni di europei (e soprattuto ai cittadini dei Paesi poco rispettosamente soprannominati “Pigs”) sia stata azzerata in pochi giorni da Ursula von der Leyen: secondo quale teoria economica o meccanismo di finanza pubblica, “i soldi per ospedali, scuole e strade non ci sono, mentre i soldi per le armi ci sono”? Un’obiezione legittima. A cui dovrebbe rispondere in modo convincente Bruxelles.

Consigliati