Il vangelo secondo Giovanni racconta di come l’apostolo Tommaso non credette nella risurrezione di Gesù finché non lo vide e ne toccò con mano le ferite. Fu Gesù che esortò Tommaso a controllare personalmente, ma gli disse: «Tu hai creduto perché mi hai visto. Beati coloro che senza aver visto hanno creduto».
Il grande scultore italiano Andrea del Verrocchio impiego 16 anni per immortalare questa scena nel bronzo della sua celebre opera ‘L’incredulità di San Tommaso’. Tommaso appare sorridente, forse perché felice di rivedere Gesù; mentre la sua mano esitante vorrebbe toccare le ferite del Salvatore, ma rimane sospesa, a mezz’aria. Ciò che Tommaso scoprì, quel giorno, non fu altro che la sua stessa incredulità.
Nel 1467, lo stesso anno in cui iniziò a realizzare il gruppo statuario, Verrocchio accolse un giovane apprendista nella sua bottega. Si trattava di un ragazzo di 17 anni i cui schizzi presentati dal padre erano promettenti; sembrava che il giovane avesse un futuro nel mondo della pittura.
Fu così che vedendo quotidianamente quella statua e trovandosi faccia a faccia con l’incredulità di Tommaso, lo studente vide, ebbe fede e comprese. Il suo nome era Leonardo Da Vinci.
Come ogni altro apprendista, Leonardo non toccò alcun pennello durante il suo primo anno, se non per lavarlo; poi fu gradualmente iniziato alle vere tecniche del suo maestro. La leggenda vuole che un giorno Leonardo fu incaricato di dipingere un angelo sulla tela dell’opera ‘Il battesimo di Cristo’; alla fine l’angelo risultò talmente bello che Verrocchio «mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui», secondo il racconto fatto da Giorgio Vasari nella sua Vita di Leonardo da Vinci, pittore e scultore fiorentino.
La ricerca della perfezione
La figura di Leonardo da Vinci è stata talmente straordinaria da essere diventata leggendaria. Secondo Louis Frank, curatore della nuova mostra d’arte in suo onore al Museo del Louvre, il numero di libri scritti sul conto di Leonardo è «veramente enorme». Ad ogni modo bisogna riconoscere che anche gli sforzi fatti dai curatori della mostra sono impressionanti.
L’organizzazione della mostra dedicata al genio italiano ha richiesto oltre dieci anni di preparazioni ai curatori del Louvre Louis Frank e Vincent Delieuvin. Dopo essersi trasformati in diplomatici, i curatori hanno ottenuto in prestito dalla regina Elisabetta alcuni disegni appartenenti alla Windsor Royal Collection, dalla Galleria dell’Accademia di Venezia il celebre ‘Uomo Vitruviano’ – che era stato loro quasi rifiutato – dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo la ‘Madonna Benois’, tanto per citarne alcuni.
Alla fine il Louvre è riuscito a radunare 140 delle sue opere, oltre a un numero impressionante di studi e quaderni degli schizzi. Ma in questa esibizione la forma d’arte predominante è senza dubbio la pittura.
Secondo Frank, «oggi si immagina Leonardo come un uomo completamente immerso in uno straordinario labirinto di scoperte scientifiche, ma in realtà la pittura è stata sempre al centro della sua vita. Era il suo chiodo fisso. Per lui si trattava di una scienza; non a caso usò l’espressione ‘scienza divina’».
«Alcuni pensano che a Leonardo non piacesse dipingere, dal momento che ha realizzato poche opere. Ma questo è falso. Per tutta la sua vita, ha lavorato ai suoi dipinti, e alcuni di essi non sono mai stati completati», ha dichiarato.
La fede cristiana non viene menzionata esplicitamente nel Trattato della pittura realizzato da Leonardo. Ma il divino aveva un significato particolare per lui, così come per molti suoi contemporanei.
È come se la pittura gli permettesse di scorgere e raggiungere livelli più alti di quelli dei comuni mortali. Nel Trattato della pittura Leonardo scrisse: «Il divino insito nella scienza della pittura trasforma la mente del pittore avvicinandola alla mente divina».
La luce degli esseri divini
Il fondamento dell’architettura gotica delle cattedrali del XII secolo era una sorta di teologia della luce, secondo cui le vetrate dovevano trasformare la luce ordinaria e fisica in luce divina, di modo che penetrasse nelle chiese e potesse essere ammirata da tutti i fedeli, lasciando loro un profondo insegnamento.
Durante il Rinascimento, lo slancio dei pittori italiani era inarrestabile: con le loro opere superarono tutti i loro predecessori. Secondo Arnaud Hu, professore di storia dell’arte presente alla mostra, anche se fuori dell’Italia esistevano altre scuole di pittura – come la scuola fiamminga – gli italiani erano gli unici a vedere il potenziale della pittura nell’espressione della luce.
«I pittori ripresero la Teologia della Luce che aveva ispirato la creazione delle straordinarie vetrate gotiche. E in questo modo lo studio della luce intrapreso dagli artigiani delle cattedrali proseguì con i pittori italiani. L’obiettivo era rendere visibile la luce divina a chi guardava l’opera», ha dichiarato Hu. In quello straordinario periodo sono emerse diverse tecniche, come il chiaroscuro, poi reso popolare da Caravaggio. Ma l’obiettivo era sempre quello di rivelare la luce degli esseri divini.
Leonardo creò il suo famoso ‘sfumato’, una tecnica pittorica che tende appunto a sfumare sottilmente i contorni delle figure, mettendo in risalto i colori e la luce dei personaggi raffigurati.
Nel 2010 i ricercatori, utilizzando una tecnica chiamata spettrofotometria Xrf, hanno tentato di scoprire il segreto della tecnica leonardesca.
E alla fine hanno trovato la risposta. Dopo aver terminato la sua pittura, Leonardo aggiungeva strati trasparenti, degli smalti, all’opera. Per ottenere un effetto visivo di trasparenza, gli artisti possono sovrapporre diversi strati di smalti, e l’accumulo di questi diversi strati realizza un particolare effetto diafano.
Nel caso dello sfumato di Leonardo, i ricercatori hanno scoperto molteplici minuscoli strati sovrapposti, di dimensioni comprese tra 1 e 2 micrometri, così sottili da sfidare l’immaginazione.
«L’effetto è misteriosamente bello, di grande morbidezza. Quello che vediamo non è il mix di colori che l’artista ha applicato originariamente dalla sua tavolozza, ma la combinazione dei colori attraverso i numerosi strati di smalti», ha dichiarato Hu.
Non c’è dubbio che questa luce sfuggente esalti l’espressività dei personaggi e la bellezza delle scene.
Secondo Frank, Leonardo ha imparato a cogliere l’essenza del movimento della vita, cioè la contraddizione tra la mente umana e i sentimenti più profondi, come nella statua di Cristo e di San Tommaso realizzata dal suo maestro. La posizione del corpo di San Tommaso suggerisce un profondo impulso, il desiderio di unirsi e salutare Gesù, ma la sua mano sembra esitare. Guardato da una prospettiva diversa, è difficile dire se Tommaso stia sorridendo o se stia pensando a qualcos’altro, perché il suo dubbio lo sta ancora attanagliando in quel momento.
«Nel contesto della pittura religiosa, Leonardo voleva capire i significati profondi. Qual era lo stato d’animo della Vergine quando vide Gesù giocare con l’agnello, che simboleggia il suo sacrificio e la sua missione? Il suo sorriso è tanto gioioso quanto malinconico. Cerca di trattenerlo, ma capisce che l’agnello è la sua missione», spiega Frank.
Quando Leonardo si recò in Francia su invito del re Francesco I – dove trascorrerà gli ultimi tre anni della sua vita – portò con sé tre quadri: la ‘Monna Lisa’, ‘Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino’ e ‘San Giovanni Battista’. Tre opere incompiute che egli avrebbe cercato per il resto della sua vita di completare, e forse di comprendere.
Articolo in inglese: Leonardo da Vinci: Capturing Divine Light
Per saperne di più: