È una domanda che si fa sempre più spesso, non solo nelle rubriche di commento della stampa britannica e in Parlamento, ma anche da figure di rilievo come il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il vicepresidente JD Vance: la Gran Bretagna sta diventando come la dittatura comunista immaginata/prevista dall’autore inglese George Orwell nel suo libro (un tempo considerato distopico) 1984? Londra ha istituito una sorta di polizia del pensiero?
Lord Toby Young, fondatore della Free Speech Union (l’Unione per la Libertà di Espressione, nata cinque anni fa), parlando con l’edizione britannica di Epoch Times ha risposto senza esitazione che «sì [la libertà di espressione, ndr] sta peggiorando».
«E ne abbiamo avuto prova dall’esplosione del nostro numero di tesserati». Fondata nel luglio 2024, l’Fsu — associazione che offre assistenza legale a chi subisce sanzioni disciplinari o arresti per aver espresso opinioni lecite — contava 14 mila iscritti, accumulati in cinque anni. In poco più di un anno, il numero è salito a 38 mila e lord Young prevede che entro fine 2025 toccheranno quota 50 mila.
Un tempo considerato un tema marginale (in quella che era considerata la patria delle libertà individuali sancite come inviolabili dallo Stato) oggi nel Regno Unito il diritto alla libera espressione è al centro dei dibattiti radiofonici e riempie ore del palinsesto televisivo in prima serata. Nella (ex) “liberale Inghilterra”, insomma, la libertà di parola non è più un dato di fatto scontato. Tutt’altro. Le forze di polizia vengono accusate di impiegare più tempo e mezzi nel controllo dei post sui social network che alla lotta contro la criminalità nelle strade.
Un caso esemplare, scoppiato il 2 settembre 2025, riguarda Graham Linehan, uno dei più noti sceneggiatori di commedie britanniche e co‑creatore della celebre sit-com Father Ted (una dissacrante serie britannica degli anni ’80 che prende in giro il mondo della chiesa cattolica). Linehan è stato arrestato all’aeroporto di Heathrow con l’accusa di istigazione alla violenza a causa di alcuni messaggi ironici pubblicati sulla piattaforma social X nei quali ha osato scherzare su degli uomini che si identificano come donne transgender. Linehan ha raccontato che cinque agenti armati (in una nazione in cui la polizia gira senza pistola) lo hanno atteso allo sbarco da un volo proveniente dagli Stati Uniti e lo hanno arrestato «per tre tweet». Il ministro della Sanità Wes Streeting ha poi dichiarato alla Bbc che il governo dovrà riesaminare la normativa relativa ai reati di parola online.
«Ogni volta che circola un video in cui si vede una persona arrestata per un tweet o un post su Facebook, assistiamo a un’impennata di adesioni» dice Toby Young, che lo scorso anno è stato eletto alla Camera dei Lord. Secondo lord Young, molti dei nuovi iscritti si rivolgono alla Fsu perché i loro sindacati di categoria si rifiutano di difenderli quando contestano «qualche dogma dell’ortodossia progressista radicale» e in certi casi, dice, «abbiamo seguito situazioni in cui i sindacati stessi hanno denunciato i propri iscritti ai rispettivi datori di lavoro, esortandoli a licenziarli per aver detto, ad esempio, che le donne transgender non sono donne». Uno scenario a dir poco surreale.
Il tema è arrivato anche alla Camera dei Lord, la Camera Alta del Parlamento britannico lo scorso luglio, durante una discussione su un’inchiesta del prestigioso Times pubblicata in aprile, che aveva inoltrato richieste di accesso agli atti a 37 commissariati di polizia. Dall’indagine è emerso che nel 2023 la polizia britannica ha effettuato 12.183 arresti legati all’esercizio della libertà di parola online — una media di 33 arresti al giorno — con un aumento del 58 percento rispetto al 2019. La maggior parte di questi procedimenti si fonda solo su due norme: il Malicious Communications Act (Legge sulla Comunicazione Dolosa) e la Sezione 127 del Communications Act (Legge sulla Comunicazione).
La baronessa Claire Regina Fox di Buckley, parlamentare eletto alla Camera dei Lord, ha detto in Aula che «qualcosa dev’essersi chiaramente incrinato nel sistema giudiziario e nell’operato della polizia» considerato che ormai le forze dell’ordine britanniche hanno in organico «reparti di agenti che passano al setaccio i post delle persone per stabilire se oltrepassino una soglia che nessuno ha mai definito». La baronessa Fox ha poi sottolineato come la rivista Economist sia stata ancora più esplicita nel denunciare questa condotta inaudita della polizia inglese: «È molto più facile acciuffare chi scrive su Instagram che un ladro; le prove, in fondo, sono a portata di clic».
Lord Toby Young denuncia il fatto che il ministero dell’Interno britannico abbia impartito direttive alla polizia secondo cui, se una presunta “vittima” segnala un fatto che ritiene essere un reato d’odio, la polizia è obbligata a aprire un’indagine.
Ma mentre gli arresti per reati di espressione aumentano, le condanne diminuiscono. Gli autori dell’inchiesta del Times hanno analizzato i dati del ministero della Giustizia e riscontrato che nell’ultimo decennio il numero di condanne e sentenze per tali reati è crollato drasticamente. E «questo ci dice che la polizia è diventata troppo zelante nella sorveglianza dei social network» osserva lord Young, secondo cui il problema ha radici nel modo in cui viene impostata la formazione degli operatori di pubblica sicurezza britannici: «Uno dei motivi per cui la polizia si spinge a questi eccessi è che riceve pochissima, se non nessuna, formazione sulla tutela garantita alla libertà di espressione». E d’altra parte — aggiunge il parlamentare inglese — gli agenti sono sottoposti a corsi su presunti pregiudizi inconsci, antirazzismo e inclusione transgender: «durante l’addestramento vengono sommersi da materiali “woke”, ma non ricevono quasi nulla sulle libertà costituzionali».
L’Unione per la Libertà di Espressione di lord Young ha presentato diverse istanze di accesso agli atti alle forze di polizia per sapere quanto tempo fosse dedicato allo studio dell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e «la risposta è stata: pochissimo o nessuno».
IL CASO CONNOLLY
Una delle vicende giudiziarie più controverse della Storia recente del Regno Unito è quella di Lucy Connolly. Il 29 luglio 2024, poche ore dopo l’accoltellamento in cui erano morti tre adolescenti in un centro estivo a Southport – uccisi da un diciassettenne di nome Axel Rudakubana – la donna aveva pubblicato su X un messaggio che recitava: «Deportazione di massa subito. Bruciate tutti gli hotel pieni di questi … E se questo mi rende razzista, pazienza». Il post era stato visualizzato oltre 310 mila volte in meno di quattro ore, prima di venire rimosso. Lucy Connolly, era stata arrestata una settimana dopo e successivamente condannata a trentuno mesi di reclusione, dopo essersi dichiarata colpevole di istigazione all’odio razziale.
L’Unione per la Libertà di Espressione aveva difeso pubblicamente la donna definendo la sentenza «manifestamente sproporzionata». Secondo Young, se la donna avesse scelto di dichiararsi innocente «avrebbe avuto buone probabilità di essere assolta». L’Unione aveva poi presentato appello alla sentenza, ma è stato respinto. Lucy Connolly è stata rilasciata dopo aver scontato il quaranta per cento della pena. Secondo Young, molti imputati scelgono di patteggiare perché temono di ricevere pene più severe se vanno a processo. «Nel caso di Lucy Connolly, inoltre, alla donna era stata negata la libertà provvisoria e temeva che, in attesa del processo, avrebbe trascorso più tempo in carcere che se si fosse dichiarata colpevole fin da subito».
LA POLIZIA INGLESE “VA PER CONTO PROPRIO”
Nel dibattito britannico sulla libertà di parola, l’attenzione pubblica si concentra soprattutto sui casi di “cancel culture” provenienti dalla sinistra, tra avvisi di sensibilità e controversie su microaggressioni. Tuttavia, secondo l’organizzazione Index on Censorship, la questione coinvolge ormai entrambi gli schieramenti politici. Il giornalista Owen Jones, editorialista del quotidiano di sinistra The Guardian, è stato espulso dalla conferenza del Partito Laburista dopo che il suo accredito era stato revocato per «problemi di sicurezza».
Un ulteriore aspetto di allarme riguarda i cosiddetti Non‑Crime Hate Incidents (episodi d’odio che non costituiscono reato). Lord Lebedev ha dichiarato davanti alla Camera dei Lord che dal 2014 ne sono stati censiti dalla polizia oltre 133 mila, e in alcuni casi le segnalazioni riguardano minori al di sotto dell’età minima di responsabilità penale, le parole dei quali potrebbero restare iscritte a loro carico per tutta la vita, «l’innocenza della gioventù è stata sostituita dalla presunzione di colpevolezza» ha affermato lord Lebedev.
Uno dei ricorsi più noti contro questa schedatura è quello di Harry Miller, ex agente di polizia e co‑fondatore dell’organizzazione Fair Cop. Nel 2019, dopo che la polizia dell’Humberside aveva verbalizzato una sua filastrocca satirica come “fatto d’odio non criminoso”, Miller aveva presentato denuncia. Ma nonostante al processo di primo grado avesse vinto, le linee guida nazionali erano ancora in vigore, fino al dicembre 2021, quando la Corte d’Appello ha annullato la direttiva giudicandola una violazione della libertà di espressione, e avvertendo che per i cittadini il sapere di essere schedati per le proprie opinioni «può essere causa di grave pregiudizio sul dibattito pubblico». Ma malgrado questa sentenza della magistratura e le promesse politiche di abbandonare questa prassi di schedatura di stampo sovietico, la polizia britannica continua a incoraggiare i cittadini a segnalare tali episodi sui portali ufficiali.
LA SVOLTA AUTORITARIA DELLA SCOZIA
Se in Inghilterra cresce la pressione per allentare le restrizioni alla libertà di espressione, in Scozia il governo ha invece imboccato la via opposta, introducendo nuovi delitti di opinione. La Legge sui reati d’odio e sull’ordine pubblico, in vigore dall’aprile 2024, punisce l’“istigazione all’odio” in riferimento a caratteristiche personali quali religione e disabilità, fino all’identità transgender e alle variazioni delle caratteristiche sessuali, indipendentemente dal fatto che le parole pronunciate provochino o meno reali danni.
Fraser Hudghton, direttore scozzese della Free Speech Union, ha dichiarato all’edizione britannica di Epoch Times che questa legge rischia di generare una valanga di processi nei mesi a venire, aggravando ulteriormente i ritardi accumulati durante la pandemia: «Negli ultimi dieci/vent’anni si è posta un’enfasi sempre più marcata sulla percezione della vittima, più che sulla realtà oggettiva dei fatti», e la Legge sulle zone di accesso protetto ai servizi abortivi, entrata in vigore nel settembre 2024, vieta le manifestazioni nel raggio di duecento metri dalle cliniche abortive scozzesi, rendendo quindi «possibile che una persona venga incriminata sulla base della percezione di un terzo, e che la polizia attribuisca particolare rilievo a quella percezione».
La parte più rilevante del lavoro quotidiano della Free Speech Union in Scozia riguarda università, collegi e luoghi di lavoro, dove singoli cittadini vengono sanzionati o indagati per semplici dichiarazioni: spesso gli attivisti e gli estremisti usano a scopo delatorio i moduli di segnalazione anonima per mettere il bavaglio a chi li contesta, «scatenando immediatamente un’indagine» da parte dell’istituto. «Nel diritto penale ci si aspetterebbe che al momento della denuncia prevalgano buon senso e imparzialità; ma nelle università o negli uffici non accade affatto», commenta Fraser Hudghton.
Un altro caso seguito dalla Free Speech Union ha riguardato il National Theatre of Scotland (Teatro Nazionale di Scozia), che aveva introdotto corsi obbligatori di “antirazzismo e lotta alla misoginia” per tutte le produzioni. L’organizzazione ha denunciato un’evidente discriminazione, visto che i corsi erano imposti solo agli interpreti bianchi, mentre gli artisti neri ne erano esentati. E se questo approccio dovesse estendersi alla formazione delle forze dell’ordine o ai criteri dell’applicazione penale, dice Hudghton, «il rischio di derive pericolose sarebbe altissimo».
In Scozia, tra gennaio 2023 e giugno 2025 più di 18 mila tra agenti e impiegati hanno completato i corsi di “Uguaglianza, Diversità e Inclusione”, altri 18.678 hanno seguito il corso “Difendere i nostri valori”, e oltre 1 200 persone hanno partecipato a un corso sulla questione razziale. L’istituzione ha inoltre creato la figura dei “Hate Crime Champion” (referenti per i reati d’odio), organizzato decine di seminari e fatto frequentare, solo nel 2024, un corso specifico sulla normativa sui crimini di odio a più di 15 mila agenti. Non si conosce nel dettaglio né chi tenga questi corsi né il contenuto dei materiali didattici. Secondo gli atti ufficiali, i cosiddetti “referenti dei reati d’odio” aiutano i colleghi poliziotti nel riconoscimento e nella registrazione degli episodi di discriminazione, fornendo aggiornamenti generali sul tema.
La Free Speech Union sottolinea inoltre la definizione ambigua di “islamofobia”, adottata da più di cinquanta amministrazioni locali e in discussione a livello nazionale: un concetto che, se approvato definitivamente, potrebbe comportare sanzioni disciplinari per consiglieri comunali o dipendenti pubblici che si esprimano sui casi di bande di sfruttamento sessuale legati a gruppi etnici specifici.
Un funzionario pubblico tuttora in servizio, iscritto alla Free Speech Union, ha raccontato a Et che il clima all’interno dei ministeri britannici spinge molti colleghi ad aderire all’associazione: «La pubblica amministrazione è ormai totalmente pervasa dall’ideologia “woke”, e non è raro veder celebrare eventi senza alcun senso logico, pensati più per irritare gli uomini britannici bianchi che per reali istanze di uguaglianza», la pubblica amministrazione britannica crea quindi un clima di costante provocazione, «essendo io una persona diretta, so di poter finire nei guai. Per questo mi sono iscritto alla Free Speech Union». Durante le sommosse americane del movimento Black Lives Matter, ha ricordato il funzionario, vi sono state alcune riunioni sul tema della diversità nelle quali «pochi partecipanti hanno osato esprimere qualche riserva». E in un raro caso di dissenso, «uno è stato richiamato e invitato a non dissentire più da quella linea: gli dissero esplicitamente “Non puoi dire certe cose, è inaccettabile metterti contro questa visione”». Il collega è stato poi obbligato a seguire un corso di rieducazione sulla diversità. Situazioni surreali, a cavallo tra l’intimidazione e il lavaggio del cervello.
IL MODELLO AMERICANO
L’amministrazione Trump ha più volte espresso preoccupazione a Bruxelles e a Londra per le restrizioni alla libertà di parola. Durante la conferenza stampa congiunta del settembre scorso, tenuta nel Regno Unito insieme al primo ministro Keir Starmer, Donald Trump ha preferito non commentare le polemiche sul tema, passando alla domanda successiva. Pochi giorni prima della visita, però, aveva criticato la legislazione britannica sull’espressione online, osservando che «stanno accadendo cose molto strane» e che «non è un buon segno».
Il vicepresidente americano JD Vance, intervenendo alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco dello scorso febbraio, ha espresso preoccupazione per il caso di Adam Smith Connor, ex militare inglese condannato per aver pregato in silenzio all’interno della zona di rispetto di una clinica abortiva a Bournemouth, in Inghilterra: «In Gran Bretagna, come in tutta l’Europa, temo che la libertà di parola stia regredendo».
Secondo lord Young la Gran Bretagna avrebbe bisogno di qualcosa di analogo al Primo Emendamento della Costituzione statunitense, che tutela la libertà di parola e di espressione. «Cinque anni fa sarebbe stata un’idea politicamente inconcepibile, ma oggi sta diventando sempre più plausibile». E ancora: «Se i Conservatori o il partito Reform, o una loro coalizione, dovessero formare il prossimo governo, non mi stupirebbe vedere una norma ispirata al Primo Emendamento anche nel nostro ordinamento. In un certo senso, gli Stati Uniti comprendono meglio di noi l’antica tradizione della libertà inglese. Se dovremo guardare all’America per ricordarci perché queste libertà debbano essere difese, così sia».
A quanto pare, i valori di libertà e moralità che i padri fondatori degli Stati Uniti d’America hanno trasferito nella propria Costituzione, possono – a distanza di 250 anni – aiutare il popolo britannico. Un paradosso sorprendente ma non troppo, considerando che la repubblica statunitense è nata come reazione alla tirannide della corona inglese.