Mentre decine di milioni di bambini tornano a scuola, genitori e insegnanti si interrogano su quanto l’intelligenza artificiale possa essere considerata eccessiva nell’ambito educativo.
Proprio come negli anni Sessanta la televisione e le radio portatili diffusero la musica e i messaggi dei movimenti controculturali, spingendo un’intera generazione di giovani a distaccarsi dalle regole morali seguite per millenni e insegnate dai loro genitori, l’Ia potrebbe influenzare una generazione di ragazzi abituandoli a rapportarsi con le macchine come se fossero esseri umani. Almeno questo è il timore di diversi addetti ai lavori. Molti insegnanti sono convinti che l’intelligenza artificiale comprometta l’integrità dell’istruzione. Secondo un sondaggio del 2024 su 850 docenti e 2 mila studenti pubblicato da The Wiley Network, il 47 per cento degli studenti ha ammesso che l’intelligenza artificiale rende più semplice barare. I professori hanno osservato come numerosi compiti presentati si somiglino in modo sospetto o non riflettano lo stile personale dello studente.
Anche gli universitari riconoscono che l’intelligenza artificiale li sta rendendo meno autonomi nel pensiero. Uno studio del 2024 sull’European Research Studies Journal rivela che l’83 per cento degli intervistati, prevalentemente studenti universitari, teme che l’Ia riduca la capacità di ragionare in modo indipendente. Un’indagine del 2023 condotta dalla Testata Intelligent su mille universitari americani, mostra che quasi un terzo ha utilizzato ChatGPT per i compiti scritti, e quasi il 60 per cento lo ha fatto per più della metà degli incarichi. Tra questi, tre su quattro considerano l’uso dell’intelligenza artificiale un imbroglio, ma continuano a usarla ugualmente. Evidentemente, già a scuola la comodità prevale sulla moralità.
In vari sondaggi, la maggior parte dei genitori esprime preoccupazione per gli effetti dell’intelligenza artificiale sui figli. Una ricerca di DoodleLearning del 2024 su mille genitori di bambini in età scolare dice che l’80 per cento è preoccupato per le conseguenze sull’istruzione e persino su privacy, sicurezza dei dati e per per il rischio di plagio.
Shannon Kroner, psicologa clinica, terapista educativa e autrice di libri per l’infanzia, ritiene che l’intelligenza artificiale ostacoli il pensiero critico e renda più impersonali i rapporti tra insegnanti e alunni, perché trasforma l’istruzione da un processo vitale fondato sul dialogo umano in una mera operazione meccanica: «l’intelligenza artificiale favorisce la pigrizia mentale sia negli insegnanti sia negli studenti, erodendo la curiosità, bloccando lo sviluppo cognitivo e limitando la risoluzione di problemi; e indebolisce logica e capacità di ragionamento» perché «i ragazzi non sentono più il bisogno di approfondire le ricerche o di analizzare le materie di studio per sostenere le proprie idee».
Ma gli insegnanti non se la passano meglio: per comodità, esattamente come gli studenti, ricorrono sempre più all’intelligenza artificiale per preparare le lezioni e semplificarsi il lavoro, perdendo progressivamente il proprio ruolo essenziale di educatore. Il risultato: le lezioni dei professori e le risposte degli studenti saranno il prodotto dei modelli chiusi, superficiali e vuoti del chatbot di turno.
Uno studio recente del Mit, ha indagato se l’intelligenza artificiale danneggi le abilità mentali. La ricerca ha analizzato dati cognitivi e neurologici di 54 studenti tra i 18 e i 39 anni, registrando l’attività cerebrale tramite elettroencefalografia. Divisi in tre gruppi – uno con ChatGPT di OpenAI, uno con il motore di ricerca Google e uno che usava solo il proprio ingegno – i partecipanti dovevano redigere vari saggi. Si è scoperto che chi usava ChatGPT o modelli linguistici avanzati mostrava il minore utilizzo del cervello, spesso limitandosi a copiare e incollare risposte. Nei quattro mesi di osservazione, questi utenti hanno mostrato prestazioni inferiori a livello neurale, linguistico e comportamentale. Il gruppo di studenti che con “lavorava” con il chatbot appariva «totalmente demotivato», dotato di minore memoria e caratterizzato da una ridotta attività nell’ippocampo, area cerebrale fondamentale per la formazione della memoria. In sintesi, lo studio conferma che l’intelligenza artificiale rende le persone meno intelligenti. Il che è ovvio, visto che si delega a una macchina il compito di pensare al proprio posto.