L’inviato americano Thomas Burke ha dichiarato che Israele non è interessato a rispettare i confini del Medio Oriente come stabiliti dall’accordo Sykes-Picot durante la prima guerra mondiale. Burke ha rilasciato queste dichiarazioni in un’intervista del 28 agosto con Mario Noble, personaggio pubblico australiano di origine libanese, noto soprattutto per il suo lavoro di giornalista, commentatore politico considerato una figura influente nel mondo digitale, soprattutto tra i giovani e le comunità arabe di tutto il mondo. Chiaro, quindi, il target delle dichiarazioni dell’inviato americano.
Burke ha anche affermato che il presidente siriano Ahmed al-Shara’ (al-Julani) non firmerà gli Accordi di Abramo con Israele: «Dal punto di vista di Israele, le linee definite da Sykes-Picot sono prive di significato». L’accordo Sykes-Picot fu firmato tra Gran Bretagna e Francia nel lontano 1916, durante la prima guerra mondiale, e prevedeva che i territori dell’Impero Ottomano nella regione della Siria e della Terra d’Israele venissero divisi, portando alla formazione degli Stati moderni di Libano, Siria, Giordania e Palestina mandataria, che poi fu data agli ebrei per la fondazione dello Stato di Israele.
Burke sta mediando i colloqui diretti tra Siria e Israele. In un’intervista, ha descritto al-Sharaa come «pragmatica», sottolineando che la cooperazione tra i due Paesi è «eccellente», ma ha raffreddato le aspettative di un accordo diplomatico più generale. Fonti politiche di Gerusalemme affermano che l’amministrazione Trump starebbe aumentando la pressione su Israele e Siria affinché raggiungano presto un patto di non aggressione, prima che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite si riunisca, nella seconda metà di settembre.
Al-Shara pronuncerà il suo primo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Anche Benjamin Netanyahu dovrebbe intervenire all’Assemblea Generale. Attualmente, fonti politiche a Gerusalemme ritengono improbabile un incontro tra Netanyahu e Al-Shara a margine dei colloqui Onu. Al-Shara non firmerà alcun accordo di normalizzazione con Israele, perché subordina tale decisione al completo ritiro di Israele dalle alture del Golan. E Israele non ha alcuna intenzione di rinunciare alla propria sovranità sulle alture del Golan (e Donald Trump è d’accordo).
Israele, inoltre, non è disposto a scendere dal Monte Hermon (che è siriano) e ritirarsi dalla zona cuscinetto, che ha allargato subito dopo la caduta del regime di Assad. D’altro canto, un accordo che disarmasse la Siria meridionale, impedirebbe alla Turchia di costruirvi basi militari e consentirebbe l’apertura di un valico umanitario dal territorio israeliano ai drusi di Sweida. Al-Shara’a, da parte sua, insiste affinché Israele si ritiri da tutti i territori occupati in Siria subito dopo la caduta del regime di Assad e torni all’accordo del 1974 tra Israele e la Siria.
In questo scenario a dir poco difficile (ma purtroppo del tutto normale in Medio Oriente) nel tempo che rimane fino alla convocazione dell’Assemblea Generale dell’Onu, l’amministrazione Trump compirà un intenso sforzo diplomatico per avvicinare le posizioni di Israele e Siria al fine di giungere alla firma di un accordo che metta fine alle ostilità. Nel frattempo, Israele mantiene ogni libertà di azione in tutta la Siria e conduce attacchi contro i terroristi e operazioni di intelligence. Secondo fonti di israeliane di Epoch Israele, al-Sharaa a Gerusalemme è visto come un soggetto in bilico tra forza e debolezza: forte in termini di controllo su alcune zone degli ambienti sunniti siriani (sebbene non con le fazioni jihadiste armate) ma debole in termini di capacità di governare un Paese povero, che necessita di investimenti stranieri per essere ricostruito. La forza di al-Sharaa presso l’opinione pubblica sunnita gli conferisce un certo grado di legittimità, ma eccessive concessioni a Israele potrebbero eroderla; allo stesso tempo, la sua debolezza economica lo spinge a fare compromessi per mancanza di alternative.
Dal punto di vista di Israele, il rovesciamento del regime di Assad è stato reso possibile grazie alle condizioni da esso stesso create; pertanto Israele si considera il vero architetto capace di ricostruire la nuova Siria. I messaggi inviati ad al-Sharia durante il massacro dei drusi a Sweida – tra cui il bombardamento del quartier generale del capo di stato maggiore e l’attacco all’area intorno al palazzo presidenziale a Damasco – sono un chiaro segno della volontà di Israele di andare fino in fondo (anche sul fronte siriano) per garantire la propria sicurezza.