Gli Stati Uniti negano il visto a Abbas niente discorso all’Onu

di Redazione ETI/Epoch Israele
30 Agosto 2025 14:20 Aggiornato: 31 Agosto 2025 9:45

La Autorità palestinese ha espresso in una dichiarazione ufficiale “dolore e sconcerto” per la decisione presa ieri dagli Stati Uniti di non concedere i visti  di ingresso alla delegazione palestinese, che avrebbe dovuto partecipare alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite in settembre, invitando Washington a riconsiderare la decisione. La dichiarazione accusa la decisione americana di essere contraria al diritto internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite, soprattutto alla luce del fatto che la Palestina è membro osservatore dell’organizzazione internazionale. La presidenza palestinese, secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, ha inoltre sottolineato il proprio impegno nei confronti del diritto internazionale, della legittimazione delle decisioni internazionali e di tutti i suoi obblighi nei confronti del processo di pace.

Ieri, il ministero degli Esteri americano aveva così chiuso la porta alle autorità palestinesi: «il Segretario di Stato Marco Rubio si rifiuta di concedere e revocare i visti ai membri dell’Olp e dell’Autorità Palestinese in vista dell’imminente Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L’amministrazione Trump è stata chiara: il nostro interesse per la sicurezza nazionale richiede che riteniamo l’Olp e l’Autorità Palestinese responsabili per il mancato rispetto dei loro impegni e per il danno alle prospettive di pace».

Anche il vicepresidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Hussein al-Sheikh, ha invitato gli Stati Uniti a revocare la propria decisione, sottolineando che si tratta di una decisione contraria al diritto internazionale. Il ministero degli Esteri palestinese ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui esprime stupore per la decisione degli Stati Uniti di impedire alla delegazione palestinese guidata da Abbas di partecipare alle prossime riunioni dell’Assemblea generale a New York, parlando di «grave violazione» del trattato internazionale che garantisce la libertà di ingresso delle delegazioni statali per partecipare alle riunioni. L’Autorità palestinese ha poi invitato il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il Consiglio di Sicurezza e gli Stati membri dell’organizzazione a intervenire e impedire l’attuazione della risoluzione americana.

Israele ha accolto con favore la decisione americana. Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha dichiarato: «Ringrazio il Segretario di Stato Marco Rubio per la decisione di negare i visti ai leader dell’Olp e dell’Autorità Nazionale Palestinese. Questa decisione riflette l’attribuzione di responsabilità all’Olp e all’Autorità Nazionale Palestinese per non aver punito il terrorismo e l’incitamento alla guerra contro Israele. Ringraziamo il Presidente Trump e l’amministrazione per questo passo coraggioso e per il suo essere ancora una volta al fianco di Israele».

Il portavoce degli Esteri americano Tommy Pigott ha spiegato che la decisione è stata presa «in conformità alla legge statunitense e alla sicurezza nazionale». E poi le parole più forti: «Per essere considerati seri interlocutori di pace, i palestinesi devono ripudiare il terrorismo, le azioni legali presso la Corte Penale Internazionale  e la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, e abbandonare le loro iniziative unilaterali per il riconoscimento di uno Stato palestinese».
Il viceministro degli Esteri americano Christopher Landau ha poi sottolineato che le ragioni della decisione sono state «le proclamazioni unilaterali di Stato palestinese, la glorificazione della violenza, l’incoraggiamento dell’antisemitismo e il sostegno materiale al terrorismo, compresi i pagamenti di stipendi ai terroristi».

Secondo fonti ben informate di Epoch Israele, l’Autorità Nazionale Palestinese è furiosa per la decisione di Rubio, e starebbe ora esaminando la validità legale della risoluzione americana, che secondo l’Olp violerebbe la Carta delle Nazioni Unite. Questa decisione significa infatti che Abbas non potrà partecipare alle discussioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il mese prossimo. E la cosa è particolarmente grave, perché risulta che Abbas, nel suo discorso, avesse pianificato di fare una “dichiarazione di indipendenza” palestinese ufficiale, secondo i confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. Una dichiarazione realizzata in coordinamento con Arabia Saudita, Francia, Gran Bretagna e diversi altri Paesi.
I politici israeliani hanno espresso soddisfazione per la nuova linea, durissima, dell’amministrazione Trump nei confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese, accusata di appoggiare il terrorismo e di continuare a rifiutarsi di condannare l’orribile massacro di israeliani perpetrato il 7 ottobre 2023 da Hamas.

Le stesse fonti affermano che una dichiarazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite da parte del Presidente dell’Autorità Palestinese della nascita di uno Stato palestinese indipendente, rappresenterebbe una ricompensa al terrorismo e un successo politico per Hamas, che mira alla completa distruzione dello Stato di Israele. Ma l’ultima parola non sarebbe ancora stata detta, ed è possibile che le Nazioni Unite e il Presidente dell’Autorità Palestinese si coordinino per aggirare la decisione americana, e consentire ad Abbas di rilasciare la dichiarazione in modo diverso. Il movimento dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, ad esempio, ha rilasciato una dichiarazione che invita i Paesi del mondo a spostare l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dagli Stati Uniti a un’altra nazione. Nel 1988, l’amministrazione Reagan negò all’allora capo dell’Olp, Yasser Arafat, il visto per partecipare a una conferenza delle Nazioni Unite a New York, a causa dei suoi stretti legami con il terrorismo. L’Onu spostò la conferenza da New York a Ginevra, dove Arafat tenne il suo discorso.
Ma – in quella che sta diventando una partita a scacchi tra Israele e Palestina – Israele, secondo alcune fonti, potrebbe direttamente impedire ad Abbas di lasciare Ramallah per recarsi all’estero, poiché qualsiasi partenza del genere richiede l’approvazione di Israele. E anche per questo esiste un precedente: tornando ai tempi del grande Arafat, durante la seconda Intifada (2000-2004), Israele non ha esitato a usare l’esercito per tenere sotto assedio Yasser Arafat, imprigionandolo di fatto nel suo quartier generale di Ramallah per ben tre anni, a causa del suo sostegno al terrorismo.

 

 


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