Il Partito comunista cinese è al servizio esclusivamente di se stesso

di Stu Cvrk per et usa
15 Agosto 2025 20:43 Aggiornato: 15 Agosto 2025 20:43

Decifrare le periodiche dichiarazioni pubbliche del capo del Partito comunista cinese Xi Jinping potrebbe costituire un’attività a sé stante. Alcune sue affermazioni e incitamenti lasciano perplessi, data la loro distanza da fatti facilmente verificabili. Si prenda ad esempio la sua dichiarazione del mese scorso, secondo cui i membri del Partito comunista cinese «devono promuovere una governance integrale e rigorosa del Partito, coltivando una condotta irreprensibile». Che cosa intende dire, e qual è la realtà? Xi lo ha detto durante una «sessione di studio collettivo» del Politburo del Comitato centrale del Pcc. C’è stato forse qualche dissenso o, meglio: è possibile che qualche funzionario del Pcc presente sia stato tanto imprudente da rischiare la carriera (o la salute) mettendo in discussione le affermazioni dello «zio Xi» (Jinping)? Naturalmente no: quelle parole rafforzano l’incessante ricerca del Pcc di legittimità politica e morale, nonché di controllo totale, ed eterno, su ogni aspetto della società cinese. In questo caso, insistendo sulla disciplina interna al Partito (attraverso formazione e indottrinamento), sulla purezza ideologica (interpretata esclusivamente dal Comitato centrale) e sull’efficacia governativa (eliminando al contempo la corruzione endemica).

Nell’ultimo decennio, Xi ha promosso costantemente il suo «progetto sistemico» a lungo termine, volto a imporre una disciplina ideologica in linea con gli insegnamenti di Mao Zedong e con il proprio pensiero, a instillare una condotta etica «corretta» (come definita da Xi e dal Partito) e ad attuare misure anticorruzione per sradicare manifestazioni pubbliche di edonismo, sperpero e altre debolezze umane da parte dei membri del Partito che danneggiano l’immagine del Pcc. La tesi di Xi è che tale progetto rappresenti una necessità morale e pratica per realizzare il rinnovamento nazionale (Sogno cinese) e l’armonia sociale. Il “Sogno cinese” è un’idea nazionalista per riportare la Cina al suo «ruolo storico» di potenza mondiale di primo piano – economico, militare e culturale – rafforzando al contempo l’autorità e il prestigio del Pcc e cancellando le presunte ingiustizie storiche subite (soprattutto da parte del Giappone e degli Stati Uniti).
Il “Sogno” contempla tutte le iniziative strategiche di Xi, dalla Nuova Via della Seta alla sicurezza internazionale alla civiltà mondiale (e altre simili visioni), ognuna concepita per arrivare a sostituire gli Stati Uniti nell’ordine internazionale post-bellico con uno nuovo, cinese, fondato su principi socialisti subordinati a Pechino. Altro elemento fondante di tale sogno è marcatamente nazionalista e fa leva sull’orgoglio nazionale per contrastare la cultura occidentale, in vista di un’identità unica, nazionale e fiduciosa nel Pcc. “Armonia sociale”, nel lessico del partito, indica uno stato di stabilità sociale, unità, conformità ideologica e sviluppo equilibrato della società e dell’economia sotto il dominio del Partito – con una popolazione felice e priva di dissenso e con mezzi e volontà politica per imporre la visione socialista del Pcc. Per raggiungere tale armonia, Xi ricorre regolarmente a slogan ad effetto, come la promozione della prosperità condivisa, la riduzione delle disuguaglianze e l’eliminazione della corruzione tra i membri del Partito e i non comunisti.
La definizione di “condotta irreprensibile” nasce dalla fusione tra confucianesimo e ideologia socialista, che implica la coltivazione della lealtà agli ideali del Partito, l’osservazione della disciplina e del dovere verso lo Stato, e la garanzia che tutte le azioni dei membri del Partito siano in accordo con i principi dello stesso: la cosiddetta prosperità, democrazia, civiltà e armonia. Una condotta irreprensibile dalle caratteristiche cinesi significa azioni intraprese per il bene collettivo definito dallo Stato-Partito, con enfasi sulla lealtà al Partito, sull’unità nazionale e sulla stabilità sociale. Implica anche il sostegno a tutte le politiche statali (per quanto contraddittorie o dannose) e la repressione di qualsiasi dissenso e critica verso le autorità comuniste. Mentre il Pcc insiste sul bene collettivo, i concetti tradizionali occidentali di condotta irreprensibile privilegiano i diritti individuali, l’integrità personale e l’etica universale, concetti del tutto ignorati nella dittatura comunista, in cui si è obbligati a servire lo Stato, non viceversa.

L’idea occidentale di condotta irreprensibile deriva da secoli di evoluzione filosofica influenzata da religione, guerre, Diritto e coscienza individuale. Al contrario, la condotta irreprensibile cinese è soggetta unicamente all’arbitrio del Pcc e imposta dal potere attraverso stretti controlli sociali, sorveglianza di massa, umiliazione pubblica, polizia predittiva, gestione e controllo a griglia e altri concetti orwelliani.
E la governance autonoma? La governance autonoma in Cina differisce profondamente dai principi occidentali. Quello che Xi intende per «migliorare la governance autonoma del Partito» implica azioni interne volte a preservare l’autorità (e quella di Xi) e la legittimità morale del Partito comunista. Tutto il resto è secondario: non parla certo di concetti occidentali come autonomia individuale o potere decentrato. La variante cinese si attua attraverso il controllo dall’alto del Partito e la governance autonoma avviene entro i limiti decisi dal Partito: elezioni di villaggio o consultazioni di base strettamente controllate – per consumo pubblico – da funzionari del Pcc. Significa che il 7 per cento dei membri del Partito esercitano una governance autonoma con caratteristiche cinesi per conto della popolazione generale.

Sebbene il Pcc permetta l’esistenza di otto partiti politici minoritari (ufficialmente definiti partiti “democratici”) spacciandola per democrazia con caratteristiche cinesi, quei partiti operano sotto il controllo del Pcc attraverso la Conferenza consultiva politica del popolo cinese, senza avere alcuna voce in capitolo nella “governance autonoma” di cui disserta Xi. Quei partiti minoritari fanno parte del famigerato Fronte unito, la cui dirigenza è nominata dal Dipartimento del lavoro del Fronte unito del Partito, e sono tenuti a sostenere il ruolo guida del Pcc e le politiche promosse nei governi locali e nel Congresso nazionale del popolo, cioè il parlamento fantoccio del Paese. I partiti minoritari rappresentano una frazione minima della popolazione cinese; il maggiore è la Lega democratica cinese, che nel 2023 contava circa 357 mila iscritti. Pertanto, la facciata che si presenta di questi “partiti democratici” minoritari, profondamente infiltrati e controllati dal Pcc, è doppiamente ironica.

La vera faccia del Partito comunista cinese, data dal totalitarismo assoluto, stride con le altisonanti rivendicazioni di «governance autonoma» ostentate da Xi Jinping e dai suoi subordinati. Il 7 per cento dei cinesi membri del Partito sono gli unici in grado di praticare una forma bastardizzata di governance autonoma; il resto della popolazione osserva, non partecipa. Ed è vittima delle politiche del Partito, concepite unicamente per perpetuare la propria autorità con l’ambizione di governare la Cina in eterno. Il “bene collettivo” che predicano i comunisti si traduce nel bene del solo Partito, non dell’intero popolo cinese. L’unico modo che i cinesi hanno di adottare i principi civili di vera governance autonoma che proteggano i diritti individuali, l’integrità personale e l’etica universale, è che il Partito comunista cinese finisca nella pattumiera della Storia. Prima avverrà meglio sarà. Per il popolo cinese e per il mondo intero.


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