Come l’intelligenza artificiale erode memoria e creatività

di Redazione ETI/Makai Allbert
6 Agosto 2025 22:04 Aggiornato: 6 Agosto 2025 22:04

L’intelligenza artificiale, come ChatGpt, è ormai parte integrante della vita quotidiana, utilizzata per scrivere email, saggi e documenti. Tuttavia, un recente studio del Massachusetts Institute of Technology (Mit) solleva interrogativi preoccupanti: l’uso di questi strumenti potrebbe compromettere la memoria, la creatività e l’autonomia di pensiero, generando un «debito cognitivo» con conseguenze a lungo termine.

Nel 2022, un’équipe di ricercatori del Mit ha coinvolto 54 studenti di Boston in un esperimento. I partecipanti hanno redatto saggi in tre condizioni diverse: usando ChatGpt, consultando Google per ricerche o affidandosi esclusivamente alle proprie conoscenze e capacità di ragionamento. I risultati hanno evidenziato un quadro allarmante. L’83% di chi aveva usato l’intelligenza artificiale non ricordava nemmeno una frase dei propri testi, scritti pochi minuti prima. Questo fenomeno, definito «amnesia indotta dall’Ia» è solo la punta dell’iceberg.

Monitorando l’attività cerebrale, i ricercatori hanno osservato che chi si affida a ChatGpt mostra una ridotta attivazione neurale. Gli studenti che scrivono senza aiuti tecnologici generano quasi il doppio delle connessioni nella banda alfa, associata a concentrazione e creatività, rispetto a chi usa l’intelligenza artificiale. Nella banda theta, legata alla formazione della memoria e al pensiero profondo, il divario è ancora più marcato: 62 connessioni per chi scrive autonomamente contro 29 per gli utenti dell’intelligenza artificiale. Così come i navigatori Gps riducono la capacità di orientarsi, gli strumenti di scrittura basati sull’intelligenza artificiale sembrano spingere il cervello a “risparmiare energia”, delegando il lavoro cognitivo a un sistema esterno.

Quattro mesi dopo il primo esperimento, i partecipanti del gruppo che aveva usato ChatGpt sono stati invitati a scrivere un nuovo saggio, questa volta senza aiuti tecnologici. Gli esami con elettroencefalogramma hanno rivelato una persistente riduzione dell’attivazione neurale rispetto a chi aveva sempre scritto in modo autonomo. Questo fenomeno, definito «debito cognitivo» dai ricercatori, evidenzia come l’uso dell’intelligenza artificiale offra benefici immediati ma possa comportare danni duraturi.

Scrivere è un’attività complessa che richiede di selezionare informazioni rilevanti, organizzarle coerentemente e rielaborarle in modo personale, e che stimola il ragionamento, la creatività e la memoria. Quando questo compito è svolto un algoritmo, il cervello perde l’opportunità di esercitarsi. Gli esperti sottolineano che la scrittura è uno strumento fondamentale per l’apprendimento: se gli studenti non ricordano quello che hanno scritto, il valore formativo del processo si riduce drasticamente.

Mohamed Elmasry – professore emerito di ingegneria informatica all’Università di Waterloo, esperto di intelligenza artificiale e intelligenza umana – avverte che l’uso eccessivo di strumenti come ChatGpt per attività cognitive abituali priva la memoria dello stimolo necessario per mantenersi attiva. Sebbene non vi siano prove dirette che colleghino l’uso dell’intelligenza artificiale alla demenza, Elmasry ipotizza che un cervello meno stimolato possa diventare più vulnerabile al declino cognitivo con l’avanzare dell’età.

L’esperimento ha messo in luce un altro effetto preoccupante: la perdita di individualità. I saggi dei partecipanti, basati su domande di natura umana come il significato della lealtà o l’obbligo morale verso i meno fortunati, avrebbero dovuto riflettere esperienze e ragionamenti personali. Invece, i testi generati con ChatGpt risultavano uniformati, con frasi, strutture e prospettive simili, quasi standardizzate. Gli insegnanti di inglese, ignari di quali saggi fossero stati prodotti con l’intelligenza artificiale, hanno descritto questi ultimi come impeccabili nella forma ma privi di profondità e originalità, definendoli «senza anima» per la mancanza di osservazioni personali.

Questa uniformità solleva interrogativi sul pensiero individuale. Affidarsi all’intelligenza artificiale per trovare le parole giuste rischia di delegare anche la formazione del pensiero stesso, riducendo la capacità di esprimersi in modo autentico.

Ragionare richiede energia neurale, e il cervello tende naturalmente a conservare risorse quando esistono alternative più semplici. L’uso frequente di strumenti come ChatGpt potrebbe abituare il cervello a un ruolo passivo, trasformandolo in un consumatore delle proprie idee. Per secoli, la capacità di pensare autonomamente è stata considerata un pilastro della dignità umana: l’autonomia, infatti, si fonda sulla facoltà di ragionare in modo indipendente.

Alcuni partecipanti all’esperimento hanno confessato un senso di colpa nell’usare l’intelligenza artificiale, anche quando i risultati erano migliori. Questo disagio potrebbe riflettere un’intuizione: si perde qualcosa di prezioso nel delegare il pensiero a un algoritmo e, come osservato da un partecipante, usando l’intelligenza artificiale «sembra quasi di barare». Ogni prompt che genera convenienza sembra spegnere, almeno in parte, la scintilla della creatività e del ragionamento umano.

L’adozione dell’intelligenza artificiale è ormai inevitabile, il progresso tecnologico è inarrestabile. Tuttavia, la chiave sta nell’usarla con consapevolezza: se impiegata con moderazione e intenzione, l’intelligenza artificiale può potenziare la produttività e persino stimolare la creatività. È essenziale, però, che studenti e utenti mantengano un approccio critico, dando priorità al pensiero autonomo e usando l’intelligenza artificiale come uno strumento, non come una scorciatoia che sostituisca il lavoro mentale.


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