Le conseguenze della “Trumponomics”

di Andrew Moran/Giovanni Donato
12 Luglio 2025 8:57 Aggiornato: 12 Luglio 2025 14:49

La politica commerciale del presidente degli Stati Uniti ha registrato un’accelerazione significativa questa settimana, con l’avvicinarsi della fatidica scadenza del 1° agosto. Parlando con i giornalisti alla Casa Bianca l’11 luglio, Donald Trump ha dichiarato: «i nostri amici si sono rivelati peggiori dei nemici», come spesso accade. Trump ha inviato le ormai famose lettere ai capi di Stato e di governo di mezzo mondo per informarli dei nuovi dazi che inizieranno a pagare dal mese prossimo. E le ha pubblicate su Truth.

Birmania (o Myanmar) e Cambogia si sono visti applicare dazi rispettivamente del 40% e del 36%, il Brasile del 50%, il Canada del 35%, il Giappone e la Corea del Sud del 25%.
Il presidente brasiliano Luiz Inácio “Lula” da Silva ha promesso una risposta a breve. «Il Brasile è un paese sovrano con istituzioni indipendenti e non accetta lezioni da nessuno», ha scritto Lula su X. Secondo l’Ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti, l’avanzo commerciale statunitense con il Brasile è stato di 7,4 miliardi di dollari lo scorso anno, in crescita del 32% rispetto al 2023. Questo ha sollevato timori di un aumento dei prezzi delle materie prime agricole, in particolare del caffè e del succo d’arancia. Il Brasile è il principale fornitore di chicchi di arabica e robusta negli Stati Uniti, e la metà del succo d’arancia venduto sul mercato interno proviene dal paese sudamericano. I future del succo d’arancia sono saliti del 30% questa settimana sull’Ice Futures statunitense, chiudendo a 2,89 dollari per libbra, mentre i future del caffè sono rimasti stabili a 2,88 dollari per libbra. Ma l’amministrazione Trump evidentemente ha già messo in conto queste dinamiche.
Quanto al Canada, il primo ministro Mark Carney ha assicurato che difenderà lavoratori e imprese «mentre lavoriamo verso la nuova scadenza del primo agosto» ha dichiarato su X. Il premier dell’Ontario, Doug Ford, ha esortato Ottawa a reagire rapidamente, negoziando un accordo commerciale per evitare pesanti dazi. «Ora più che mai, il governo federale deve lavorare senza sosta per raggiungere un’intesa che sia vantaggiosa per il Canada e che elimini tutti i dazi americani», ha dichiarato l’ufficio del premier in una nota. Questo tira e molla con i dazi sembra quindi portare i risultati voluti dall’amministrazione americana: paura e caos.

Donald Trump allo stesso tempo continua a ripetere che la de-escalation rimane possibile. Nelle lettere, il capo della Casa Bianca ha chiarito che i dazi saranno più alti o più bassi per ogni Paese, a seconda di come andranno le trattative: «Se volete aprire i vostri mercati (che finora erano chiusi) agli Stati Uniti e rimuovere le vostre politiche doganali e non, e le barriere al commercio, noi potremmo considerare un aggiustamento rispetto a questa lettera» ha scritto infatti Trump. «Questi dazi potranno venire modificati, al rialzo o al ribasso, in base ai rapporti con il vostro Paese. Non resterete mai delusi dagli Stati Uniti d’America», ha poi chiosato il consumato negoziatore, lanciando un messaggio che appare interpretabile, al tempo stesso, sia come una mano tesa che come una “minaccia”.

IL NEO-PROTEZIONISMO STATUNITENSE

L’azione dell’amministrazione Trump non si limita ai dazi. Durante una riunione di Gabinetto dell’8 luglio, alla presenza dei giornalisti, Trump ha annunciato un dazio del 50% sul rame. Le quotazioni del metallo industriale sono schizzate di quasi l’11% dopo le sue dichiarazioni, raggiungendo un massimo storico di 5,52 dollari per libbra. A fine settimana, il rame ha continuato a guadagnare terreno, superando i 5,61 dollari e registrando un balzo settimanale di quasi l’11%. In un post su Truth del 9 luglio, Trump ha confermato che il dazio entrerà in vigore il 1° agosto, «dopo aver ricevuto una solida valutazione sulla sicurezza nazionale».  Il rame è essenziale per microchip, aerei, navi, munizioni, data center, batterie agli ioni di litio, sistemi radar, sistemi di difesa missilistica e persino armi ipersoniche «di cui ne stiamo costruendo molte» ha scritto il presidente americano, «il rame è il secondo materiale più utilizzato dal ministero della Difesa».

Il ministro del Commercio, Howard Lutnick, ha dichiarato a Cnbc che in questo caso l’obiettivo è riportare la produzione di rame negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti consumano il doppio di quanto producono, affidandosi alle importazioni dai principali produttori mondiali, in primis il Cile. I minatori americani producono circa 1,1 milioni di tonnellate all’anno, contro i 5,3 milioni del Cile.
Secondo gli analisti di mercato, i dazi potrebbero accentuare le pressioni sui prezzi del rame, soprattutto in un contesto di riserve mondiali in diminuzione. «Le scorte di rame sul London Metal Exchange si sono notevolmente ridotte, alimentando preoccupazioni per una carenza globale di approvvigionamenti al di fuori degli Stati Uniti», dice Adam Turnquist, capo stratega tecnico di Lpl Financial a Et Usa; e l’aumento dei prezzi del rame potrebbe avere un impatto negativo su settori a impiego intensivo di questo metallo, come i veicoli elettrici, l’edilizia e l’elettronica. A questo proposito va ricordato che i prezzi di Borsa sono anche pesantemente soggetti a dinamiche meramente speculative di breve periodo, tipiche dei momenti in cui si verificano cambiamenti di qualsivoglia natura. Mentre le decisioni degli Stati Uniti (e di qualunque nazione) hanno normalmente carattere strategico, di lungo periodo.

Oltre ai dazi sul rame, Trump ha minacciato un dazio del 200% sui prodotti farmaceutici importati. Il presidente e la sua amministrazione discutono di dazi sui farmaci da mesi. Sebbene l’annuncio ufficiale sia imminente, Trump ha chiarito che i dazi non entreranno in vigore immediatamente, ma richiederanno «circa un anno-un anno e mezzo». Sui farmaci il presidente americano segue quindi una strategia del tutto diversa: «Daremo loro un certo periodo di tempo per organizzarsi» dice. Secondo l’associazione di categoria Pharmaceutical Research and Manufacturers of America, un dazio del 25% sui farmaci stranieri farebbe aumentare i costi dei medicinali di circa 51 miliardi di dollari, con un incremento dei prezzi negli Stati Uniti di quasi il 13%. «Quando i medicinali innovativi o i loro componenti provengono da altri Paesi, questi prodotti arrivano prevalentemente da alleati affidabili degli Stati Uniti e non rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale» ha dichiarato l’associazione in un rapporto di maggio. «L’imposizione di dazi su farmaci e componenti provenienti da alleati potrebbe ostacolare gli investimenti del settore, limitare l’accesso dei pazienti americani a medicinali innovativi e danneggiare la competitività degli Stati Uniti».

Secondo i calcoli del Yale Budget Lab, i consumatori americani dovranno affrontare un tasso di dazio medio effettivo del 18,7%, il più alto dal 1933. Ma nonostante le pressioni sui costi dovute ai dazi, i dati non indicano un aumento dell’inflazione. Secondo una nuova analisi del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, i dazi non stanno causando inflazione. Citando l’Indice dei prezzi al consumo e l’Indice dei prezzi delle spese per consumi personali (indicatore preferito dalla Federal Reserve) nel periodo da dicembre a maggio i consiglieri economici di Trump notano che l’Indice delle spese per consumi personali è aumentato dello 0,4% in sei mesi, corrispondente a un tasso annualizzato dell’1%. Inoltre, i prezzi dei beni importati, sia per l’Indice dei prezzi al consumo che per l’Indice delle spese per consumi personali, sono diminuiti rispettivamente dello 0,8% e dello 0,1%.

«È importante notare che finora non si rileva una chiara inversione di tendenza. Questa analisi suggerisce che i dazi non abbiano ridotto l’impulso disinflazionistico dei beni importati fino a maggio» dicono i consulenti economici del Presidente. Anche le aspettative di inflazione dei consumatori si sono stabilizzate ai livelli pre-dazi. Il sondaggio sulle aspettative dei consumatori della Federal Reserve di New York di giugno, mostra una proiezione di inflazione a un anno del 3%, il livello più basso da gennaio. La prossima settimana saranno pubblicate diverse analisi sull’inflazione. Il modello di nowcasting dell’inflazione della Federal Reserve di Cleveland prevede che il tasso di inflazione annuale complessivo salga al 2,6%, con un aumento mensile dello 0,3%. L’indice dei prezzi alla produzione di giugno, che misura i prezzi pagati dalle imprese per beni e servizi impiegati appunto per la produzione, dovrebbe crescere dello 0,2% su base mensile.