Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accolto, per la terza volta quest’anno, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca nella serata di ieri, 7 luglio, per una cena incentrata su tre obiettivi principali: raggiungere una pace duratura con l’Iran, consolidare un cessate il fuoco a Gaza e allargare gli Accordi di Abramo.
All’inizio dell’incontro, Netanyahu ha consegnato a Trump una copia della lettera inviata al Comitato per il Nobel, con cui ha candidato il presidente statunitense al Premio per la Pace, definendo il riconoscimento «pienamente meritato». Trump, visibilmente sorpreso, ha replicato: «Non ne ero a conoscenza» e ha ringraziato il Primo Ministro Israeliano. Obiettivo dell’incontro era la liberazione degli ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas e il cessate il fuoco. Si ritiene che vi siano ancora a Gaza oltre 50 ostaggi, di cui Netanyahu ha dichiarato che almeno 20 sono vivi.
La più recente proposta di cessate il fuoco, mediata dagli Stati Uniti e appoggiata da Israele, è stata sottoposta a Hamas tramite degli intermediari, e l’organizzazione terroristica non l’ha ancora accettata. Ma Trump è ottimista: «Credo che siamo vicini a un accordo su Gaza. Potremmo raggiungerlo questa settimana», aveva dichiarato il presidente americano ai giornalisti il 6 luglio. E durante l’incontro di ieri, anche l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha espresso ottimismo nonostante le recenti notizie di soldati israeliani uccisi in un’imboscata.
Interrogato sulla possibile ricollocazione dei palestinesi, Netanyahu ha risposto: «Si tratta di una libera scelta. Chi vuole restare può restare, ma chi desidera andarsene dovrebbe poterlo fare: non deve essere una prigione», aggiungendo poi che Israele sta collaborando strettamente con gli Stati Uniti per individuare Paesi disposti a offrire un futuro migliore ai palestinesi; Trump ha sottolineato di aver ricevuto «un’ottima collaborazione» da diversi Paesi della regione in tal senso.
L’ultimo cessate il fuoco è fallito il 18 marzo a causa di disaccordi sull’attuazione della seconda fase, che avrebbe dovuto porre fine al conflitto e garantire la liberazione di tutti gli ostaggi,
L’incontro di ieri si è tenuto poche settimane dopo che gli Stati Uniti hanno condotto gli attacchi aerei contro le strutture nucleari iraniane di Fordow, Isfahan e Natanz. A seguito di tali azioni, gli Stati Uniti hanno mediato un cessate il fuoco tra Israele e l’Iran. Il 6 luglio, Trump ha dichiarato ai giornalisti che la sua amministrazione sta lavorando a «molte cose», tra cui «un accordo permanente con l’Iran», ribadendo però che un’intesa di pace sarà possibile solo se l’Iran abbandonerà le sue ambizioni nucleari, e che gli attacchi americani hanno portato alla «totale distruzione» dei siti nucleari iraniani. «Abbiamo in programma colloqui con l’Iran, e loro vogliono parlare», ha detto Trump durante l’incontro con Netanyahu sottolineando come come ora, il regime degli ayatollah abbia cambiato atteggiamento «rispetto a due settimane fa» e voglia «trovare un’intesa».
Secondo Allison Minor, direttore dell’Istituto di ricerca N7 del Consiglio Atlantico, Trump ora punta a trasformare i cessate il fuoco in un trampolino di lancio per stabilizzare l’intero Medio Oriente, allargando a più nazioni della regione gli Accordi di Abramo, mediati dallo stesso Donald Trump nel 2020, che hanno già normalizzato i rapporti tra Israele e Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Trump ora vuole includervi subito la Siria, spiega l’analista, perché il momento attuale rappresenta un’opportunità storica per ridefinire le relazioni tra Siria e Israele, specialmente dopo la decisione di Trump di revocare le sanzioni. Il 7 luglio, Trump ha anche revocato la classificazione di organizzazione terroristica a Hayat Tahrir al-Sham, che ha preso il potere a dicembre dopo aver rovesciato l’allora presidente siriano Bashar al-Assad al termine di anni di guerra civile. E Al-Sharaa, leader di Hayat Tahrir al-Sham, è ora riconosciuto come il presidente della Siria.
Gli sforzi di Netanyahu per normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita sembrano invece essere in stallo, almeno fino a quando il conflitto tra Israele e Hamas non sarà risolto. I sauditi hanno richiesto una chiara road map verso la creazione di uno Stato palestinese, prima di accettare di normalizzare i rapporti con Israele. L’amministrazione Trump si è più volte astenuta dal confermare se la soluzione dei due Stati (ossia Israele e Palestina nazioni sovrane e, soprattutto, confinanti) resti la posizione ufficiale della politica estera statunitense. Alla domanda di un giornalista sulla soluzione dei due Stati, durante l’incontro, il presidente degli Stati Uniti ha risposto passando la parola a Netanyahu e glissando con una battuta: «Ha davanti l’uomo più grande del mondo per rispondere a questa domanda». Netanyahu ha quindi replicato: «Penso che i palestinesi debbano avere tutte le facoltà per governarsi, ma nessuna facoltà di minacciarci. Questo significa che alcune prerogative, come la sicurezza complessiva, rimarranno sempre nelle nostre mani».
Netanyahu è ospitato a Blair House, la residenza ufficiale per gli ospiti del presidente. Secondo l’ufficio del Primo Ministro israeliano, prima dell’incontro con Trump, Netanyahu ha avuto un colloquio con Steve Witkoff, inviato speciale per il Medio Oriente, seguito da un altro incontro con il ministro degli Esteri Marco Rubio. È previsto che l’8 luglio incontri anche il vice presidente JD Vance e il presidente della Camera Mike Johnson.
Donald Trump ha sempre espresso un forte sostegno a Netanyahu, intervenendo persino sul processo per corruzione in cui è imputato: «È terribile quello che stanno facendo a Bibi Netanyahu in Israele. È un eroe di guerra e un primo ministro che ha fatto un lavoro straordinario collaborando con gli Stati Uniti per ottenere grandi successi nell’eliminare la pericolosa minaccia nucleare iraniana. E soprattutto, ora sta negoziando un accordo con Hamas, che prevede la liberazione degli ostaggi» ha scritto su Truth il 28 giugno, aggiungendo: «È una caccia alle streghe politica, molto simile a quella che ho dovuto subire io. Questa farsa giudiziaria interferirà con i negoziati sia con l’Iran sia con Hamas».