Nuovo avvertimento dal regime cinese ai Paesi intenzionati a stipulare intese commerciali con Washington, mentre si avvicina la scadenza del 9 luglio e l’accordo col Vietnam viene indicato dalla Casa Bianca come il “modello” da seguire per tutti gli accordi sui dazi.
L’intesa del 2 luglio fra Stati Uniti e Vietnam prevede l’azzeramento dei dazi per l’ingresso dei prodotti statunitensi nel mercato vietnamita, mentre le esportazioni vietnamite verso gli Stati Uniti saranno soggette a un dazio del 20 per cento. I beni riesportati mediante triangolazione attraverso il Vietnam subiranno invece un dazio del 40 per cento: la riesportazione consiste nel far transitare merci, soprattutto cinesi, attraverso Paesi terzi per eludere i dazi americani imposti alla Cina. Attualmente, infatti, la Cina è il principale esportatore verso il Vietnam che, a sua volta, ha negli Stati Uniti il suo principale mercato di sbocco.
La reazione del regime comunista cinese è stata immediata: il 3 luglio, un portavoce del ministero del Commercio ha dichiarato che Pechino «si oppone fermamente a qualsiasi accordo concluso a danno degli interessi cinesi» e ha avvertito che «la Cina reagirà con decisione». Minacce simili erano già state formulate alla fine di giugno e nel mese di aprile.
L’intesa con il Vietnam è la terza firmata dagli Stati Uniti, dopo quelle con il Regno Unito e con la stessa Cina. Ma il regime cinese, pur avendo già siglato un proprio accordo con l’America, continua a guardare con seria preoccupazione alle trattative in corso tra gli Stati Uniti e altri Paesi, nella paura che l’adozione di criteri commerciali più rigidi possa ostacolare proprio la riesportazione, causando danni devastanti alla già malandata economia cinese. Senza questa furbizia, infatti, il regime cinese potrebbe esportare in America solo rispettando l’accordo commerciale appena concluso. E questo l’economia cinese evidentemente non se lo può permettere. Anche perché il colpo subìto in seguito all’accordo col Vietnam, secondo gli analisti, è non indifferente: il Vietnam rappresenta il principale snodo delle riesportazioni cinesi in tutto il mondo. E il Vietnam sarà costretto a far rispettare scrupolosamente le regole, rendendo molto difficile l’espediente con cui, finora, le merci cinesi facevano tappa in Vietnam solo per venire etichettate “made in Vietnam” e poi rimesse sulle navi portacontainer.
E ora, il dramma del regime cinese è che l’accordo sottoscritto dal Vietnam con gli Stati Uniti (che già di per sé un problema) potrebbe diventare il nuovo schema da applicare a tutti i maggiori accordi commerciali internazionali, come d’altra parte chiede Washington.
Fonti cinesi (anonime per ovvie ragioni di sicurezza personale) di Epoch Times Usa, d’altra parte confermano il giochino della triangolazione col Vietnam non sta già funzionando più: le severe misure di controllo adottate dagli Stati Uniti rendono sempre più difficile l’invio di prodotti cinesi in America passando attraverso Paesi terzi, perché «le dogane di Vietnam, Corea del Sud e Malesia stanno intensificando i controlli sui prodotti cinesi – dice la fonte – e da giugno questo metodo è diventato sempre meno praticabile».
L’amministrazione Trump sta attualmente trattando con India e Unione Europea. Pechino – che con l’Ue su questo tema è già ai ferri corti – ha sollecitato Bruxelles a «rispettare gli interessi fondamentali reciproci». Al di là del fatto che «gli interessi fondamentali» qui in gioco sono, evidentemente, più cinesi che reciproci, secondo gli osservatori le pressioni del regime cinese si riveleranno inefficaci, perché Pechino non dispone di leve sufficienti per ostacolare un’intesa tra Unione Europea e Stati Uniti, considerato che gli interessi (anche “solo” economici) che legano Europa e America sono maggiori di quelli che legano Europa e Cina. Ubi maior, minor cessat.