In una decisione storica del 27 giugno, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha posto un freno significativo al potere dei giudici di emettere ordinanze che blocchino le politiche del Presidente.
Questi ordinanze, note in America col nome di “ingiunzioni nazionali”, hanno visto un’impennata durante la presidenza di Donald Trump. Con una sentenza votata a maggioranza (6-3), la Corte Suprema ha stabilito che il Parlamento non ha conferito ai giudici l’autorità di emanare misure di ampio respiro a favore di soggetti non direttamente coinvolti nei procedimenti giudiziari.
Alcuni dettagli devono ancora essere chiariti, e il destino ultimo delle politiche di Trump rimane in sospeso. Ma la decisione della Corte offre all’amministrazione un vantaggio strategico nelle battaglie legali contro i giudici federali, limitando l’ampiezza delle restrizioni che questi possono imporre alle politiche presidenziali. A livello pratico, la sentenza ha sospeso temporaneamente tre ingiunzioni nazionali che ostacolavano il tentativo di Trump di restringere il diritto di cittadinanza per nascita.
La giudice Amy Coney Barrett, autrice dell’opinione di maggioranza, ha precisato che la decisione intende bloccare le ordinanze «solo nella misura in cui risultino più ampie del necessario per garantire un risarcimento completo a ciascun ricorrente con legittimazione a intentare causa». I giudici che hanno emesso tali ordinanze dovranno ora riconsiderarli alla luce della nuova pronuncia della Corte Suprema.
Le ordinanze nazionali non trovano fondamento nella storia giuridica degli Stati Uniti. Il fulcro della decisione della Corte Supremza si concentra su una legge del 1789. La Corte ha evitato di pronunciarsi sull’Articolo III della Costituzione, che delinea in generale l’autorità dei tribunali federali e che era stato invocato dai repubblicani e dall’amministrazione Trump per contestare le ordinanze relative al diritto di cittadinanza per nascita. Nell’opinione di maggioranza, il giudice Barrett sottolinea che le ordinanze nazionali non trovano riscontro nella prassi giudiziaria né statunitense né inglese. Un aspetto centrale dell’opinione, è che le misure di ampio respiro non siano intrinsecamente anticostituzionali ma che dipendano dalla natura delle parti in causa nei singoli casi; quindi i tribunali ordinari possono emettere ordinanze volte a garantire un risarcimento “completo” alle parti direttamente coinvolte nel procedimento, senza però estenderlo a altre fattispecie analoghe.
Ma l’opinione del giudice supremo Barrett si astiene dall’affrontare la costituzionalità dell’ordine di Trump e la possibilità che esso sia conforme al XIV Emendamento, una questione probabilmente rimandata a data successiva, dopo che i tribunali inferiori avranno aggiornato le ordinanze di blocco alla politica di Trump.
In ogni caso, la Barrett ha sottolineato come i giudici debbano esercitare moderazione nel limitare le politiche dell’esecutivo: «nessuno mette in dubbio che l’esecutivo abbia il dovere di rispettare la legge, ma il potere giudiziario non ha un’autorità illimitata per far rispettare questo obbligo; in alcuni casi, la legge lo vieta espressamente». E che la suprema corte abbia ribadito questo principio – più che ovvio, nell’ottica della separazione dei poteri dello Stato – ha fatto esultare Donald Trump.
Nella sua opinione dissenziente, il giudice della Corte Suprema Sotomayor ha sostenuto che affrontare la costituzionalità dell’ordine di Trump fosse essenziale per comprendere la legittimità delle ordinanze nazionali, perché, l’«evidente illegalità» dell’ordine, secondo il giudice di orientamento democratico «rivela la gravità dell’errore della maggioranza e sottolinea perché l’equità giustifica le ordinanze universali». La Sotomayor e il giudice Ketanji Brown Jackson, autrice di un dissenso separato, hanno espresso profondo disaccordo con la Barrett e la maggioranza: «Nessun diritto è al sicuro nel nuovo regime giuridico creato dalla Corte», perché se oggi è la cittadinanza per nascita a essere minacciata, «domani un’altra amministrazione potrebbe tentare di confiscare armi da cittadini rispettosi della legge o impedire a persone di determinate fedi di riunirsi per il culto», osservano curiosamente i due giudici di orientamento “progressista”, con il giudice Jackson che parla di «minaccia esistenziale allo Stato di diritto».
Il giudice Barrett e i suoi colleghi di orientamento conservatore – in maggioranza – hanno risposto al dissenso della Jackson definendolo «difficile da inquadrare» perché «in contrasto con oltre due secoli di precedenti, per non parlare della Costituzione stessa». In un altro passaggio, il giudice Barrett ha evidenziato una contraddizione nell’approccio dei due giudici Jackson e Sotomayor: mentre quest’ultima ha affrontato questioni come la Legge sul Potere Giudiziario e i precedenti giudiziari, la Jackson ha scelto «una linea di attacco sorprendente, che non è ancorata né a queste fonti né, francamente, ad alcuna dottrina» ha scritto la Barrett, aggiungendo che la visione del giudice Jackson del ruolo del potere giudiziario «farebbe arrossire persino il più ardente difensore della supremazia dei giudici».