La Commissione Europea ha deferito Repubblica Ceca, Spagna, Cipro, Polonia e Portogallo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per non aver applicato adeguatamente il Regolamento sui Servizi Digitali. Questa normativa, concepita per rafforzare la sicurezza online, obbliga le piattaforme digitali a eliminare contenuti illegali, prevenire attività dannose, valutare i rischi sistemici e contrastare la disinformazione.
Il 7 maggio, la Commissione ha censurato i cinque Stati per non aver nominato un coordinatore nazionale dei servizi digitali con pieni poteri di vigilanza sull’applicazione della legge. La Polonia non ha ancora designato questa figura, mentre Repubblica Ceca, Cipro, Spagna e Portogallo, pur avendola nominata, non hanno conferito ai coordinatori l’autorità necessaria.
Nessuno di questi Paesi ha previsto sanzioni per chi viola il Regolamento sui Servizi Digitali, compromettendo, secondo Bruxelles, l’efficacia della normativa. Il regolamento si rivolge soprattutto a colossi come Google, Meta e X, ma richiede agli Stati membri di garantire strutture di controllo adeguate. In assenza di tali misure, la Commissione ha deciso di ricorrere alla Corte di Giustizia per sollecitare un intervento.
A gennaio, un codice di condotta aggiornato sulla libertà di espressione online ha imposto alle grandi aziende tecnologiche di collaborare con osservatori indipendenti, come Amnesty International Italia, l’organizzazione tedesca HateAid e il portale Pharos del ministero dell’Interno francese. Questi enti monitorano le segnalazioni di discorsi d’odio, verificando che almeno i due terzi vengano esaminati entro 24 ore, e raccolgono dati suddivisi per categorie, come razza, etnia, religione, identità di genere o orientamento sessuale.
Il Regolamento sui Servizi Digitali, insieme al Regolamento sui Mercati Digitali, forma un quadro normativo unico per l’Unione Europea. Il Regolamento sui Mercati Digitali punta a garantire mercati digitali equi e a limitare il potere delle maggiori aziende tech, ovunque siano locate. Le violazioni possono comportare multe fino al 10% del fatturato annuo globale, elevabili al 20% per infrazioni ripetute.
Queste normative hanno acceso tensioni nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, già gravati da dazi del 25% su acciaio, alluminio e automobili, e del 10% su molti altri beni. La pausa di 90 giorni su queste misure, annunciata dal presidente Trump, scadrà l’8 luglio, aumentando il rischio di nuovi dazi.
Peter Navarro, ex consigliere commerciale della Casa Bianca, ha accusato l’Unione Europea di condurre una «guerra legale» contro le grandi aziende tecnologiche Usa in un editoriale sul Financial Times. A suo avviso, Bruxelles utilizza strumenti come dazi, norme discriminatorie, regimi fiscali distorsivi e requisiti di localizzazione dei dati per penalizzare le imprese americane, favorendo concorrenti europei e cinesi. Anche una portavoce di Meta ha definito l’approccio europeo un tentativo di ostacolare le aziende Usa solo per la loro nazionalità, lasciando impunite le rivali asiatiche ed europee.
Il 6 maggio, il commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, ha dichiarato al Parlamento Europeo: «Non ci sentiamo sotto pressione né disposti ad accettare un accordo iniquo. Tutte le opzioni restano aperte».