Anche la Grecia chiede la sospensione del Patto di Stabilità

di Redazione ETI/Chris Summers
30 Aprile 2025 19:23 Aggiornato: 30 Aprile 2025 19:23

La richiesta della Grecia di attivare la clausola di salvaguardia fiscale per aumentare la spesa militare nel 2026 riaccende il dibattito sul delicato equilibrio tra sicurezza e rigore di bilancio nell’Unione europea. Una questione che non riguarda più soltanto i Paesi in prima linea lungo i confini geopolitici dell’Occidente, ma che sta diventando progressivamente centrale nelle agende economiche e politiche dei principali Stati membri.

Il ministro delle Finanze greco, Kyriakos Pierrakakis, ha reso noto che il governo intende rivolgersi alla Commissione europea per sbloccare altri 500 milioni di euro già stanziati per il rafforzamento della difesa nazionale pari a circa lo 0,3 per cento del Pil. Una cifra contenuta, ma simbolicamente rilevante in un momento in cui la spesa militare torna a essere oggetto di pianificazione strategica e di un impegno crescente verso la sicurezza.

La Grecia, che già oggi destina circa il 3 per cento del proprio Pil alla difesa — una delle percentuali più alte tra i membri della Nato — si trova in un contesto geopolitico complesso. La sua storia recente, segnata da tensioni con la Turchia, con cui condivide il confine e questioni irrisolte come quella di Cipro, guarda alla modernizzazione delle proprie forze armate come una priorità strategica. Il piano del primo ministro Kyriakos Mitsotakis, che prevede investimenti per 25 miliardi di euro entro il 2036, risponde a questa esigenza, ma anche alla necessità di mantenere un equilibrio regionale in un’area di crescente instabilità. La ripresa economica del Paese, che ha superato la crisi del debito del 2009 e registrato un avanzo primario del 4,8% del Pil lo scorso anno, offre una base solida per queste ambizioni, pur richiedendo un’attenta gestione delle finanze pubbliche.

A livello europeo, la proposta greca si allinea al contesto più ampio delle nuove politiche di difesa dell’Unione europea, riformulate anche alla luce del conflitto in Ucraina, per rispondere alle minacce mondiali, in particolare dalla Russia e delle crescenti pressioni internazionali. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha delineato un piano per aumentare la spesa militare continentale, proponendo l’attivazione di una clausola del Patto di stabilità che consenta deroghe temporanee per finanziare investimenti nella Difesa.

Secondo i calcoli di Bruxelles, ciò permetterebbe ai singoli Stati membri di espandere le proprie spese fino all’1,5 per cento del Pil, mobilitando complessivamente circa 650 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. Tuttavia, l’obiettivo di superare il 3% del Pil per la difesa, pur ambizioso, rimane lontano dal 5% auspicato dal presidente statunitense Trump per i membri della Nato, evidenziando le divergenze tra le due sponde dell’Atlantico sulle priorità di sicurezza.

Anche altri Paesi stanno valutando di seguire questa strada. Il Portogallo ha già presentato una richiesta formale, mentre la Germania, con l’impegno a potenziare il contributo alla difesa europea sembra pronta a giocare un ruolo centrale. Le parole del presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, pronunciate in occasione del settantesimo anniversario dell’adesione di Bonn alla Nato, sottolineano la volontà di Berlino di assumersi maggiori responsabilità, anche in risposta alle pressioni di Washington e al conflitto in Ucraina: «Oggi, con la guerra di Putin contro l’Ucraina in pieno svolgimento e con gli Stati Uniti che esercitano una forte pressione sugli alleati europei, la Germania occupa una posizione cruciale. Abbiamo recepito il messaggio: potete contare su di noi. Faremo tutto il possibile per rendere la Germania, con le sue forze armate e le sue infrastrutture, la spina dorsale della difesa convenzionale in Europa».

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