È opportuno sottolineare che le trattative in corso tra Stati Uniti e Iran appaiono al momento piuttosto promettenti. L’obiettivo dichiarato del presidente Trump e del primo ministro israeliano Netanyahu è impedire che l’Iran acquisisca armi nucleari militari, e sembra che questo traguardo possa essere raggiunto per via diplomatica.
Trump ha ribadito con chiarezza che gli Stati Uniti non esiteranno a ricorrere alla forza militare per scongiurare lo sviluppo di armamenti nucleari da parte dell’Iran. A tal proposito, ha schierato una flotta di bombardieri stealth B-2 sull’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, equipaggiati con capacità di penetrazione sufficienti a distruggere i laboratori nucleari sotterranei iraniani di Isfahan. Un assaggio della loro potenza distruttiva è stato dato con i recenti attacchi contro gli Houthi, protetti dell’Iran, in Yemen.
Sono in molti, compresi numerosi Stati arabi, a guardare con favore all’eventualità che americani o israeliani infliggano un colpo decisivo all’Iran, tanto da far crollare il suo regime teocratico, arretrato e corrotto, in particolare, i quartieri generali della polizia militare che sorregge la dittatura medievale del clero islamista. Tuttavia, va riconosciuto al presidente Trump il merito di impegnarsi sinceramente per raggiungere il suo obiettivo senza ricorrere a un uso schiacciante della forza. Finora, i negoziati in corso a Roma sembrano registrare progressi.
La proposta attualmente sul tavolo prevede che il materiale fissile arricchito già prodotto dall’Iran venga trasferito a un Paese terzo, come la Russia, un’idea già proposta dall’amministrazione Obama. L’obiettivo resta quello di impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare militare. Concedere uranio arricchito alla Russia, che già dispone di abbondanti scorte e di un significativo arsenale nucleare, non comporta rischi. Tuttavia, se l’Iran riuscisse a dotarsi di armi nucleari, è quasi certo che altri Paesi del Medio Oriente seguirebbero rapidamente il suo esempio.
Gli iraniani sollevano un punto legittimo nel denunciare l’ingiustizia e l’inefficacia dell’attuale regime di controllo degli armamenti. Le potenze nucleari formano un club esclusivo che invita con ipocrisia gli altri Paesi a non unirsi, senza però che nessuno dei membri intenda rinunciare al proprio status. Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Cina, Francia, India, Pakistan e Israele sono tutte potenze nucleari. Sebbene il Pakistan sia politicamente instabile, tutte hanno gestito il loro ruolo nucleare con responsabilità, evitando guerre nucleari o detonazioni accidentali. Tuttavia, l’impegno a perseguire il disarmo non è mai stato preso sul serio, ed è difficile credere che qualcuno lo ritenesse davvero possibile.
Gli alleati occidentali della Guerra Fredda – Stati Uniti, Regno Unito e Francia – possono giustamente sostenere di aver sviluppato armi nucleari per scopi di deterrenza. Russia e Cina non possono avanzare la stessa pretesa con credibilità, ma per prestigio hanno ritenuto necessario dotarsene, visto che gli alleati occidentali le possedevano. L’India ha avuto bisogno di questa capacità per contrastare la Cina, e il Pakistan l’ha ottenuta perché ce l’aveva l’India. Quanto a Israele, sarebbe difficile, per chiunque agisca con imparzialità, negargli il diritto alla difesa nucleare, dati i pericoli esistenziali che il popolo ebraico ha affrontato nei secoli — e in particolare nel secolo scorso — e considerando che lo Stato d’Israele è circondato da nemici storici, alcuni dei quali tecnicamente ancora in guerra con esso.
Sebbene sarebbe un vantaggio se Stati Uniti o Israele riuscissero a liberarsi del regime iraniano – il principale sostenitore del terrorismo a livello internazionale – l’amministrazione statunitense predilige una soluzione pacifica al problema dell’Iran nucleare. Il presidente mostra una notevole moderazione, una qualità che non gli viene spesso riconosciuta, e, contrariamente alle preferenze del governo israeliano, cerca una soluzione diplomatica. Se l’intesa verrà raggiunta, Teheran perderà la capacità di scoraggiare eventuali ritorsioni, e le sue milizie per procura — Hamas, Hezbollah e gli Houthi — ne usciranno indebolite. Israele, dal canto suo, ha già distrutto le difese antiaeree iraniane. Senza la minaccia nucleare, l’Iran è come un pollo spennato.
Esiste una distinzione valida tra l’Iran e le attuali potenze nucleari. Tra queste, solo gli Stati Uniti hanno sviluppato un’arma atomica per un uso militare deliberato, al fine di concludere la fase del Pacifico della Seconda Guerra Mondiale, dopo l’attacco a sorpresa del Giappone a Pearl Harbor. Né gli Stati Uniti né le successive potenze nucleari militari hanno mai dichiarato l’intenzione di usare tali armi se non in risposta a un attacco nucleare contro di loro.
Sebbene l’Iran sollevi un punto legittimo sull’esclusività ipocrita del club nucleare, si rende inammissibile a tale consesso a causa delle sue frequenti e plausibili minacce di attacco nucleare a Israele, pur sapendo che Israele lo distruggerebbe in rappresaglia. Sarebbe una catastrofe umanitaria spaventosa.
Nella fase iniziale del programma nucleare iraniano, l’opposizione è stata vasta e condivisa, anche da parte delle principali potenze europee. L’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, il primo ministro britannico David Cameron e le amministrazioni Bush e Obama negli Stati Uniti, manifestarono chiaramente l’intenzione di impedire a Teheran di dotarsi dell’atomica. Ma, come spesso accade, con il tempo la determinazione si è affievolita, lasciando spazio al ridicolo accordo noto come Joint Comprehensive Plan of Action, firmato nel 2015, sponsorizzato dal presidente Obama tra l’Iran, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Germania e l’Unione Europea. In pratica, si trattava di un accordo, con tempi dilazionati, verso l’arricchimento dell’uranio a fini bellici.
Nella sua prima presidenza, Trump ha ritirato gli Stati Uniti da questo accordo, e il presidente Biden, pur offrendo concessioni generosissime, non è riuscito a negoziare un ritorno accettabile, segno evidente che l’Iran non ha alcun interesse a rinunciare al proprio progetto militare. Solo le iniziative degli Stati Uniti e Israele impediscono all’Iran di ottenere il via libera dalle nazioni più influenti del mondo per dispiegare tali armi.
Questo scenario si inserisce nei negoziati attualmente in corso tra Stati Uniti e Russia, che mirano non solo a porre fine alla guerra in Ucraina, ma anche a normalizzare i rapporti tra Russia e Nato e a raggiungere possibili intese sull’estrazione e la vendita di risorse strategiche. L’obiettivo di fondo è quello di sottrarre la Russia all’abbraccio asfissiante con la Cina, nella quale ha finito per assumere un ruolo subordinato, e riportarla in un dialogo costruttivo con l’Occidente, al quale storicamente appartiene fin dai tempi di Pietro il Grande.
Tutti questi aspetti sono ora sul tavolo dei negoziati in corso a Roma, e a essi va augurato il massimo successo, senza tuttavia esitare di fronte a una soluzione militare qualora l’intransigenza iraniana la rendesse necessaria.
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