Controllo della fame e carboidrati (P1)

di Redazione ETI/Jason Fung
7 Marzo 2025 19:12 Aggiornato: 7 Marzo 2025 19:12

Mangiare un’intera focaccia alle olive, un piatto di pasta e una coppa di gelato al pistacchio e sentirsi ancora affamati. Oppure tornare a casa dopo cena e cercare uno spuntino prima di andare a dormire. Non si tratta di casi isolati: molte persone vivono questa situazione ogni giorno. La mente suggerisce di essere sazi, ma lo stomaco continua a mandare segnali di fame. In alcuni casi, il desiderio di cibo sembra incontrollabile, portando a mangiare continuamente fino a tarda sera, spesso scegliendo alimenti poco salutari.

Al contrario, esistono persone che si sentono sazie dopo un piccolo pasto, come mezzo toast o una semplice insalata. E non si tratta di autocontrollo o di educazione: per loro, mangiare di più sarebbe difficile. Spesso queste persone sono anche molto magre.

Molte persone si sono sottoposte a chirurgia bariatrica nella speranza di controllare l’appetito e perdere peso. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l’intervento non porta ai risultati sperati. Inizialmente il peso diminuisce, ma nel giro di pochi mesi ricomincia a salire. Ancora più frustrante è la sensazione che la fame rimanga invariata, proprio come prima dell’operazione. Ridurre le dimensioni dello stomaco chirurgicamente, infatti, non risolve il problema della fame.

L’APPETITO NON DIPENDE DALLO STOMACO

Si tende a pensare che la fame sia causata da uno stomaco troppo grande, ma non è così. Ridurlo con un intervento non aiuta a controllare l’appetito. Allo stesso modo, non è una questione di forza di volontà: non è possibile “decidere” di non avere fame. La fame è regolata dagli ormoni e solo intervenendo su questo aspetto è possibile riprendere il controllo dell’alimentazione.

Negli ultimi 50 anni, le linee guida nutrizionali per la perdita di peso hanno promosso il consumo di cibi a basso contenuto di grassi e la riduzione delle calorie giornaliere. Inoltre, è stato consigliato di mangiare più spesso durante il giorno, arrivando fino a sei o sette pasti, anziché limitarsi a tre pasti principali, come avveniva tradizionalmente. Questa strategia, tuttavia, non ha funzionato.

L’organismo possiede potenti ormoni della sazietà, che segnalano quando è il momento di smettere di mangiare. Non si mangia semplicemente perché il cibo è disponibile, come se si fosse privi di controllo. Dopo aver consumato un pasto abbondante, come una bistecca da 600 grammi, il solo pensiero di continuare a mangiare può risultare nauseante. Se venisse offerta un’altra bistecca da 350 grammi gratuitamente, sarebbe difficile accettare, perché il corpo ha già attivato i segnali di sazietà.

Gli ormoni principali che regolano questo meccanismo sono il peptide YY, che risponde alle proteine, e la colecistochinina, che si attiva in presenza di grassi. Anche lo stomaco gioca un ruolo importante, grazie ai suoi recettori di stiramento, che segnalano il senso di sazietà quando si raggiunge una certa capacità.

PERCHÈ LA DIETA A BASSO CONTENUTO DI GRASSI NON FUNZIONA

Seguire una dieta povera di grassi e ipocalorica, mangiando sei o sette volte al giorno, impedisce di attivare i meccanismi naturali di sazietà. Senza grassi, l’ormone colecistochinina non viene rilasciato. Inoltre, poiché in natura le proteine sono sempre associate ai grassi (come nella carne o nelle uova), anche il peptide YY non viene attivato. Il risultato è un senso di fame persistente.

Di conseguenza, dopo poche ore dal pasto si avverte nuovamente il bisogno di mangiare e si ricorre agli spuntini. Questi, per praticità, sono quasi sempre ricchi di carboidrati, come cracker o biscotti.

Un semplice esperimento aiuta a comprendere questo meccanismo. Dopo una colazione a base di uova e bistecca, ricca di proteine e grassi, è improbabile sentire fame a metà mattina. Al contrario, se si consuma una colazione “leggera” composta da pane bianco, marmellata e succo d’arancia, il senso di fame tornerà presto, portando a cercare un ulteriore spuntino prima di pranzo.

Inoltre, distribuire il cibo in sei o sette piccoli pasti significa non attivare i recettori di stiramento dello stomaco, fondamentali per il senso di sazietà. La chirurgia bariatrica, che potrebbe sembrare una soluzione, spesso compromette questi segnali, poiché i nervi responsabili della percezione della sazietà vengono danneggiati durante l’intervento.

Per anni si è creduto che il problema fosse il numero di calorie ingerite, ma il vero errore è stato ignorare la fame. La dieta consigliata negli ultimi decenni non ha mai avuto lo scopo di controllare l’appetito. Il problema, quindi, non è nelle persone, ma nei consigli nutrizionali che sono stati diffusi.

Il consumo di carboidrati raffinati e processati amplifica il problema. L’innalzamento repentino dei livelli di zucchero nel sangue induce il pancreas a rilasciare un’ondata di insulina, il cui compito è immagazzinare l’energia sotto forma di glicogeno nel fegato o di grasso corporeo. Questo rapido aumento di insulina fa sì che gran parte delle calorie ingerite venga immediatamente convertita in riserve di grasso, lasciando poca energia disponibile per il metabolismo. Di conseguenza, muscoli, fegato e cervello continuano a richiedere glucosio, causando una sensazione di fame nonostante l’ultimo pasto.

I cibi processati, privati della loro fibra, non occupano molto spazio nello stomaco e non attivano i recettori della sazietà. Essendo spesso a basso contenuto di grassi, contengono quantità ridotte di proteine e lipidi, elementi fondamentali per prolungare il senso di pienezza. Questo porta a un rapido ritorno della fame e alla possibilità di introdurre ulteriori alimenti, spesso ricchi di zuccheri raffinati, come dessert o bevande dolcificate.

L’idea che la mancanza di forza di volontà sia la causa principale dell’obesità è fuorviante. Molti seguono le indicazioni nutrizionali consigliate, riducono le calorie, eppure faticano a perdere peso, sentendosi costantemente affamati. I dati parlano chiaro, con circa il 70% della popolazione americana in sovrappeso, è improbabile che la maggior parte delle persone abbia un metabolismo “difettoso”.

L’eliminazione del cibo ultra-processato e l’introduzione del digiuno intermittente contribuiscono a riequilibrare gli ormoni responsabili dell’appetito. Numerose persone riferiscono di aver rifiutato per la prima volta pane o dolci, semplicemente perché non ne avvertivano il bisogno. La riduzione dei carboidrati raffinati, accompagnata dal consumo di grassi e proteine naturali, favorisce un senso di sazietà più duraturo. Il digiuno, contro ogni aspettativa, si rivela uno strumento efficace per ridurre ulteriormente la fame.

Il timore che il digiuno possa aumentare l’appetito è comune. Tuttavia, chi lo ha provato riscontra spesso una significativa riduzione della fame. Molti riferiscono di sentirsi sazi con quantità di cibo notevolmente inferiori rispetto a prima.

Un elemento chiave è la grelina, l’ormone responsabile della fame. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il digiuno non ne provoca un incremento continuo. Anzi, studi dimostrano che il suo livello segue un ciclo naturale, con valori più bassi al mattino e oscillazioni durante la giornata. La fame si manifesta a ondate e, se ignorata, tende a scomparire spontaneamente dopo qualche ora.

Le ricerche indicano che, durante un’intera giornata di digiuno, i livelli di grelina rimangono stabili. Anche dopo 36 ore senza cibo, la sensazione di fame non aumenta rispetto al momento iniziale. Questo accade perché, in assenza di nuove calorie, il corpo utilizza le riserve di grasso come fonte di energia. Dopo tre giorni di digiuno, si osserva addirittura una riduzione della grelina, portando a una minore percezione della fame.

Un aspetto interessante è che questa riduzione è più marcata nelle donne rispetto agli uomini, suggerendo un beneficio maggiore per il sesso femminile.

La principale difficoltà del digiuno è di natura mentale. Il timore di non riuscire a resistere alla fame è comune, soprattutto per chi è abituato a mangiare frequentemente. Tuttavia, provare un digiuno di 24 o 36 ore permette di sperimentarne gli effetti senza impegno a lungo termine.

Chi lo prova raramente si ferma al primo tentativo, scoprendo con sorpresa quanto possa essere semplice e quanto la sensazione di sazietà possa durare più a lungo. Il digiuno offre un’opportunità per riprendere il controllo del proprio corpo e delle proprie abitudini alimentari.

 

Il dottor Jason Fung è un medico nefrologo, ricercatore e autore best-seller, noto per i suoi studi sul digiuno intermittente e sulla gestione di obesità, diabete e malattie metaboliche. Attualmente esercita a Toronto, Canada. Attraverso i suoi libri, come “The Obesity Code” e “The Diabetes Code”, ha sfidato le teorie tradizionali sulle malattie metaboliche, promuovendo approcci alimentari innovativi. È co-fondatore di The Fasting Method, un programma che aiuta le persone ad adottare il digiuno intermittente per migliorare la salute.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

Ripubblicato da TheFastingMethod.com

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