Donald Trump ha dichiarato di aver ammonito Giappone e Cina contro la svalutazione delle rispettive valute per ottenere vantaggi commerciali sleali: «Ho chiamato […] Xi e ho chiamato i leader del Giappone per dire loro: “Non potete continuare a ridurre e indebolire la vostra valuta. Non potete farlo perché è ingiusto per noi”», ha affermato il presidente lunedì alla Casa Bianca, mentre firmava un ordine esecutivo che raddoppia i dazi sulle importazioni cinesi, portandoli dal 10% al 20%.
Trump ha poi ripetuto che i dazi rappresentano l’extrema ratio in risposta alle politiche commerciali sleali o penalizzanti cronicamente subite dagli Usa, «lasciateli fare, noi compensiamo con i dazi».Il mercato dei cambi di Tokyo ha reagito ai commenti di Trump con un’ondata di acquisti di yen, spingendo brevemente la valuta giapponese a circa ¥148 per dollaro statunitense martedì mattina. Successivamente si è verificata una vendita di yen, portando il tasso di cambio a ¥149 per dollaro entro le 17:00 ora locale, comunque più forte rispetto al giorno precedente.
In una conferenza stampa dopo una riunione di gabinetto martedì, il ministro delle finanze giapponese Katsunobu Kato ha respinto l’idea che il Giappone stesse intenzionalmente indebolendo lo yen. Kato ha ricordato come Tokyo fosse intervenuta più volte nel mercato dei cambi nel 2022 e nel 2024, quando lo yen aveva raggiunto un minimo di 38 anni, toccando quasi ¥162 per dollaro.
Per contrastare la svalutazione, il governo giapponese ha venduto dollari e acquistato yen, una mossa confermata da un rapporto del Tesoro statunitense che stima che il Giappone abbia scaricato ¥9,8 trilioni (62 miliardi di dollari) in due interventi separati lo scorso aprile e maggio, seguiti da ulteriori ¥5,5 trilioni (35 miliardi di dollari) a luglio. Kato ha anche ribadito che il Giappone continuerà a rispettare gli impegni sui tassi di cambio presi al vertice del G7 e in un colloquio bilaterale con il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent il 29 gennaio.
Il Giappone è nella “Lista di monitoraggio” del Tesoro Usa dei principali partner commerciali soggetti a un’intensificata sorveglianza sui cambi. Nel suo ultimo rapporto di novembre, il Tesoro ha rilevato che il Giappone ha mantenuto un surplus commerciale di 65 miliardi di dollari con gli Stati Uniti durante il periodo di revisione, e ha visto il suo surplus globale delle partite correnti salire al 4,2% del Pil, rispetto al 2% dell’anno precedente.
Sebbene il Tesoro americano abbia riconosciuto che gli interventi valutari del Giappone siano stati trasparenti, ha ribadito che tali misure dovrebbero essere adottate solo in «circostanze molto eccezionali con adeguate consultazioni preventive».
Per quanto riguarda la Cina, il Tesoro ha notato che, sebbene il saldo delle partite correnti cinese sia leggermente diminuito, all’1,2% del Pil, i volumi delle sue esportazioni sono aumentati significativamente, indicando quindi un calo dei prezzi all’esportazione. Il rapporto di novembre ha rinnovato la richiesta di maggiore trasparenza nelle pratiche di cambio della Cina, incluso il permesso di far fluttuare lo yuan cinese solo del 2% in più o in meno rispetto a un “fissato giornaliero” senza spiegazioni ufficiali.
Nel 2019, Trump aveva ordinato al Tesoro di dichiarare la Cina “manipolatore valutario”, salvo poi annullare l’ordine pochi mesi dopo, quando Washington e Pechino avevano raggiunto un accordo commerciale che impegnava quest’ultima ad acquistare ulteriori 200 miliardi di dollari di beni statunitensi. Ma un’analisi del Peterson Institute for International Economics indica che la Cina abbia acquistato circa il 60% di quanto concordato.
Il ministro Bessent, che durante l’audizione di conferma al Senato ha definito l’economia cinese «l’economia più squilibrata e sbilanciata della Storia», non ha ancora indicato se gli Stati Uniti reintrodurranno la designazione di manipolatore valutario. Se ripristinata, la Cina potrebbe subire sanzioni, tra cui il divieto per le aziende cinesi di competere per contratti governativi statunitensi.