28 Paesi invocano la pace a Gaza

di redazione eti/Guy Birchall
23 Luglio 2025 14:32 Aggiornato: 23 Luglio 2025 14:32

Lunedì, 28 nazioni, tra cui Regno Unito, Giappone, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Francia e Italia, hanno chiesto la fine immediata del conflitto a Gaza, denunciando la crisi umanitaria nella Striscia. I ministri degli Esteri di Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera, insieme al commissario Ue per l’Uguaglianza, la Preparazione e la Gestione delle Crisi, hanno firmato una dichiarazione che definisce «insostenibile» la sofferenza dei civili a Gaza e critica come «pericoloso» il sistema di distribuzione degli aiuti gestito da Israele. «Condanniamo con fermezza l’erogazione frammentata degli aiuti e l’uccisione disumana di civili, compresi bambini, in cerca di beni essenziali come acqua e cibo — si legge nel documento — È inaccettabile che oltre 800 palestinesi siano morti tentando di accedere agli aiuti umanitari». La dichiarazione invita Israele a rispettare il diritto internazionale umanitario e chiede la liberazione immediata degli ostaggi presi da Hamas il 7 ottobre 2023, sottolineando che un cessate il fuoco negoziato rappresenta «la migliore speranza per riportarli a casa e porre fine all’angoscia delle loro famiglie».

Pur non avendo firmato la dichiarazione, la Germania ha espresso preoccupazione. Il ministro degli Esteri, Johann Wadephul, su X, ha riferito di un colloquio con Saar, esprimendo «la massima preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria» a Gaza e invitando Israele a rispettare gli accordi con l’Unione europea per facilitare gli aiuti.

Gerusalemme e Washington hanno respinto con decisione l’appello. Il ministero degli Esteri israeliano lo ha definito «scollegato dalla realtà», sostenendo che «trasmette un messaggio sbagliato a Hamas». In un post su X, ha accusato Hamas di prolungare il conflitto rifiutando una proposta di cessate il fuoco temporaneo e rilascio degli ostaggi sostenuta da Israele. «La dichiarazione non esercita pressione su Hamas né riconosce la sua responsabilità nella situazione attuale — ha aggiunto il ministero israeliano — Hamas è l’unico responsabile della prosecuzione della guerra e delle sofferenze di entrambe le parti. In questi momenti delicati di negoziati, sarebbe meglio evitare dichiarazioni di questo tipo».

Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar, ha condiviso su X un messaggio di Hamas che accoglieva con favore l’appello, commentando: «Il plauso dell’organizzazione terroristica è la prova più evidente dell’errore commesso, in parte per buone intenzioni, in parte per un’ossessione contro Israele. I Paesi devono agire con responsabilità e non cadere nelle mani di Hamas».

L’ambasciatore statunitense a Gerusalemme, Mike Huckabee, ha definito il documento «disgustoso» per aver messo sotto pressione Israele invece di condannare «i selvaggi di Hamas». Su X ha scritto: «Gaza soffre per un solo motivo: Hamas rifiuta ogni proposta. Incolpare Israele è irrazionale». In un altro messaggio, riprendendo le parole di Saar, ha aggiunto: «Quando Hamas pensa che tu stia facendo un buon lavoro, stai facendo del male».

Israele e Hamas stanno negoziando indirettamente un cessate il fuoco in Qatar, ma un accordo appare lontano. Hamas chiede la fine definitiva della guerra, mentre il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ribadito che il conflitto terminerà solo quando Hamas sarà disarmato, i suoi leader espulsi da Gaza e tutti gli ostaggi liberati. Netanyahu ha recentemente stimato che, dei 50 ostaggi ancora detenuti, almeno 20 siano vivi.

Lunedì, carri armati israeliani sono entrati per la prima volta a Deir Al-Balah, a Gaza, dopo che le Forze armate israeliane hanno annunciato un’espansione delle operazioni. Il 20 luglio, almeno 67 persone sono morte sotto il fuoco israeliano mentre attendevano camion di aiuti dell’Onu, secondo il ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas e confermato dal Programma alimentare mondiale dell’Onu.


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