La crescita economica cinese nel secondo trimestre del 2025 evidenzia nuovi segnali di rallentamento. Secondo i dati ufficiali del regime comunista (ben poco affidabili, come è noto) il Pil è aumentato del 5,2 percento su base annua, una crescita leggermente superiore alle attese degli economisti, ma comunque inferiore rispetto al trimestre precedente. Questo dato nasconde dinamiche che meritano un’analisi approfondita: la debolezza della domanda interna e le persistenti tensioni commerciali con gli Stati Uniti continuano a rappresentare ostacoli significativi; le esportazioni, nonostante una temporanea ripresa favorita dalla tregua economica tra Pechino e Washington, mostrano segni di difficoltà nel rapporto con il mercato statunitense, mentre si osserva una crescita più robusta verso altri partner, come i Paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico.
Durante la conferenza stampa di presentazione dei dati economici del 15 luglio, il vicedirettore dell’Ufficio nazionale di statistica, Sheng Laiyun, ha definito stabile la crescita nella prima metà dell’anno, pur riconoscendo le difficoltà che gravano sull’economia ammettendo che «l’ambiente esterno resta complesso e mutevole» e che «i problemi strutturali interni non sono stati risolti alla radice, e i fondamentali dell’economia necessitano ancora di consolidamento». Secondo Sheng, il 31,2 percento della crescita economica nella prima metà dell’anno deriva dalle esportazioni, una quota più che raddoppiata rispetto al 13,9 percento registrato nello stesso periodo dell’anno precedente. Le autorità cinesi stanno tentando di orientare l’economia verso una crescita più sostenuta dalla domanda interna, riducendo la dipendenza dall’export.
I dati sulle attività di giugno, pubblicati lo stesso 15 luglio, indicano che i consumatori continuano a contenere le spese. Le vendite al dettaglio sono aumentate del 4,8 percento a giugno rispetto a un anno prima, segnando un rallentamento rispetto al +6,4 percento di maggio e risultando inferiori al +5,4 percento previsto dagli analisti. Al contrario, la produzione industriale ha mostrato una performance migliore delle attese: la crescita tendenziale ha raggiunto il 6,8 percento, in accelerazione rispetto al 5,8 percento di maggio e superiore al +5,7 percento stimato.
Secondo osservatori e analisti, il solo stimolo economico potrebbe non essere sufficiente a contrastare le pressioni deflazionistiche persistenti, testimoniata anche dal calo dei prezzi alla produzione a giugno, il più rapido in quasi due anni.
I dati commerciali del 14 luglio hanno evidenziato un recupero delle esportazioni cinesi a giugno, grazie all’accelerazione delle spedizioni in vista della tregua economica di 90 giorni tra Pechino e Washington, in scadenza ad agosto. Le esportazioni verso gli Stati Uniti sono rimaste negative a giugno, mentre quelle dirette ad altri Paesi hanno mantenuto una crescita sostenuta. In particolare, le spedizioni verso l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico sono aumentate del 16,8 percento su base annua, accelerando rispetto al +14,8 percento di maggio.
Un elemento di particolare preoccupazione riguarda invece il settore immobiliare, un tempo pilastro dell’economia cinese, che continua a essere in crisi. Il calo degli investimenti e la diminuzione dei prezzi delle nuove abitazioni pesano non solo sul Pil ma anche sulla fiducia delle famiglie, dato che il patrimonio immobiliare costituisce la componente più rilevante del loro patrimonio complessivo. Gli sforzi delle autorità per stabilizzare il mercato, pur significativi, sembrano al momento insufficienti a invertire la tendenza.
L’ultimo sondaggio Reuters prevede un rallentamento della crescita del Pil al 4,5 percento nel terzo trimestre e al 4 percento nel quarto, riflettendo le crescenti difficoltà economiche che Pechino deve affrontare nel tentativo di stimolare i consumi delle famiglie in un contesto incerto, aggravato dalle pressioni commerciali statunitensi. L’obiettivo di crescita del 5 percento per il 2025, fissato dalle autorità cinesi, appare quindi ambizioso alla luce delle condizioni attuali.
Va infine considerato il tema dell’affidabilità delle statistiche ufficiali del regime cinese, che da tempo alimenta non pochi “dubbi” tra osservatori e analisti. Le accuse di manipolazione/falsificazione dei dati diffusi da Pechino – mosse sia da cittadini cinesi che da economisti indipendenti – parlano di una forte sovrastima della crescita del prodotto interno lordo cinese. Gao Shanwen, capo economista della società statale Sdic Securities, ha stimato lo scorso anno che il Pil cinese possa essere stato sovrastimato fino a 10 punti percentuali nel periodo 2021-2023.