Il Partito comunista cinese sta impedendo a certe persone di lasciare la Cina, applicando con sempre maggiore frequenza “divieti di uscita” dalla Repubblica Popolare Cinese, sia nei confronti di cittadini cinesi che di stranieri. La giustificazione: non meglio precisati “motivi di sicurezza nazionale”. Sebbene non si tratti di fenomeni nuovi, i divieti di uscita sono diventati più frequenti dopo l’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2012. E negli ultimi tempi si è registrato un aumento significativo. Tra il 2016 e il 2022, i divieti di uscita ufficiali sono aumentati di otto volte, secondo l’associazione per i diritti umani Safeguard Defenders.
In un episodio dello scorso luglio, una cittadina statunitense, general manager della banca americana Wells Fargo, è stata bloccata dall’uscita dalla Cina. Le autorità si sono limitate a dichiarare vagamente che fosse coinvolta in un procedimento penale. Wells Fargo ha poi sospeso tutti i viaggi dei propri dipendenti verso la Cina.
In un altro caso, un cittadino naturalizzato statunitense e dipendente dell’Ufficio brevetti e marchi, ad aprile è stato fermato all’arrivo a Chengdu e gli è stato impedito di partire, apparentemente a causa della mancata dichiarazione sul visto di “affiliazione” al governo statunitense. È ritenuto il primo caso riguardante un dipendente federale statunitense sottoposto a divieto di uscita. A venire colpiti quindi, sono professionisti, dirigenti e dipendenti pubblici stranieri in quanto tali, non ricercati né indiziati di reato; anche dirigenti di Astellas Pharma, AstraZeneca, Nomura, Ubs e Kroll – aziende giapponesi ed europee – sono stati indagati o sottoposti a divieto di uscita dalla Repubblica Popolare Cinese.
Si può ragionevolmente sostenere che i divieti di uscita imposti dalla dittatura comunista cinese rappresentino una forma di “diplomazia degli ostaggi”. In certi casi, persino ai familiari dei sottoposti al divieto è stato impedito di lasciare la Cina. Praticamente, vittime di sequestro di persona per decisione arbitraria di uno Stato (di polizia) estero. Il messaggio politico verso l’Occidente è chiaro. Ma non solo: a causare questa sorta di “arresti domiciliari” in territorio cinese potrebbe anche essere una volontà di estorsione (raccogliere informazioni economiche utili al regime) e/o influenzare le politiche e le decisioni di una certa azienda – o persino di una nazione – in territorio cinese. Inoltre, la Repubblica Popolare Cinese è una dittatura, uno Stato di polizia, quindi teme ogni minimo dissenso e ha al proprio servizio migliaia e migliaia di spie il cui unico compito è monitorare chiunque (cinesi e stranieri) a distanza, sia con l’obiettivo di individuare nuovi eventuali “nemici del popolo” che per sorvegliare chi già è sgradito al regime, spesso senza che nemmeno lo sappiano, come successo agli occidentali bloccati dalla polizia all’aeroporto.
Comprensibilmente, questo comportamento non può che distruggere la fiducia del mondo intero nella Cina, come dimostrano anche gli elevati flussi di capitali occidentali in uscita. E dal punto di vista diplomatico, peggiora la già pessima opinione che Washington ha del regime cinese.