Northvolt e il “sogno proibito” europeo dell’indipendenza dalle batterie cinesi

di Redazione ETI/Owen Evans
8 Luglio 2025 12:32 Aggiornato: 8 Luglio 2025 12:32

Il 12 marzo 2025 Northvolt ha dichiarato fallimento in Svezia, dopo un «lungo e approfondito sforzo volto a esplorare tutte le opzioni per assicurare un futuro finanziario e operativo sostenibile». Fondata da ex dirigenti Tesla, Northvolt si era posta l’obiettivo di diventare una gigafactory europea, capace di produrre su larga scala celle agli ioni di litio e di conquistare entro il 2030 un quarto del mercato europeo delle batterie.

Le batterie agli ioni di litio, impiegate in numerosi dispositivi elettronici come smartphone e computer portatili, rappresentano anche la principale fonte di energia per i veicoli elettrici, grazie all’elevata densità energetica, al peso ridotto e alla possibilità di ricarica. Ma il processo di produzione, caratterizzato da alti costi e complessità, si è rivelato difficile da gestire in Europa. Nonostante ciò, l’Unione europea mantiene fermo l’impegno verso gli ambiziosi obiettivi di produzione di batterie e diffusione dei veicoli elettrici. Secondo il cosiddetto Green Deal europeo, a partire dal 2035 sarà vietata la vendita di nuove auto alimentate da carburanti fossili nel mercato comunitario, misura chiave per l’elettrificazione del trasporto e il raggiungimento degli obiettivi climatici.
L’Alleanza europea per le batterie, lanciata nel 2017 dalla Commissione europea, si pone l’obiettivo politico di garantire che entro il 2030 il 90% della domanda annua europea di batterie sia soddisfatta da produzione interna. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che il continente potrebbe comunque trovarsi di fronte a un deficit produttivo significativo, considerata la crescita prevista del fabbisogno di batterie fino a oltre 1 terawattora.

Da un punto di vista geopolitico, Michael Ashley Schulman, direttore degli investimenti di Running Point Capital Advisors, ritiene che il fallimento di Northvolt rappresenti «un corto circuito nel sogno europeo di autonomia nel settore dei veicoli elettrici». La Cina, infatti, domina non solo la produzione di celle per batterie (circa l’80-85%), ma controlla anche l’intera catena di approvvigionamento e i diritti di proprietà intellettuale. Se un tempo il petrolio rappresentava il fulcro del potere geopolitico dell’Opec, oggi il litio sembra configurarsi come la risorsa strategica con cui il Partito comunista cinese intende mettere in scacco il mondo intero. La “transizione verde” europea è fortemente dipendente dalle esportazioni cinesi, suscettibili di essere ridirezionate o bloccate per motivi politici. La forte dipendenza europea da fornitori asiatici come Lg Energy Solution, Samsung e Catl solleva interrogativi sulle possibilità di autonomia strategica e sulla sicurezza delle forniture, soprattutto in un contesto geopolitico complesso.

Parallelamente, emergono tecnologie alternative, come le batterie al litio-zolfo, che potrebbero ridurre la dipendenza da risorse strategiche largamente controllate dalla Cina. Anche aziende statunitensi come Lyten puntano su queste innovazioni e sulla localizzazione delle materie prime per rafforzare le catene di approvvigionamento in Nord America ed Europa. Secondo alcuni esperti, la “value proposition” di Northvolt era «l’indipendenza dalla Cina», basata sulla ricostruzione della filiera del litio-ionico in Europa. Ma nei primi tempi la dipendenza dalla catena di approvvigionamento cinese era inevitabile; l’aspettativa era quella di poterla ridurre in futuro, ma Stati Uniti ed Europa difficilmente riusciranno ad affermarsi a livello mondiale nel settore delle batterie se continueranno semplicemente a replicare il modello industriale cinese.

Steve Christensen, direttore esecutivo della Responsible Battery Coalition, ha sottolineato come il problema principale non sia il fallimento di singole aziende, ma le restrizioni imposte dalla Cina all’accesso alle materie prime, che rappresentano la base della produzione mondiale di batterie per veicoli elettrici. Secondo Christensen, la creazione di una produzione interna richiede tempi lunghi, che possono arrivare fino a 20 anni prima che una miniera operi su scala industriale. In più, la proprietà intellettuale necessaria resta prevalentemente in mano cinese.
Il fallimento di Northvolt rappresenta dunque «un campanello d’allarme geopolitico» sulle difficoltà che l’Europa deve affrontare nel tentativo di affermarsi come attore competitivo nella filiera mondiale delle batterie. Anche perché il settore delle batterie elettriche (produzione e impiego) sembra fatto su misura per il regime cinese.


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