A cinque anni dall’inizio della pandemia di Covid-19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato il raggiungimento di un “accordo pandemico” tra i suoi Stati membri. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha accolto con favore l’accordo, definendolo una prova concreta che «il multilateralismo è vivo e vegeto» e che la cooperazione tra Stati rimane possibile anche in un contesto globale segnato da profonde divisioni.
IL CONTENUTO DELL’INTESA E I PROSSIMI PASSI
La bozza dell’accordo prevede una clausola chiave: i Paesi che condividono campioni virali avranno accesso garantito ai test, ai farmaci e ai vaccini sviluppati a partire da tali campioni. L’Oms tratterrà il 20% di questi prodotti per destinarli ai Paesi più poveri. I negoziati su questa disposizione proseguiranno dopo la prevista approvazione formale del trattato, attesa per maggio.
Attualmente, gli Stati sono già vincolati dal Regolamento Sanitario Internazionale, che impone obblighi come la notifica tempestiva di nuovi focolai. Tuttavia, tali norme sono state in passato disattese, come accaduto in alcuni Stati africani durante le epidemie di Ebola, o nel caso della Cina nelle fasi iniziali del Covid, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.
OMS: SOVRANITÀ NAZIONALE ILLESA
Il trattato ribadisce che ogni Stato manterrà piena sovranità nella gestione della salute pubblica sul proprio territorio. L’Oms ha chiarito che «nulla nel progetto di accordo deve essere interpretato come un’autorizzazione all’Oms di dirigere, ordinare o imporre misure sanitarie ai singoli Stati», comprese decisioni su lockdown, vaccinazioni obbligatorie, restrizioni ai viaggiatori o altre politiche.
I delegati americani avevano già abbandonato le trattative dopo che il presidente Trump, non appena insediatosi a gennaio, ha avviato il processo formale di uscita degli Stati Uniti dall’Oms, citando la «gestione errata della pandemia di Covid-19» e «l’influenza politica inappropriata della Cina».
Anche l’Argentina ha annunciato il proprio distacco dall’Oms. Il presidente Javier Milei ha definito l’organizzazione «dannosa» e l’ha accusata di essere «il braccio esecutivo del più grande esperimento di controllo sociale della Storia», riferendosi alle misure adottate durante la pandemia di Covid-19.