I lavoratori alle prime armi tra i 22 e i 25 anni sono esposti in misura sproporzionata al rischio di perdere il posto di lavoro a causa della diffusa adozione dell’intelligenza artificiale generativa. Lo dice un recente studio dell’Università di Stanford.
Questi lavoratori, impiegati nelle professioni più esposte all’Ia, hanno registrato un calo relativo dell’occupazione pari al 13 per cento: «Al contrario, l’occupazione per i lavoratori in settori meno esposti e per quelli più esperti nelle stesse professioni è rimasta stabile o ha continuato a crescere» hanno scritto i ricercatori Erik Brynjolfsson, Bharat Chandar e Ruyu Chen. Gli accademici hanno utilizzato i dati raccolti da Adp, il principale fornitore di software per la gestione delle buste paga negli Stati Uniti, rilevando che i cali occupazionali nel mercato del lavoro americano si verificano principalmente nelle professioni suscettibili di automazione tramite Ia, e in misura minore negli ambienti in cui il lavoro umano viene potenziato.
Secondo i ricercatori, tra gli ambiti professionali più colpiti dopo la significativa diffusione dell’Ia figurano quelli degli sviluppatori di software e degli operatori call center servizio clienti. Mentre l’occupazione per i dipendenti più esperti negli stessi settori ha continuato a crescere. Le tendenze occupazionali «per i lavoratori di tutte le età in professioni meno esposte, come gli assistenti infermieristici, sono rimaste stabili» dice poi lo studio.
Osservazioni analoghe sono state formulate dall’amministratore delegato di OpenAi, Sam Altman, durante un dibattito alla conferenza della Federal Reserve il mese scorso. Alla domanda su quali settori potrebbero registrare una notevole perdita di posti di lavoro a causa dell’Ia, Altman ha risposto: «Alcuni ambiti […] sono completamente spariti» alludendo ai bot di servizio basati su Ia che sostituiscono gli esseri umani nel servizio clienti. Altman ha inoltre parlato delle capacità diagnostiche di ChatGpt, ma ha precisato che lui non affiderebbe le sue cure mediche a tale strumento e che preferisce, ovviamente, rivolgersi a un medico vero.
Quanto ai programmatori informatici, l’Ad di OpenAi ha affermato che oggi sono dieci volte più produttivi rispetto al passato, con salari in aumento (almeno nella Silicon Valley), «ma quando arriverà l’onda dei robot, tra tre o sette anni, credo che sarà un evento davvero significativo con cui la società dovrà confrontarsi».
Secondo i ricercatori di Stanford, i pattern di dati relativi ai cambiamenti nelle tendenze occupazionali sono emersi alla fine del 2022, proprio nel periodo della rapida diffusione degli strumenti di Ia generativa. Sebbene l’Ia possa tendere a sostituire le conoscenze «da manuale» tipiche dei lavoratori con capacità di livello base, sarà comunque meno in grado di rimpiazzare le «conoscenze tacite, i trucchi e le astuzie idiosincratiche che si accumulano con l’esperienza». I lavoratori più anziani sarebbero quindi meno vulnerabili alla sostituzione.
L’occupazione per gli sviluppatori di software tra i 22 e i 25 anni è diminuita di circa il 20 per cento rispetto al picco del 2022, ha scritto Chandar (uno dei ricercatori) su X, aggiungendo che per le fasce d’età più avanzate si osserva un costante aumento dell’occupazione. Chandar ha poi osservato che per gli assistenti sanitari, ad esempio, si verifica una tendenza opposta: i giovani registrano la crescita occupazionale più rapida.
Secondo un’analisi del 31 luglio della società di outplacement Challenger, Gray & Christmas, le aziende americane hanno annunciato 62.075 tagli di posti di lavoro a luglio, con un aumento del 29 per cento rispetto ai 47.999 di giugno e del 140 per cento rispetto all’anno precedente, e l’Ia è stata citata come causa per oltre 10 mila tagli il mese scorso.
La banca d’investimento Goldman Sachs in un recente documento afferma che, in caso di diffusione su vasta scala dell’intelligenza artificiale, questa potrebbe causare la perdita del 6-7 per cento della forza lavoro negli Stati Uniti, ma sarebbe uno shock temporaneo, perché l’Ia aprirà poi nuove opportunità occupazionali.
La prestigiosa banca d’affari conferma quindi la teoria presente su tutti i manuali universitari di macroeconomia: ogni “shock tecnologico” causa una rivoluzione positiva, perché velocizza e/o automatizza i processi produttivi facendo contemporaneamente calare drasticamente il costo unitario di produzione (e quindi i prezzi al consumo); il prezzo che si paga nel breve e medio periodo è un aumento della disoccupazione, ma poi l’economia si riequilibra da sé: nascono nuove figure professionali e l’effetto complessivo nel lungo periodo è un aumento dell’occupazione e un calo dei prezzi al consumo.
Sul piano strettamente lavorativo, quindi, gli esperti dicono che non c’è da aver troppa paura dell’intelligenza artificiale. In altri ambiti, è un’altra storia.