Quando si parla di intelligenza artificiale, la maggior parte degli utenti oscilla tra considerarla la più straordinaria invenzione di sempre e temere che possa condurci alla rovina. Al centro di questo dibattito vi è un tema cruciale: l’accuratezza. Un esperto in una materia specifica riesce, quasi invariabilmente, a cogliere gli errori di questi sistemi. Col tempo, i modelli linguistici di ultima generazione riconoscono lo sbaglio e si correggono: un merito non da poco, soprattutto considerando che molti esseri umani, al contrario, non ammettono mai di aver torto.
Forse è proprio questo uno dei motivi per cui ci piace usarli: in un modo paradossale, ci permettono di avere una discussione e uscirne vincitori, senza contraddittorio. Cosa che nella vita reale accade raramente, se non mai.
L’intelligenza artificiale può sbagliare su molti fronti, ma quello che mi è capitato nell’arco di due giorni mi ha sinceramente sorpreso. Stavo leggendo Unshrunk, un libro straordinario di Laura Delano, e mi sono soffermato sul verso d’apertura, tratto da una poesia di Percy Shelley: On the Medusa of Leonardo Da Vinci in the Florentine Gallery, pubblicata per la prima volta da Mary Shelley in una raccolta postuma del 1824.
Gli ultimi quattro versi recitano:
«Diventa uno specchio cangiante,
che riflette tutta la bellezza e il terrore che contiene —
un volto di donna, con chiome di serpenti,
che contempla la morte e il Cielo da quegli scogli bagnati».
Questi versi sono fondamentali per il libro della Delano, perché il primo capitolo racconta il momento in cui, a tredici anni, si guardò allo specchio e si chiese chi fosse la persona che vedeva riflessa. È una pagina di forza e risonanza profondissime, che dà il tono al resto del volume: un viaggio verso la bellezza e la salvezza, passando attraverso dolore e oscurità.
La prima volta che ho chiesto a Grok informazioni su questi versi, mi ha restituito una chiusa del tutto diversa:
«Diventa una maledizione e una corona laggiù —
e la vera bellezza che offusca,
lascia però una luce che osa affrontare il meriggio
e vive nella gloria e nella grazia».
Versi suggestivi, certo, che ricordano vagamente lo stile di Shelley. Ma, di fatto, introvabili in qualsiasi sua opera.
Ho indagato più a fondo, e Grok ha affermato che i versi riportati dalla Delano erano in realtà tratti dalla poesia Medusa di Louise Bogan, del 1921. Ho controllato quel testo: nessuna traccia dello «specchio cangiante». Quando gliel’ho fatto notare, Grok ha rincarato la dose, sostenendo che si trattava di una sorta di pastiche inventato dalla stessa Delano.
Un’accusa grave, mossa con estrema leggerezza nei confronti di un’autrice autorevole. Ho allora recuperato una versione del 1914 della poesia di Shelley che conteneva esattamente quei versi, e ho fatto presente che non potevano provenire da un testo pubblicato sette anni dopo. È evidente: un’edizione del 1914 non può attingere a un’opera del 1921.
Grok ha insistito, fornendo link su link. Ma ogni volta che verificavo i collegamenti (quelli funzionanti) confermavano la versione di Delano. Più volte ha ritrattato parzialmente le sue prove, pur continuando a difendere le sue affermazioni. È stata una discussione da dodici riprese.
Alla fine, ho sferrato io il colpo decisivo. Ho chiesto a Grok quale fosse la sua prova definitiva che dimostrasse che la versione di Delano era errata. Grok ha sostenuto che i versi venivano direttamente da un’opera di Mary Shelley del 1824, non disponibile online. Soddisfatto, ha dichiarato la propria vittoria.
Peccato che, con una rapida ricerca, io abbia trovato una copia digitalizzata di quell’edizione, che confermava i versi di Delano e smentiva Grok. A quel punto, Grok ha capitolato, ammettendo l’errore, chiedendo scusa e promettendo di migliorarsi. Un’ora dopo, con una nuova ricerca, Grok ha fornito la versione corretta, senza le precedenti assurdità, facendomi contento.
Ma la storia non è finita qui. Un’ora più tardi, ho posto una variante della stessa domanda. Incredibilmente, Grok ha generato un’altra versione dei versi finali:
«Diventa una maledizione e una corona laggiù —
e ogni lampo, come se filtrasse tra i capelli
della grande cometa, sembra divampare e cadere,
trascinando lo sguardo nel dominio della Gorgone».
Versi affascinanti, certo… ma inventati! Ancora una volta. A quel punto ho ribadito la versione corretta. Grok, come già in precedenza, si è messo sulla difensiva, affermando che la versione di Delano era quella consolidata, ma che alcuni studiosi ne mettevano in dubbio l’autenticità, ipotizzando che Mary Shelley potesse aver apportato modifiche prima della pubblicazione. Ha persino citato «critici come G. Kim Blank» a sostegno della propria tesi.
Certo, si può sempre trovare uno studioso disposto a mettere in discussione qualsiasi cosa. Ma la questione non è questa. La domanda è: qual è la versione autentica? E due volte Grok ha inventato di sana pianta dei versi, attribuendoli a Shelley. È il colmo dell’ipocrisia: l’intelligenza artificiale che mette in dubbio l’autenticità di una fonte storica, mentre fabbrica versi inesistenti. E, fino a ora, continua a difendere il proprio errore.
Non dubito che, con abbastanza tempo, potrei spingere Grok ad ammettere che anche la citazione di «critici come G. Kim Blank» sia infondata e non giustifichi l’invenzione di versi. Ma non ho altre ore perdere in ricerche per dimostrare, ancora una volta, che Grok ha torto.
È un comportamento sconcertante, non credete? Grok mette in dubbio l’autenticità della versione originale, mentre inventa versi senza alcun fondamento, attribuendoli a Shelley. È come il bue che dà del cornuto all’asino! O, per citare la Bibbia, è come chi vede la pagliuzza nell’occhio altrui, ignorando la trave nel proprio.
E pensare che non c’era nulla di particolarmente specialistico nella mia domanda: il libro originale è disponibile online in sei formati diversi, incluso un facsimile in Pdf. Nessun mistero! È incredibile che Grok non riesca a fare quello che io ho fatto in pochi secondi. Brillante in tutto, tranne che nelle risposte più ovvie.
Perché accade questo? Non lo so, ma ciò che mi esaspera di più è il tono saccente di ogni risposta. È ammirevole che i modelli Llm ammettano i propri errori, ma noi ci rivolgiamo a loro per ottenere informazioni corrette. Se sono sbagliati spesso, come possiamo distinguere il vero dal falso? Se dobbiamo verificare ogni loro affermazione, a cosa servono?
Questa tecnologia è straordinaria, ma la sicurezza con cui si affida alla propria presunta infallibilità supera di gran lunga la sua reale competenza. Ed è pericoloso. Letteralmente qualsiasi cosa che dice potrebbe essere sbagliata. Ogni informazione va controllata più volte con le fonti originali. E per farlo, bisogna conoscere almeno un po’ l’argomento trattato. In altre parole: per correggere Grok, devi saperne più di lui.
Si potrebbe dire che con il tempo migliorerà. Certo! Ma quanto tempo ci vorrà? E fino a che punto potrà davvero migliorare? Non arriveremo mai a un momento in cui potremo affermare: «Ora è completamente affidabile». Gli errori sono parte integrante dell’intelligenza artificiale, e non sapremo mai con certezza dove si nascondano. Nel frattempo, questi modelli continueranno a presentarsi come onniscienti, fino a quando non verranno corretti.
Ed è qui che emerge il vero nodo contemporaneo: il valore dell’essere umano rispetto alla macchina nella nostra vita e nella nostra cultura. Ed è proprio in questo che il libro della Delano raggiunge vette straordinarie.
Unshrunk, anche se è un’opera che si muove sul piano della scienza medica e non approfondisce l’uso dei farmaci psichiatrici, sarebbe già brillante come pura autobiografia. Se fosse un romanzo e non una storia vera, reggerebbe il confronto con i grandi della letteratura vittoriana. Ma proprio perché è scritto da lei, con parole sue, esperienze sue, ricco di dettagli e reso con una forza espressiva da leggere ad alta voce, è un risultato straordinario e rarissimo, irraggiungibile per l’intelligenza artificiale.
È di questo che il nostro tempo ha bisogno: più esempi di bellezza, profondità, e versi che nascono da vite autentiche, vissute senza algoritmi. Il più grande contributo dell’intelligenza artificiale potrebbe essere, paradossalmente, quello di insegnarci, ad amare ancora di più la creatività umana. Perché, nonostante tutte le sue imperfezioni, l’intelligenza umana possiede qualcosa che all’intelligenza artificiale manca: sincerità, originalità, e, per ora, un grado superiore di quella vecchia, cara accuratezza.
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