In Europa, il modello di università gratuita è spesso celebrato come un trionfo della società contemporanea. Senza il peso di rette esorbitanti, con un debito studentesco ridotto al minimo e la promessa di un accesso equo per tutti, sembra un sistema ideale. In Paesi come Germania e Francia, gli studenti pagano una modesta tassa amministrativa, generalmente compresa tra 200 e 500 dollari l’anno, una cifra irrisoria rispetto ai costi elevati delle università negli Stati Uniti o nel Regno Unito. E molti ricevono aiuti economici sotto forma di borse di studio non rimborsabili o prestiti a basso interesse basati sul reddito familiare.
Ma dietro le promesse di equità e opportunità si nasconde un sistema che spesso risulta rigido, sovraffollato e poco stimolante: a fronte dell’accessibilità, frequentare queste istituzioni può far sentire gli studenti dei semplici numeri in un’enorme macchina burocratica. Quando l’istruzione è “aperta a tutti”, le università sono sovraffollate, così come le aule, e il contatto diretto con i docenti diventa un’eccezione. In molti Paesi europei, è diventato normale seguire corsi con centinaia di studenti, con poco spazio per discussioni, verifiche o anche semplici domande: si ascolta, si prendono appunti, si passa o si fallisce. Sembra più una catena di montaggio che un luogo di apprendimento. I numeri spiegano il perché.
Nel 2022, l’Unione Europea contava 18,8 milioni di studenti iscritti a percorsi di istruzione superiore, circa il 7% della popolazione totale. Negli Stati Uniti, nell’anno accademico 2024-2025, circa 19,1 milioni di persone erano iscritte al college. Nonostante numeri di iscrizione simili, sia l’Ue che gli Usa hanno reso l’istruzione superiore ampiamente accessibile. In Europa, dove le rette sono spesso gratuite o fortemente sovvenzionate, l’accesso all’università è stato ampliato per includere la maggior parte della popolazione.
Nel 2022, il 44% dei cittadini europei tra i 25 e i 34 anni aveva completato un percorso universitario, rispetto al 50% negli Stati Uniti. La differenza tra i due sistemi non è nel numero di studenti, ma nel modo in cui l’istruzione viene erogata. Le università europee puntano su lezioni frontali affollate, percorsi formativi rigidi e una competizione tra atenei limitata, un sistema che punta all’efficienza piuttosto all’individualizzazione. Negli Stati Uniti, invece, le istituzioni sono competitive e decentralizzate, hanno diverse strutture accademiche, tra cui college più piccoli e programmi di studio più flessibili. Un’istruzione superiore pensata per soddisfare quasi tutti, come in gran parte dell’Europa, rischia di sacrificare la qualità per la quantità e la personalizzazione per la comodità amministrativa: funziona, ma a scapito di un’istruzione che non è più un viaggio nella conoscenza ma un processo burocratico.
Puntare alla “quantità” significa uniformare, adottando programmi che soddisfino la maggioranza, lasciando poco spazio a chi pensa o apprende in modo diverso. Ma questo processo inizia a monte: in Germania e Francia, ad esempio, gli studenti vengono indirizzati verso percorsi accademici o professionali già a 11 o 12 anni. Senza questo percorso, le possibilità di accedere all’università in seguito si riducono drasticamente. Così, quando arrivano all’istruzione superiore, gli studenti sono già stati canalizzati in un sistema che limita la crescita personale, la sperimentazione e altre opportunità. Questa rigidità non crea semplice frustrazione, ma alimenta la cultura del conformismo.
Gli studenti devono seguire un percorso prestabilito, completare gli studi nei tempi previsti e non disturbare troppo. Fallire o impiegare più tempo vengono considerati debolezza, mentre sperimentare e sbagliare sono alla base dell’autentico apprendimento. Raramente è incoraggiata l’idea di esplorare discipline diverse o prendersi una pausa di riflessione, perché la rapidità con cui si completa il percorso è la misura del successo, non la realizzazione di se stessi. La creatività non esiste. Chi vuole sperimentare vie diverse o porre domande scomode trova scarso sostegno. I docenti spesso non hanno tempo per seguire gli studenti individualmente. La scelta di cosa studiare o di come affrontarla è limitata: l’obiettivo non è stimolare, ma produrre.
Negli Stati Uniti, gli studenti possono creare propri percorsi di studio, cambiare indirizzo o prendersi una pausa senza penalità. Nel Regno Unito, le università sono competitive, propongono programmi innovativi e insegnamento di qualità superiore. Certamente non sono modelli perfetti, soprattutto per i costi elevati, ma danno più spazio per la crescita personale, il pensiero indipendente e la libertà accademica. Non si chiede di reintrodurre rette elevate, l’istruzione deve essere accessibile, ma l’accessibilità da sola non garantisce qualità.
Il modello europeo spesso sacrifica la flessibilità per l’accesso, è pensato per uniformare, non per far eccellere. Nel XX secolo, le università europee hanno aperto le porte a un pubblico più ampio, la necessità di efficienza ha portato a strutture rigide e curricula uniformati. Quello che un tempo era un sistema per pochi privilegiati è diventato una catena di montaggio per milioni. Gran parte degli studenti europei paga meno di 500 dollari l’anno di retta. Negli Stati Uniti, invece, le università private costano in media oltre 38 mila dollari l’anno, ma la maggior parte degli studenti frequenta istituzioni pubbliche con rette intorno ai 10 mila dollari o college che costano circa 3 mila dollari.
In Italia gli studenti spesso frequentano per anni, a causa del sistema obsoleto e lento. I tassi di abbandono sono alti, e le lauree spesso hanno poco peso sul mercato del lavoro. In Francia, alcune scuole prestigiose, le Grandes Écoles, non sono pubbliche, applicano rette elevate, sono più selettive e offrono un’istruzione più personalizzata. Paradossalmente, sono considerate migliori proprio perché non seguono il modello dell’accesso universale.
La vera libertà educativa non si limita all’eliminazione delle rette: significa permettere agli studenti di esplorare, sbagliare, cambiare e trovare la propria strada, promuovere l’innovazione e premiare la curiosità, in un mercato competitivo. Il sistema educativo europeo è motivo di orgoglio, ma questo non deve impedire di migliorarlo. La questione è seria: stiamo davvero formando professionisti o solo macchine pensanti? Imponendo l’uniformità acritica, si distrugge l’essenza dell’istruzione: la capacità di pensare in modo autonomo.
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