Lecornu getta la spugna e per Macron si mette malissimo

di Artemio Romano
6 Ottobre 2025 12:34 Aggiornato: 6 Ottobre 2025 13:11

Il primo ministro francese Sébastien Lecornu si è dimesso a meno di un mese dall’insediamento e a un giorno dalla formazione del nuovo governo. Lecornu è stato il quarto primo ministro francese in meno di un anno. Martedì era previsto un discorso di Lecornu davanti all’Assemblea nazionale, in cui avrebbe dovuto illustrare i piani del suo governo per il futuro, ma le sue dimissioni improvvise costringono Macron a cercare un quinto primo ministro, e continuano a lasciare la Francia senza una guida.
Prima e dopo che Lecornu assumesse l’incarico, sindacati e attivisti di sinistra hanno organizzato continue proteste nazionali contro i tagli alla spesa pubblica.
Lecornu aveva annunciato che non avrebbe fatto ricorso a una particolare prerogativa costituzionale utilizzata dai suoi predecessori per imporre il bilancio senza voto parlamentare, e che preferiva cercare un compromesso con i deputati dell’Assemblea Nazionale, la “Camera bassa” francese. Ma evidentemente invano.

Macron è stato rieletto presidente nel 2022, ma nel 2024 la sua coalizione Ensemble pour la République ha subito una pesante sconfitta alle elezioni politiche, perdendo ben 86 seggi e ritrovandosi senza una maggioranza in Parlamento.
La coalizione di sinistra Nouveau Front Populaire (Nfp) è divenuta il gruppo più numeroso in Parlamento, mentre il partito conservatore Rassemblement National di Jordan Bardella e Marine Le Pen, ha a sua volta guadagnato molti seggi. E entrambi si oppongono ai tagli alla spesa pubblica previsti nel bilancio proposto da Macron. Le prossime elezioni presidenziali in Francia sono previste solo per aprile 2027, Macron tecnicamente può quindi restare al suo posto. Ma dal punto di vista sia politico che della governabilità (che, a quanto pare, nel sistema francese è un problema serio), il fatto che Macron resti attaccato alla poltrona in una situazione in cui il Parlamento non approva nessuno dei governi che lui continua a proporre, è rappresentativo di un grave corto circuito istituzionale.

L’uomo simbolo dell’opposizione a Macron, Jordan Bardella, ha dichiarato a Bfm Tv il 6 ottobre: «Non c’è dubbio che il primo ministro effimero non avesse alcun margine di manovra […] non ci può essere stabilità senza un ritorno alle urne e lo scioglimento dell’Assemblea nazionale». E anche Jean-Luc Mélenchon, uno dei leader del Nfp, chiede su X le dimissioni di Macron e le elezioni anticipate: «In seguito alle dimissioni di Sébastien Lecornu, chiediamo che venga esaminata immediatamente la mozione presentata da 104 deputati per l’impeachment di Emmanuel Macron».

Macron naviga insomma in pessime acque. Soprattutto alla luce del fatto che si trova in questa situazione per una decisione propria: nel giugno 2024 aveva deciso lui di sciogliere l’Assemblea Nazionale nella speranza di rafforzare la sua debole maggioranza, ottenendo invece il risultato opposto. Una sonora bocciatura che, dal punto di vista politico, avrebbe dovuto avere come sbocco naturale le sue dimissioni da presidente della repubblica. Macron sta  invece “tenendo duro” – attaccandosi evidentemente alla lettera costituzionale invece di adeguarsi allo spirito della Costituzione repubblicana – e questo spiega perché si sia arrivati al punto di pensare di metterlo in stato d’accusa.

L’instabilità politica della Francia in questa situazione è infatti un problema molto grave, soprattutto alla luce dello scenario internazionale, con ben pericolosi conflitti in atto (in Ucraina e a Gaza).

Nessun presidente francese è mai stato messo in stato d’accusa e rimosso dall’incarico, con conseguente elezione anticipata, dalla nascita della “Quinta Repubblica” francese nel 1958. Ma, a questo punto, se Macron non si dimette volontariamente, lui potrebbe essere il primo.


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