Ha ragione Khamenei quando dice di aver dato uno “schiaffo” all’America. Esatto, solo un’innocua sberla. E ha ragione Xi quando dice che Taiwan è parte della ‘Cina’. Esatto, è quello che rimane della Cina originaria: peccato che sia il Partito Comunista Cinese a non essere ‘Cina’.
Nell’informazione multidirezionale dei nostri tempi, si rischia di fare confusione e di cadere nell’errore dell’eccesso di prudenza o neutralità, anche quando quest’ultima non sarebbe necessaria, finendo per mettere così sullo stesso livello la voce di un regime dittatoriale e quella di un Paese fondato sui principi di libertà, come l’America. Sebbene infatti l’equa distanza dalle parti sia uno dei principi sacrosanti del giornalismo, il sostegno dei diritti fondamentali minacciati dai regimi viene ancora prima e dovrebbe essere cosa scontata, anche se a impersonare questi valori è magari qualcuno al polo opposto del proprio schieramento politico, o qualcuno che non piace.
Oggi però succede qualcosa di strano: quello che dovrebbe essere scontato non lo è più. Questo succede quando la propaganda – quella dei regimi dittatoriali – comincia ad avere il suo effetto anche al di fuori dei confini di quei regimi stessi. E si fa forte magari delle antipatie che gli elettori possano nutrire verso quei Paesi che rappresentano i valori di libertà. Allora si comincia a credere che quello che dicono questi regimi autoritari possa avere un senso, in fondo, e si comincia a dubitare della buona fede dei Paesi che hanno storicamente sempre garantito i principi fondamentali sui quali si è sviluppato il mondo libero.
Così si rischia di confondere questioni di politica interna, che spesso implicano e riflettono una preferenza politica, destra o sinistra, con temi più grandi di politica estera, che influenzano direttamente lo scacchiere globale: la partita tra le autocrazie, il blocco Cina, Russia e Iran, e i Paesi liberi, l’America e l’Europa.
Nel caso della guida suprema iraniana infatti, è evidente che quelle parole che rivendicano la “vittoria” sull’America siano rivolte all’interno, pronunciate con lo scopo ultimo di ottenere un consenso interno per riconquistare le masse, rafforzando la leadership del regime. Almeno inizialmente, miravano al massimo a ingannare il proprio popolo. Eppure, quelle parole hanno avuto eco nel mondo libero, specie in Europa, continente strategico che il blocco delle autocrazie vuole avvicinare a sé per isolare l’America e dominare la scena mondiale.
La brutta notizia è che la propaganda può essere efficace, e abboccare significa fare il gioco delle autocrazie.
Non si tratta di censurare ciò che dicono questi regimi: il confronto diretto con la propaganda, in un contesto educativo e culturale, può aiutare a riconoscerla. Ma come minimo non si dovrebbe mai dare a quelle parole lo stesso peso di quelle pronunciate da un Paese libero – nostro alleato storico e imprescindibile – come a voler dare credito a quella versione o a inquadrarla come potenzialmente veritiera. Quel messaggio, proveniente da un regime autoritario, dovrebbe essere presentato dai media nel mondo libero con un forte spirito critico, per aiutare le persone a capire chiaramente che si tratta di pura propaganda, ovvero falsità, e non di possibile verità. Perché un regime autoritario che nega i diritti fondamentali quali libertà di credo, liberà di riunione e di parola, non conosce la sincerità. L’equazione per discernere la propaganda dalla verità è in fondo semplice.
In un’epoca in cui la verità è sempre più confusa da una guerra di informazione e propaganda, ci vuole il coraggio di prendere posizione, perché il non prenderla significa tradire chi si batte per far ascoltare la propria voce.
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