La plastica è un pericolo per il cuore?

di Redazione ETI/George Citroner
9 Maggio 2025 12:43 Aggiornato: 9 Maggio 2025 12:43

L’esposizione quotidiana a ftalati, sostanze chimiche utilizzate nei prodotti in cloruro di polivinile come tubi, sacche mediche e pellicole per alimenti, potrebbe essere associata a oltre il 13% dei decessi globali per malattie cardiache nel 2018. Lo suggerisce uno studio recente, che identifica nel di-2-etilesil ftalato (Dehp) una minaccia persistente per la salute pubblica, legata a oltre 350 mila morti per patologie cardiovascolari tra i 55 e i 64 anni a livello mondiale. Pur riconoscendo l’impatto nocivo di queste sostanze, gli autori precisano però che i risultati dello studio non stabiliscono un nesso diretto di causa-effetto.

Condotta dai ricercatori della Nyu Langone e pubblicata su Lancet eBiomedicine, l’analisi ha confrontato dati sanitari e ambientali provenienti da 200 Paesi, mettendoli in relazione con le tendenze della mortalità globale. Le regioni in via di sviluppo risultano le più colpite: Asia meridionale e Medio Oriente hanno registrato circa il 42% dei decessi collegati al Dehp, seguite da Asia orientale e Pacifico con un ulteriore 32%, rappresentando insieme quasi 3/4 del totale globale.

I soggetti con livelli più elevati di ftalati presentano un rischio maggiore di mortalità, in particolare per cause cardiovascolari. L’esposizione in queste aree è favorita dalla rapida espansione della produzione plastica e da normative industriali meno stringenti. Il Dehp, secondo i ricercatori, può generare infiammazioni nelle arterie del cuore, aumentando nel tempo la probabilità di infarti e ictus.

Leonardo Trasande, professore di salute della popolazione presso Nyu Langone Health e autore principale dello studio, ha sottolineato la necessità urgente di introdurre normative più rigorose per limitare l’esposizione a queste sostanze, soprattutto nei Paesi a forte sviluppo industriale. Gli esperti ritengono che nazioni come India, Cina e Indonesia, con rapida espansione industriale e regole meno severe, sopportano il peso maggiore delle malattie cardiache legate agli ftalati. Un segnale d’allarme che richiama il diritto universale a un ambiente salubre, a prodotti sicuri e a un’alimentazione priva di tossicità.

Il gruppo di ricerca intende proseguire gli studi valutando come una riduzione dell’esposizione agli ftalati possa incidere sui tassi di mortalità, analizzando anche altri effetti, come i parti prematuri. L’impatto economico delle morti legate al Dehp è stimato in 3.740 miliardi di dollari. Un’indagine precedente, condotta dallo stesso team, aveva attribuito agli ftalati oltre 90 mila morti premature all’anno negli Stati Uniti, molte delle quali legate a malattie cardiovascolari.

Classificati come interferenti endocrini, gli ftalati sono in grado di alterare i sistemi ormonali, con effetti rilevanti sulla salute. Nei bambini l’esposizione può provocare disturbi dello sviluppo e del comportamento, come difficoltà cognitive e problemi di attenzione. Negli adulti, queste sostanze sono state associate a problemi riproduttivi, come la ridotta qualità dello sperma e irregolarità mestruali, oltre a un maggiore rischio di obesità, insulino-resistenza, diabete di tipo 2 e tumori ormono-sensibili, come il cancro al seno.

Gli esperti hanno inoltre richiamato l’attenzione sui rischi per lo sviluppo cerebrale durante la gravidanza, sottolineando che l’esposizione agli ftalati, in particolare nel secondo trimestre, può compromettere le capacità cognitive del feto. Queste sostanze possono interferire anche con la funzionalità tiroidea e anticipare l’inizio della pubertà.

Sebbene esistano modalità per ridurre il contatto con gli ftalati, la responsabilità di proteggersi ricade ancora in larga misura sui singoli individui, più che su misure normative sistemiche. Secondo la direttrice Bryksin, per ridurre l’esposizione su scala globale sono necessarie normative più severe che limitino l’uso degli ftalati, accompagnate da etichette più trasparenti, strumenti ancora non adeguati ai progressi della ricerca scientifica.

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