Milton Friedman, figura di spicco della scuola monetarista, ha sostenuto nei suoi scritti che esiste un intervallo di tempo variabile tra le variazioni nell’offerta di moneta e i loro effetti sulla produzione reale e sui prezzi.
Secondo Friedman, «nel breve periodo, che può estendersi fino a cinque o dieci anni, le variazioni monetarie influiscono principalmente sulla produzione. Nel lungo periodo, invece, che si misura in decenni, il tasso di crescita monetaria incide prevalentemente sui prezzi». Friedman riteneva che l’impatto delle variazioni nell’offerta di moneta si manifesti inizialmente sulla produzione, con effetti minimi sui prezzi. Solo dopo un intervallo più lungo le variazioni monetarie iniziano a influenzare i prezzi. La ragione principale di questo fenomeno, a suo avviso, risiede nella variabilità dell’intervallo temporale tra l’immissione di moneta e il suo impatto sull’economia reale. Per questo, Friedman proponeva che la Banca Centrale adottasse una regola di crescita monetaria costante, eliminando così le fluttuazioni nella produzione dovute a questa variabilità.
In tale prospettiva, l’effetto della moneta si limiterebbe a influenzare i prezzi. «In media, esiste una stretta relazione tra le variazioni nella quantità di moneta e l’andamento successivo del reddito nazionale», scriveva Friedman. «Ma la politica economica deve affrontare il caso specifico, non la media. In ogni caso, c’è un margine di incertezza. È proprio questa flessibilità, questa mancanza di una corrispondenza meccanica uno a uno tra variazioni monetarie e reddito, che mi ha portato a sostenere da tempo, per gli Stati Uniti, una politica monetaria quasi automatica, con una crescita costante della quantità di moneta del 4 o 5 per cento all’anno, mese dopo mese».
Robert Lucas, nel suo discorso per il Premio Nobel, ha espresso il suo disaccordo con Friedman: «Se tutti comprendono che i prezzi aumenteranno in proporzione all’incremento della moneta, quale forza impedisce che ciò accada immediatamente?» si chiedeva Lucas, che suggeriva che l’effetto reale della moneta nel breve periodo non derivi tanto dalla variabilità degli intervalli temporali, quanto piuttosto dal fatto che le variazioni monetarie siano anticipate o meno. Secondo Lucas, se la crescita monetaria è attesa, gli individui si adattano rapidamente e non si verificano effetti reali sull’economia. Solo un’espansione monetaria non anticipata può stimolare la produzione. «Le espansioni monetarie non previste possono incentivare la produzione, così come, simmetricamente, le contrazioni non attese possono indurre una depressione», affermava.
Sia Friedman che Lucas, seppure per ragioni diverse, concordano sul fatto che rendere la moneta neutrale sia desiderabile per evitare una crescita economica instabile e insostenibile. L’attuale approccio dei policymaker della Federal Reserve sembra integrare le idee di entrambi nel cosiddetto quadro di politica monetaria trasparente. Questo framework accoglie la visione di Lucas, secondo cui una politica monetaria attesa può favorire una crescita economica stabile, e incorpora l’idea di Friedman di un cambiamento graduale della politica monetaria, in linea con la regola di crescita monetaria costante, per rafforzare la trasparenza.
Tuttavia, sia Friedman che Lucas partono dal presupposto che un aumento dell’offerta di moneta possa stimolare la crescita economica (per Lucas, solo se non anticipata). Ma è davvero plausibile che un incremento della moneta generi crescita economica? Murray Rothbard sosteneva che «la moneta, di per sé, non può essere consumata né utilizzata direttamente come bene di produzione nel processo produttivo. La moneta, in quanto tale, è improduttiva; è un bene morto che non produce nulla».Per sostenere che più moneta possa favorire la crescita economica, Friedman e Lucas potrebbero aver adottato il quadro keynesiano secondo cui la domanda genera l’offerta. In questa logica, un aumento dell’offerta di moneta accresce la domanda di beni, il che, a sua volta, dovrebbe stimolare la produzione reale. Tuttavia, la domanda di un individuo è limitata dalla sua capacità di produrre beni: più beni un individuo produce, più ne può richiedere. Se una maggiore domanda potesse, da sola, generare crescita economica, la povertà mondiale sarebbe stata eliminata da tempo. In molti Paesi, a mancare non è la capacità di domandare, ma quella di produrre.
Per la crescita economica è necessario un “fondo di sussistenza” in espansione, che sostenga gli individui nelle varie fasi della produzione, inclusa la costruzione di beni capitali. Un aumento della moneta non è di grande aiuto in questo processo; anzi: genera un consumo non supportato dalla produzione di ricchezza. L’incremento dell’offerta di moneta innesca uno scambio di nulla contro qualcosa, indebolendo il risparmio e impoverendo il fondo di sussistenza, con conseguenze negative per la crescita economica. L’aumento della moneta devia risparmi, capitale e produzione da attività generatrici di ricchezza verso attività improduttive e consumatrici di ricchezza. Persino il sistema proposto da Friedman, che prevede un tasso di crescita monetaria fisso, non garantisce stabilità. Una crescita monetaria, anche se costante, comporta comunque distorsioni nella struttura dei prezzi e della produzione, inflazione, redistribuzione della ricchezza e cicli di espansione e contrazione economica.
Perché, allora, si osserva che gli aumenti dell’offerta di moneta siano associati a incrementi degli indicatori economici, come il Pil reale? In realtà, ciò che si osserva è semplicemente un aumento della spesa, ossia quello che il Pil misura. Più moneta viene generata, più alto è il Pil. Il cosiddetto Pil reale è solo il Pil nominale deflazionato con un indice di prezzo discutibile. Pertanto, la cosiddetta “crescita economica” riflette l’espansione monetaria, e non ha nulla a che fare con una vera crescita economica. Sommare patate e pomodori non produce un totale significativo.
La crescita monetaria, che sia anticipata o meno, non può generare crescita economica; al contrario, produce un effetto reale indebolendo la struttura della produzione e la formazione di capitale, compromettendo così l’economia. Sia la crescita monetaria anticipata che quella non anticipata alimentano i cicli di espansione e contrazione. Inoltre, anche se la crescita monetaria fosse pienamente attesa, c’è sempre qualcuno che riceve la moneta per primo. E anche se la moneta fosse immessa in modo che tutti la ricevessero simultaneamente, le variazioni nella domanda di moneta e i tempi di acquisto differirebbero. Ci sarà sempre qualcuno che spenderà la moneta appena ricevuta prima di altri, generando un trasferimento di ricchezza dai ritardatari ai primi beneficiari. Indipendentemente dalle aspettative, l’interferenza nell’economia attraverso la politica monetaria mina le fondamenta dell’economia stessa. Non è possibile stabilizzare l’economia con politiche monetarie espansive, per quanto trasparenti possano essere. La migliore politica monetaria, dunque, è l’assenza di politica monetaria.
Da Mises.org
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