La Corte dei Conti “blocca” il ponte sullo Stretto

di Roberta Chiarello
31 Ottobre 2025 7:39 Aggiornato: 31 Ottobre 2025 7:39

Galeotta fu la delibera del Cipess: il Ponte sullo Stretto di Messina (per ora) «non s’ha da fare». Il 29 ottobre la Corte dei Conti ha negato il “visto di legittimità” alla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, che avrebbe sbloccato i fondi per l’avvio del progetto definitivo dell’opera. Una mossa che congela, almeno per il momento, la realizzazione della storica infrastruttura voluta per collegare Sicilia e Calabria e riaccende lo scontro tra potere politico e magistratura. Ieri mattina, 30 ottobre, intanto si è tenuto un vertice d’urgenza a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il vicepremier Matteo Salvini, per discutere dell’accaduto. «All’esito della riunione – alla quale ha partecipato in videoconferenza anche Antonio Tajani – si è convenuto di attendere la pubblicazione delle motivazioni della delibera adottata ieri», si legge in una nota del Governo. La relazione della Corte sarà infatti pubblicata tra 30 giorni e «solo dopo averne esaminato nel dettaglio i contenuti il Governo provvederà a replicare puntualmente a ciascun rilievo, utilizzando tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento. Rimane fermo l’obiettivo, pienamente condiviso dall’intero Esecutivo, di procedere con la realizzazione dell’opera».

Il Cipess è un un organo collegiale del governo italiano presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, e si occupa di coordinare la politica economica nazionale, approvare i principali investimenti pubblici e allocare le risorse finanziarie. Il Comitato aveva approvato la delibera n.41/2025 già la scorsa estate, ma adesso i magistrati contabili hanno deciso di non registrare il documento, impedendo di fatto allo Stato di procedere con l’assegnazione delle risorse economiche per la partenza del progetto. L’atto – su cui la Corte aveva già chiesto chiarimenti a settembre – è stato giudicato «non conforme ai requisiti di legittimità formale». Secondo le prime ricostruzioni, sarebbero state riscontrate carenze documentali, dubbi sulla copertura finanziaria e alcune criticità relative alle procedure europee e ambientali. 

Il Ponte sullo Stretto è una delle infrastrutture più discusse della storia italiana. Ideato già negli anni ’70, concepito come ponte sospeso a campata unica, con una lunghezza di oltre 3 chilometri, dovrebbe collegare Messina a Villa San Giovanni, permettendo il transito di auto e treni. Dopo numerosi stop e rilanci, il governo guidato da Giorgia Meloni lo ha rimesso al centro della propria strategia per il Mezzogiorno, considerandolo “opera bandiera” della legislatura. È proprio la premier, adesso, a esprimersi duramente sui paletti imposti dall’organo di controllo, definendoli come «l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento». Sul piano tecnico, «i ministeri interessati e la Presidenza del Consiglio hanno fornito puntuale risposta a tutti i rilievi formulati per l’adunanza di oggi», spiega il presidente del Consiglio in un post su X, con la stoccata finale ai funzionari di viale Mazzini: «per avere un’idea della capziosità, una delle censure ha riguardato l’avvenuta trasmissione di atti voluminosi con link, come se i giudici contabili ignorassero l’esistenza dei computer».

Le fa eco il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, principale promotore dell’opera, che in un’intervista al Corriere della Sera parla di «ennesima invasione di campo della casta giudiziaria». Per Salvini, quella della Corte dei Conti è una decisione politicizzata che però va non solo contro la Lega, ma «contro tutti gli italiani». È un progetto «a cui hanno lavorato 21 università italiane. Studi di progettazione di mezzo mondo, i migliori, dalla Danimarca al Giappone. Il progetto desta una curiosità enorme a livello globale», ribadisce il leader del Carroccio, sottolineando che il Ponte sia anche «sostenuto dall’Europa: il commissario di oggi e il suo predecessore sono entrambi assolutamente favorevoli a quest’opera. E ora, vediamo una scelta dal sapore politico e pochissimo tecnico».

Insorgono le opposizioni. Elly Schlein, segretario del Partito Democratico, punta il dito contro Giorgia Meloni e le sue «gravi affermazioni contro la Corte dei Conti», che chiarirebbero «il vero obiettivo della riforma costituzionale», altro tema caldo nell’agone politico. Ieri infatti il Senato della Repubblica ha dato l’approvazione definitiva al disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e pubblici ministeri. Per la leader dem, tuttavia, «Non è una riforma che serve a migliorare la giustizia, né serve agli italiani. Serve a questo governo per avere le mani libere e mettersi al di sopra delle leggi e della Costituzione».

COSA SUCCEDE ORA?

La bocciatura della Corte non segna certo la fine del Ponte, ma impone uno stop tecnico e politico all’inizio della sua realizzazione. Entro un mese la magistratura contabile dovrà rendere note le motivazioni ufficiali, che chiariranno i punti da correggere. A quel punto il governo potrà scegliere se integrare la documentazione e ripresentare l’atto, oppure – come prevede la legge – “forzare la mano” chiedendo al Consiglio dei ministri di deliberare nuovamente per «interesse pubblico prevalente». In questo caso la Corte, qualora mantenga la propria contrarietà, è chiamata a apporre un “visto con riserva alla delibera”. La procedura prevede poi una segnalazione in Parlamento: «L’atto registrato con riserva acquista piena efficacia, ma può dare luogo a una responsabilità politica del Governo – si legge sul sito della Corte – poiché la Corte trasmette periodicamente al Parlamento l’elenco degli atti registrati con riserva».

In Italia, la Corte dei Conti rappresenta un unicum nel panorama istituzionale: una magistratura autonoma che coniuga funzioni di controllo della spesa pubblica, consultive e di legittimità preventiva con poteri giurisdizionali veri e propri, applicabili in determinati ambiti. Il suo compito, previsto dalla Costituzione, è vigilare sull’uso delle risorse statali, assicurando che le scelte finanziarie di governi e amministrazioni rispettino i principi di legalità, efficienza e economicità. Ma, a differenza di un semplice organo tecnico, la Corte può anche giudicare i funzionari pubblici e i dirigenti responsabili di danni erariali, sanzionando sprechi, abusi o irregolarità contabili. È questo duplice ruolo – tecnico e giudiziario insieme – che le conferisce un peso particolare nell’equilibrio dei poteri.

Istituzioni simili esistono in molti Paesi europei, ma con funzioni spesso più limitate. In Francia, la Cour des Comptes ha anche un ruolo giurisdizionale in materia di responsabilità contabile, ma esercita un controllo prevalentemente amministrativo, orientato alla valutazione delle politiche pubbliche più che alla loro sospensione. In Germania, la Bundesrechnungshof agisce come un’autorità indipendente di “audit”, senza poteri giurisdizionali diretti. Nel Regno Unito, il National Audit Office risponde al Parlamento e produce relazioni di controllo. L’Italia, invece, ha mantenuto un modello più interventista, nel quale il giudizio contabile può incidere in modo concreto sull’attuazione delle politiche fino a rallentarle, come nel caso del Ponte sullo Stretto.

Proprio questa peculiarità alimenta il confronto – e talvolta il conflitto – tra la Corte e la politica. Da un lato, il governo rivendica la legittimità delle proprie scelte come espressione della volontà democratica; dall’altro, la magistratura contabile esercita la propria funzione di garanzia, soprattutto quando in gioco ci sono fondi pubblici di grande entità o procedure non ancora pienamente trasparenti. Il risultato è un equilibrio fragile, in cui il controllo rischia di essere percepito come ingerenza e l’autonomia politica come tentativo di sottrarsi alle regole. È in questa zona grigia che può generarsi un corto circuito istituzionale: quando la verifica di legittimità si traduce in blocco operativo, la politica accusa i magistrati contabili di frenare lo sviluppo, mentre la Corte a sua volta teme di subire pressioni contrarie al proprio ruolo di tutela. Una frattura sottile, ma capace di incidere profondamente sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni e sulla stessa capacità dello Stato di decidere e agire.


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