La Cina «dona» le mascherine per salvare la faccia

di Ella Kietlinska
11 Aprile 2020 19:13 Aggiornato: 24 Gennaio 2025 16:54

Dopo aver dichiarato che in Cina l’epidemia è sotto controllo, il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha iniziato a offrire ad altri Paesi le mascherine e i vari strumenti necessari per frenare la diffusione del virus. Tuttavia, le sue ‘donazioni’ potrebbero non essere così altruistiche come sembrano.

Il 20 marzo, Jakub Jakóbowski, ricercatore del Centro di studi orientali con sede in Polonia, spiega che le spedizioni cinesi di varie forniture mediche a Paesi selezionati in tutto il mondo, sono state «accompagnate da una campagna promozionale molto ampia, che include i media e i social media inglesi, nonché da attività diplomatiche che coinvolgono leader politici dei Paesi che ricevono [spedizioni, ndr] e delle comunità locali». Per ingannare l’opinione pubblica, di solito, il regime non specifica se queste spedizioni sono consegne commerciali per evadere gli ordini effettuati dagli Stati beneficiari o donazioni, e le descrivono come «sostegno» o «assistenza» a Paesi stranieri. Ad esempio, i media cinesi e il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio non hanno distinto chiaramente tra la donazione della Croce Rossa cinese, che comprendeva 50 ventilatori, e il contratto negoziato tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e Di Maio, per l’acquisto di «mille ventilatori per gli ospedali italiani» e altre forniture mediche.

Reuters ha riferito che il 12 marzo, la Cina ha inviato in Italia un aereo con circa 33 tonnellate di attrezzature mediche, tra cui maschere e respiratori, ma senza specificare se fossero state acquistate o donate. Il trasporto è stato organizzato dalla Croce Rossa cinese, che è per lo più finanziata dallo Stato e supervisionata dal Partito Comunista Cinese, ed è stato accompagnato da nove medici provenienti dalla Cina.

Zittiti dal regime

Jakóbowski spiega che Pechino utilizza le donazioni per alleggerire le pressioni e le accuse di non aver intrapreso alcuna azione per avvertire l’opinione pubblica, e di non aver impedito a milioni di persone di lasciare Wuhan per il nuovo anno lunare a gennaio, facendo sì che il virus si diffondesse in tutto il mondo, provocando una pandemia.

Il Pcc ha cercato di mettere la museruola ai cittadini cinesi che rivelavano la verità sull’epidemia. Li Wenliang, oculista di un ospedale di Wuhan, è stato uno dei primi a pubblicare sui social media informazioni sull’epidemia di «polmonite sconosciuta». Dopo che il post è diventato virale, Li è stato convocato dalla polizia locale e rimproverato per «falsi allarmismi». In seguito, è stato costretto a firmare una «dichiarazione di confessione», in cui accettava di non commettere più tali atti. Tuttavia, Li ha contratto il virus del Pcc mentre curava un paziente, ed è morto sei giorni dopo.

Un’altra dottoressa, Ai Fen, che aveva fornito il rapporto diagnostico a Li, si era resa conto che il virus «sconosciuto» poteva essere contagioso e aveva richiesto a tutti i dipendenti del suo reparto di indossare mascherine protettive. La polizia non le aveva dato la caccia, ma per le sue iniziative Ai aveva ricevuto un «duro ammonimento senza precedenti» da parte dei suoi superiori. In seguito, la dottoressa è scomparsa.

Anche alcuni cittadini di Wuhan avevano avvertito l’opinione pubblica sulla pericolosità del virus del Pcc. Fang Bin, negoziante di abbigliamento di Wuhan, dopo aver postato un video che mostrava otto sacchi per cadaveri in un furgone parcheggiato fuori da un ospedale, è stato portato con la forza in una stazione di polizia da uomini mascherati, e due settimane dopo è scomparso.

L’uomo d’affari Ren Zhiqiang è scomparso dopo aver pubblicato un articolo online che criticava il regime per la gestione del virus e per aver censurato le informazioni sull’epidemia.

Come la Serbia ha ottenuto le maschere protettive

Secondo Balkan Insight, a seguito della decisione dell’Unione Europea di adottare nuovi requisiti per l’esportazione di forniture sanitarie protettive verso Paesi extra-Ue, al fine di garantire l’approvvigionamento ai membri dell’Ue che ne avessero bisogno, «il presidente serbo Aleksandar Vučić ha affermato che non c’è una grande solidarietà internazionale né europea». Quindi, durante una conferenza stampa del 15 marzo, ha dichiarato di aver scritto una lettera al leader cinese Xi Jinping per chiedere aiuto, perché inviasse in Serbia medici e forniture sanitarie necessarie a contenere la diffusione del virus. In seguito, ha confermato di aver acquistato dalla Cina 5 milioni di maschere.

Secondo il Telegraf, il 16 marzo è arrivata in Serbia una serie di kit di test per il rilevamento del virus, donati dalla Fondazione Mammoth Foundation con sede a Shenzhen, in Cina. Il secondo lotto di materiale sanitario e un gruppo di esperti medici cinesi sono arrivati dalla Cina il 21 marzo.

Secondo la relazione della ricercatrice Eleanor Albert su Diplomat, dopo l’arrivo degli esperti cinesi, Vučić ha modificato il piano di risposta della Serbia alla pandemia, con il «modello cinese», affermando che la Serbia attuerà test massicci sulla popolazione e isolerà immediatamente i casi lievi di Covid-19 in «cliniche di emergenza», mentre i più gravi rimarranno negli ospedali. Coloro che violeranno le «linee guida per il distanziamento sociale, compreso il coprifuoco» rischieranno dai 3 ai 12 anni di carcere. In seguito, i media statali cinesi hanno ampiamente pubblicizzato come Vučić abbia elogiato la Cina per la sua risposta e baciato la bandiera del Pcc, per mostrare apprezzamento per la Cina, ma anche insoddisfazione per l’atteggiamento dell’Ue. Albert aggiunge che all’indomani della sua lotta contro il coronavirus, «riparare la reputazione interna e internazionale della Cina è senza dubbio la motivazione principale che spinge la propaganda e l’assistenza straniera del regime».

Da una dichiarazione della delegazione dell’Unione Europea in Serbia, si apprende che la settimana scorsa il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, ha annunciato un pacchetto di assistenza alla Serbia del valore di 93 milioni di euro, dei quali 15 milioni per l’acquisto e il trasporto di materiale sanitario e 78 milioni per la ripresa economica.

Secondo la rivista CorD Magazine, il 29 marzo la Serbia aveva già ricevuto due spedizioni di materiale sanitario, una dalla Cina con forniture in parte donate e in parte pagate dalla Serbia, con spese di trasporto finanziate dall’Unione europea, e l’altra dall’India, interamente finanziata dalla Ue.

La Serbia, non ancora membro dell’Ue, aveva formalmente fatto domanda di adesione nel 2009, ma le era stato concesso solamente lo status di candidato nel 2012.

Il 27 marzo, il Dipartimento di Stato ha comunicato che gli Stati Uniti avevano stanziato quasi 222 milioni di euro in aiuti per combattere la pandemia Covid-19 e, di questi, circa un milione erano stati assegnati alla Serbia.

Reuters riporta che Pechino ha concesso prestiti di miliardi di dollari per la costruzione di ferrovie, strade e centrali elettriche in Serbia, utilizzando soprattutto lavoratori cinesi, e ha comprato l’unica miniera di rame e l’acciaieria nel Paese.

Secondo il Centro per gli studi strategici e internazionali, il Paese partecipa anche all’iniziativa Belt and Road, e ha firmato un accordo con la società cinese di telecomunicazioni Huawei per stabilire un sistema di sorveglianza digitale chiamato «Città sicura» in diverse città serbe, compresa la capitale Belgrado.

L’Iran riceve forniture sanitarie dalla Cina

Il Wall Street Journal ha riferito che il 29 febbraio scorso, la delegazione della Croce Rossa cinese ha portato in Iran degli «aiuti umanitari, tra i quali 50.000 kit per test e diagnosi e 13 macchine per la respirazione».

L’Iran ha una partnership strategica con la Cina, che ha aiutato il Paese ad aggirare le sanzioni statunitensi. L’Iran ha importato materiali soggetti a embargo dalla Cina, continuando a vendere petrolio al regime cinese e permesso voli da e per la Cina fino alla fine di febbraio.

Assistenza mondiale alla Cina

Secondo il South China Morning Post, mentre a gennaio il virus del Pcc si diffondeva in Cina, le mascherine protettive erano diventate un bene prezioso, e la Cina aveva registrato una grave carenza dei dispositivi di sicurezza e sanitari necessari per proteggersi dalla nuova malattia.

Quindi, molti Paesi e organizzazioni internazionali si erano affrettati a donare mascherine alla Cina. In Giappone, il governo, le principali città, le società e gli individui, avevano donato mascherine, forniture sanitarie e denaro. Brookings riferisce che l’azienda giapponese Ito-Yokado ha donato oltre un milione di mascherine, e il Catholic News Service ha comunicato che il Vaticano ne ha donate 600.000-700.000, a diverse province cinesi.

L’Unicef aveva annunciato di aver inviato a gennaio, a Wuhan, 6 tonnellate di materiale sanitario, comprese le mascherine e i dispositivi di protezione, mentre gli Stati Uniti avevano donato «quasi 17,8 tonnellate di forniture sanitarie, come mascherine, camici, garze, respiratori e altri materiali vitali, e centinaia di milioni generosamente donati dal settore privato americano».

Reuters ha riferito che, nel mezzo dell’epidemia, il primo febbraio, il premier cinese Li Keqiang aveva chiesto all’Ue di facilitare l’approvvigionamento urgente di forniture sanitarie alla Cina, dai Paesi membri. In seguito, nelle successive tre settimane, «oltre 30,5 tonnellate di dispositivi di protezione individuale erano state inviate in Cina da Francia, Germania, Italia, Lettonia ed Estonia. La Commissione europea aveva specificato che le spese di trasporto erano state cofinanziate dal meccanismo di protezione civile dell’Ue».

Jakóbowski spiega che al 20 marzo, le forniture e le attrezzature sanitarie consegnate dalla Cina ai Paesi europei non hanno superato quelle che gli stessi hanno donato alla Cina, aggiungendo che le attrezzature sanitarie più avanzate di solito non vengono donate, ma vendute dalla Cina. Le donazioni cinesi sono per lo più effettuate dalla Croce Rossa cinese, o dalla Fondazione Alibaba del miliardario cinese Jack Ma, e consistono per lo più in mascherine protettive e kit per rilevamento del Covid-19.

La Cina s’impadronisce delle mascherine dei produttori stranieri

Il consulente commerciale della Casa Bianca Peter Navarro, in un’intervista del 23 febbraio a Fox News, ha dichiarato che le autorità cinesi stavano aggravando la carenza di mascherine negli Stati Uniti, imponendo restrizioni all’esportazione di maschere N95 prodotte da fabbriche cinesi appartenenti all’azienda americana 3M.

A gennaio, l’azienda ceca Respilon, che assembla mascherine di protezione in Cina, era stata informata dalle autorità cinesi che il governo aveva imposto un divieto di esportazione delle mascherine. L’amministratore delegato di Respilon, Roman Zima, ha dichiarato a Novinky.cz che le autorità cinesi hanno utilizzato la fabbrica di Respilon per produrre mascherine per uso proprio.

Jana Zimova, amministratore delegato di Respilon, ha raccontato a Epoch Times, che le autorità cinesi avevano sequestrato 750.000 mascherine Respilon, in un magazzino in Cina. Tuttavia l’azienda è riuscita a recuperarne 120.000 per portarle in Cecenia, e ne ha donate 50.000 a enti di beneficenza e al governo ceco, ma «il resto dei nostri beni è ancora in Cina».

In una conferenza stampa, Zimova ha spiegato che l’azienda è stata trasferita temporaneamente in Turchia, poi a metà maggio si stabilirà in Cecenia, dove produrrà mascherine che filtrano il 99,9 per cento di tutti i virus e batteri.

Il New York Times ha riferito che prima dell’epidemia metà delle mascherine del mondo erano prodotte in Cina, dopodiché la Cina ha incrementato  di circa 12 volte la produzione.

 

Articolo in inglese: China Donates Masks in Attempt to Repair Regime’s Image After Coverup of CCP Virus: Expert

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