Il regime cinese dice no alla proposta di Trump di disarmo nucleare

di Giovanni Donato
28 Agosto 2025 8:37 Aggiornato: 29 Agosto 2025 8:06

La dittatura cinese respinge al mittente la proposta di disarmo nucleare di Donald Trump: per il Partito comunista cinese è un’idea «irrealistica».

Il “Nuovo Trattato sulla riduzione delle armi strategiche”, meglio noto come New Start, scadrà il 5 febbraio 2026. Dopo la fine del primo trattato, lo Start 1 (firmato nel lontano 1991 da George Bush e Mikail Gorbachov) il New Start è l’unico accordo sul controllo della proliferazione nucleare, che vincola però solo Washington e Mosca. Lo Start 2 è entrato in vigore nel 2011 (prorogato di cinque anni nel 2021) e limita entrambe le nazioni a non più di 1.550 testate nucleari e 700 missili balistici intercontinentali, missili balistici lanciati da sottomarini e bombardieri strategici; fissa un tetto di 800 lanciamissili e bombardieri complessivi e prevede ispezioni. Nei negoziati attualmente in atto per il trattato successivo, la Russia ha indicato di voler includere il Regno Unito e la Francia (giustamente, e a questo punto andrebbero computate le 50-90 testate nordcoreane e le 600 cinesi, appunto). Ma il portavoce del ministero degli Esteri del regime cinese, Guo Jiakun, ha dichiarato in conferenza stampa che la Cina non si unirà ai colloqui sul disarmo nucleare fra il suo alleato russo e gli Stati Uniti, perché la responsabilità principale del disarmo nucleare «ricade sugli Stati Uniti». Un ragionamento solo apparentemente corretto, perché la realtà dice altro.

Gli Stati Uniti e la Russia detengono ognuno più di 5 mila testate nucleari (la Francia circa 290, il Regno Unito circa 225). la Repubblica Popolare Cinese ne possiede almeno 600, secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma; l’anno scorso ne aveva 500.
Ma la dittatura cinese ha stretto un’alleanza definita “senza limiti” con la Russia, che prevede non solo “innocenti” partnership commerciali ma anche e, soprattutto, un supporto militare totale (come all’atto pratico dimostra la guerra in Ucraina). Quindi, il Partito comunista cinese è del tutto “autorizzato” a poter contare anche sulle testate nucleari russe controllate dal Cremlino. Non solo: il regime cinese, secondo diverse fonti, sta costruendo nuove armi nucleari a ritmi che si possono definire solo forsennati: sempre secondo l’Istituto di Stoccolma, «a seconda di come deciderà di strutturare le proprie forze, la Cina potrebbe avere almeno tanti Icbm [missili balistici intercontinentali, ndr] quanti ne hanno Russia o Stati Uniti, entro la fine del decennio». Ossia fra cinque anni.

Da qui l’alquanto ovvia (almeno per chi non voglia la guerra) proposta degli Stati Uniti, che si può sintetizzare così: “America e Russia smantellano le proprie testate, e la Cina smette di costruirne”. La logica sottesa ai trattati Start di non proliferazione nucleare è semplice. Le armi nucleari (almeno fino a oggi) sono sempre state considerate un deterrente al conflitto nucleare: le superpotenze se ne dotano proprio per non usarle, con l’unica eccezione delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki, sganciate però per porre fine a sei anni di guerra mondiale (senza contare che quelle due bombe atomiche, per quanto micidiali e devastanti, paragonate alle armi nucleari attuali erano due petardi). Quindi, secondo la logica della deterrenza, l’importante è che i due blocchi avversari “siano pari” per megatoni, e non quanti megatoni si abbiano nel proprio arsenale. Anche perché le armi nucleari attuali, se usate tutte, con ogni probabilità polverizzerebbero l’intero pianeta su cui viviamo.
E quindi, se entrambi i blocchi (Occidente e, dall’altra parte, Russia-Cina-Corea del Nord) decidono di smantellare in modo paritario il proprio arsenale nucleare (magari usando davvero tutto quel prezioso uranio per produrre elettricità) l’equilibrio basato sulla deterrenza a usarle rimarrà, però il rischio che il pianeta su cui viviamo venga annientato tenderà a zero.
Ma alla dittatura cinese tutto questo evidentemente non interessa. D’altronde, un regime che ha come obiettivo dichiarato quello di diventare l’unica potenza dominante del pianeta, non ha alcun interesse a collaborare con le altre nazioni per coesistere in un mondo in cui la pace sia la regola e la guerra l’eccezione.

 


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