Il Messico potrebbe unirsi ai Usa dazi sulla Cina

di Redazione ETI/Andrew Moran
4 Marzo 2025 10:06 Aggiornato: 4 Marzo 2025 12:15

Il Messico ha avanzato una proposta «molto interessante», allineare i propri dazi su Pechino a quelli imposti dagli Stati Uniti, come ha dichiarato il segretario del Tesoro degli Usa, Scott Bessent, il 28 febbraio.

L’annuncio è arrivato dopo che il ministro dell’Economia messicano, Marcelo Ebrard, ha tenuto colloqui commerciali con funzionari statunitensi a Washington in vista dell’introduzione di nuovi dazi americani sulle merci messicane. Parlando a Bloomberg Television, Bessent ha affermato: «Penso che una proposta molto interessante avanzata dal governo messicano sia forse quella di eguagliare gli Stati Uniti sui dazi alla Cina».

Bessent ha suggerito che anche il Canada potrebbe adottare la stessa misura: «In un certo senso, potremmo avere una “Fortezza Nord America” contro l’ondata di importazioni cinesi provenienti dall’economia più squilibrata della Storia moderna» ha aggiunto il ministro del Tesoro americano. Interpellata sulla proposta a Vancouver, il ministro degli Esteri canadese, Mélanie Joly, ha dichiarato ai giornalisti che il Canada è «aperto a una conversazione sul commercio, compreso quello sulla Cina».

Il presidente statunitense Donald Trump aveva già pianificato di imporre ulteriori dazi sui beni provenienti da Cina, Messico e Canada a partire dal 4 febbraio, sostenendo di voler chiamare i Paesi alle loro responsabilità per non aver fermato il flusso di immigrazione illegale e di droghe letali come il fentanyl negli Stati Uniti. I dazi aggiuntivi del 10% sulle merci cinesi sono entrati in vigore come previsto, mentre Canada e Messico hanno ottenuto una proroga di quattro settimane.

Dopo un mese di negoziati, Washington ha dichiarato che i due Paesi vicini hanno «fatto un lavoro ragionevole» nel rafforzare i propri confini. Ora Trump sta valutando a quale livello fissare i dazi a partire dal 4 marzo, in alternativa all’iniziale previsione del 25%.

Il regime cinese nega ogni responsabilità nella crisi del fentanyl negli Stati Uniti. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato il 28 febbraio che l’aumento dei dazi statunitensi «viola gravemente le regole del Wto [l’Organizzazione mondiale del commercio, ndr] e danneggia gli interessi di entrambi i Paesi e del mondo». Dal 2013, la diffusione del fentanyl, una droga straordinariamente letale, ha fatto salire alle stelle il tasso di decessi per overdose da oppiacei sintetici negli Stati Uniti. Solo nel 2022, secondo il National Institute on Drug Abuse, almeno 73.838 persone nel Paese sono morte a causa di oppiacei sintetici come il fentanyl.

Il fentanyl e i suoi precursori continuano a essere spediti dalla Cina agli Stati Uniti in piccoli pacchi. Le sostanze vengono inoltre inviate in altri Paesi, come il Messico, prima che il prodotto finale venga introdotto clandestinamente negli Stati Uniti. Secondo un rapporto pubblicato nell’aprile 2024 dalla House Select Committee sul Partito comunista cinese, il regime detiene partecipazioni in alcune aziende che pubblicizzano apertamente la vendita di droghe illegali nelle Americhe e sovvenziona queste imprese.

Dal gennaio 2023, il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha incriminato diverse aziende chimiche cinesi e i loro dirigenti per traffico di fentanyl. Due cittadini cinesi, Qingzhou Wang, 36 anni, e Yiyi Chen, 32 anni, sono stati condannati il 29 gennaio per aver venduto oltre 200 chilogrammi di precursori del fentanyl ad agenti sotto copertura delle forze dell’ordine statunitensi. Pechino ha ripetutamente affermato di sostenere Washington nella lotta al fentanyl, e di avere le «norme più severe al mondo» in materia di stupefacenti.

Annunciando i nuovi dazi contro la Cina a febbraio, Trump ha respinto le dichiarazioni pubbliche di Pechino, affermando che il regime comunista, con la sua «rete di sorveglianza interna più sofisticata», il suo «sistema di sicurezza esteso» e la repressione sistematica dei dissidenti politici anche al di fuori della Cina, dimostra di «non mancare della capacità di frenare l’epidemia globale di oppiacei illeciti»  ma semplicemente «della volontà di farlo».

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