Il fragile equilibrio tra il controllo degli armamenti e i diritti di una nazione

di Peter Huessy per Epoch Times USA
15 Luglio 2025 12:26 Aggiornato: 15 Luglio 2025 12:26

Il diritto internazionale e gli accordi sul controllo degli armamenti riconoscono a tutti i firmatari pari diritti e doveri. Tuttavia, la realtà si discosta spesso da questo principio, ed è qui che sorgono le difficoltà. Nel 1961, Fred Ikle, futuro direttore dell’Agenzia per il controllo degli armamenti e il disarmo presso il ministero degli Esteri statunitense sotto le presidenze di Richard Nixon e Gerald Ford, si interrogava su come affrontare le violazioni degli accordi sul controllo degli armamenti. Questi trattati, infatti, raramente prevedono sanzioni specifiche, così come le norme di diritto internazionale che ne derivano. Un esempio emblematico è il Trattato di non proliferazione nucleare, firmato nel 1969. Paesi come Corea del Nord, Iran, Iraq, Siria e Libia, tutti firmatari del Trattato, hanno violato in misura diversa i suoi principi. La Corea del Nord, in particolare, ha ingannato sette amministrazioni statunitensi nel corso di 35 anni di negoziati, riuscendo a sviluppare, secondo le stime, un arsenale di circa 50 testate nucleari.

Nel 1981, l’aviazione israeliana distrusse il reattore nucleare di Osirak, in Iraq. Dopo la liberazione del Kuwait nel 1991, le ispezioni condotte dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica  rivelarono che il regime di Saddam Hussein era a soli sei mesi dal completamento di una testata nucleare, un programma avanzato che l’Aiea non aveva individuato. Nel 2003, l’invasione dell’Iraq, volta a ottenere un cambio di regime, portò alla luce un programma nucleare di portata limitata e l’assenza di scorte di armi chimiche, che in precedenza il regime aveva utilizzato contro la propria popolazione, ma che risultavano trasferite in Siria. Questo fallimento fece perdere consenso all’idea di imporre il rispetto del Trattato attraverso la forza militare, poiché il cambio di regime fu giudicato non necessario e contrario al diritto internazionale. In Libia, invece, le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio furono intercettate in alto mare: la nave “Bbc China”, diretta a Tripoli, fu ispezionata dalle marine statunitense e italiana. Confrontato con le prove di un traffico di tecnologie nucleari proveniente dalla rete di Abdul Qadeer Khan in Pakistan e prodotte in Malesia, Muammar Gheddafi si arrese, invitando gli Stati Uniti a smantellare il suo programma nucleare, seppur limitato. La decisione fu influenzata dalla cattura di Saddam Hussein da parte dei marines americani: Gheddafi, come riferì a funzionari statunitensi, non voleva subire lo stesso destino. Gli Stati Uniti confiscarono le attrezzature libiche nell’ambito della neonata Iniziativa di sicurezza contro la proliferazione, garantendo un’applicazione del Trattato senza ricorso alla forza. In Siria, un reattore costruito con l’aiuto della Corea del Nord fu distrutto da un raid israeliano nel 2007. Damasco non tentò di ricostruire il programma nucleare né di nasconderlo, e oggi non collabora più con organizzazioni terroristiche iraniane. Almeno per ora.
Per quanto riguarda l’Iran, diverse amministrazioni statunitense hanno optato per un approccio negoziale con il regime dei mullah, che James Woolsey, ex direttore della Cia, ha definito «genocidi maniacali». L’Iran ha violato ripetutamente le disposizioni del Trattato, ignorando anche il protocollo avanzato introdotto successivamente. Le sanzioni, unica misura adottata, non hanno punito adeguatamente il regime. Nel 2015, l’Accordo internazionale congiunto ha rappresentato il terzo tentativo di limitare la capacità dell’Iran di sviluppare armi nucleari. Per ottenere l’accordo, Teheran ha ricevuto cento miliardi di dollari di proventi petroliferi precedentemente bloccati e il diritto di proseguire l’arricchimento dell’uranio, come concesso sia dal consigliere per la sicurezza nazionale di George W. Bush, Stephen Hadley, sia dal ministro degli Esteri di Barack Obama, John Kerry. L’amministrazione Obama sperava di bilanciare le tensioni tra i terroristi sunniti sauditi e quelli sciiti iraniani, immaginando che la creazione di uno Stato palestinese potesse mitigare le violenze. Tuttavia, ignorava che il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniano fosse alleato di Al Qaeda e coinvolto nella pianificazione degli attentati dell’11 settembre. Il Corpo delle guardie rivoluzionarie non solo ha concesso all’Iran il diritto di arricchire l’uranio, ma ha anche permesso l’uso di tecnologie di arricchimento più avanzate, con restrizioni destinate a decadere entro 10-15 anni. Questo lasciava all’Iran un breve passo verso la costruzione di armi nucleari, come avvertito da Israele e da molti osservatori americani.
L’accordo era così controverso che l’amministrazione Obama evitò di sottoporlo al Senato come trattato, limitandosi a proporre una revisione periodica della conformità iraniana, con il tacito consenso del Senato e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. L’Iran, tuttavia, non ha mai fornito chiarimenti sul suo precedente lavoro nucleare militare, nonostante prove evidenti, come il piano “Imad”, dimostrassero la sua ricerca di armi nucleari. Nel 2007, i servizi segreti americani, imbarazzati per non aver rilevato in precedenza tali attività, dichiararono che l’Iran aveva sospeso o interrotto il programma nucleare militare intorno al 2003, un’asserzione accolta con scetticismo.

Nel 2021, i ribelli Houthi sono stati rimossi dalla lista delle organizzazioni terroristiche, le sanzioni massime contro l’Iran sono state revocate e decine di miliardi di dollari di proventi petroliferi sono stati sbloccati. Le sanzioni automatiche previste sono state lasciate scadere, e l’Iran ha continuato a ignorare anche le deboli disposizioni dell’accordo. Gli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica hanno ripetutamente denunciato che Teheran stava arricchendo l’uranio al 60%, ben oltre i limiti consentiti. Nonostante gli attacchi terroristici iraniani contro gli Stati Uniti, iniziati nel 1979 e responsabili, secondo il generale Jack Keane, della morte di 2 mila americani, la risposta statunitense è stata a lungo limitata.
Solo dopo gli attacchi di Hamas contro Israele nell’ottobre 2023 e decine di aggressioni iraniane contro risorse americane in Medio Oriente, la situazione è cambiata. Con l’insediamento di una nuova amministrazione statunitense e la reintroduzione delle sanzioni, Israele e Stati Uniti hanno agito in modo deciso. Le prove dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che dimostravano un ulteriore arricchimento segreto da parte dell’Iran, hanno spinto i due Paesi a distruggere gran parte delle capacità convenzionali e nucleari iraniane. Gli Stati Uniti hanno abbandonato la politica delle mezze misure, decidendo che i mullah non avrebbero più goduto di alcuna protezione.
Questa azione ha suscitato le proteste dei sostenitori della diplomazia, che hanno accusato gli Stati Uniti di aver violato la Costituzione, poiché il Parlamento non aveva autorizzato gli attacchi. Tuttavia, precedenti operazioni militari, come i lanci di missili Tomahawk contro Libia e Iraq, non avevano richiesto approvazioni simili. Le critiche si sono intensificate quando i media hanno definito gli attacchi inutili, sostenendo che l’Iran avesse trasferito migliaia di centrifughe e quasi mezza tonnellata di combustibile arricchito.

Alcune Testate giornalistiche hanno riportato, poche ore dopo gli attacchi, che l’aviazione americana aveva colpito edifici vuoti, con danni minimi, mentre i media iraniani celebravano una presunta vittoria contro Israele, paventando il rischio di una terza guerra mondiale a causa dell’escalation statunitense. I fatti hanno presto smentito queste previsioni. Decine di migliaia di centrifughe e centinaia di chili di combustibile nucleare arricchito sono stati distrutti, nonostante i tentativi iraniani di proteggere il sito di Fordow con sabbia e cemento.
Secondo le informazioni disponibili, Fordow è ora inutilizzabile. Sarebbe interessante vedere i mullah invitare il New York Times a visitare le sale delle centrifughe, che Teheran sostiene essere intatte. È possibile che l’Iran abbia trasferito parte del materiale nucleare negli ultimi dieci anni, durante i quali le norme sulla non proliferazione sono state ripetutamente violate senza conseguenze militari. I firmatari disonesti degli accordi sul controllo degli armamenti non si comportano come i Paesi virtuosi, nonostante le regole vengano spesso ignorate con complicità. Alcuni alleati degli Stati Uniti hanno arricchito l’uranio oltre i livelli necessari per l’energia nucleare, ma, a differenza dell’Iran, non incitano pubblicamente a «morte l’America».


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