Una delle città manifatturiere più ricche delle Cina è descritta come in declino e in crisi: la città di Dongguan, in prossimità della sponda orientale del fiume delle Perle, è una delle ‘Quattro Tigri del Guangdon’, ed è spesso chiamata la Fabbrica del mondo, perché un tempo vantava un Pil pro capite pari a quello di una nazione mediamente sviluppata.
A Dongguan 17 società sono quotate nel mercato azionario cinese, in diversi settori: dai macchinari all’elettronica, dal settore metallurgico a quello della gomma, dalle materie plastiche al tessile fino ad arrivare all’abbigliamento. L’industria manifatturiera di Dongguan aveva vissuto un periodo d’oro durante la crisi finanziaria asiatica del 1997 e in quella del 2008, secondo il professor Lin Jiang, che lavora al Lingnan College presso l’Università Sun Yat Sen. Molte imprese avevano fatto buoni profitti, permettendo a Dongguan di guadagnarsi la reputazione di centro di produzione globale di prodotti informatici.
Ma ora, in questa zona industriale una volta prospera, prevale come un senso di un tragico destino: «Fabbrica in affitto, subito» si legge sulle pubblicità e sui cartelli affissi ovunque. Una volta, mentre il professor Lin Jiang stava guardando uno di quei cartelli, una guardia gli ha fatto gentilmente notare che le informazioni erano già vecchie di un anno: «attualmente la fabbrica non assume personale. Sebbene siano ancora in funzione, le imprese sono in condizioni molto peggiori rispetto a quest’anno. Questo è il caso di tutti gli stabilimenti in questo settore».
ELETTRONICA A PICCO
Dongguan è un centro di produzione di telefonia che subappalta ad altre compagnie, con cinque società di elettronica quotate nel mercato azionario cinese: Failong Crystal, Zhengye Technology, Shengyi Technology, Kingsun Optoelectronic e Janus Precision Components. Queste società si occupano degli stadi finali del processo di produzione. I principali clienti sono Samsung, OPPO, Meizu e ZTE.
Esattamente come la situazione sperimentata dal polo industriale di Dongguan, queste cinque compagnie hanno registrato una diminuzione di fatturato a partire dal primo semestre del 2015. Ad esempio la Janus Precision Components, nonostante abbia Samsung come cliente, ha subito una perdita netta di circa 25 milioni di euro, un crollo pari all’814,7 per cento rispetto allo scorso anno. Il rapporto del 2015 sul primo semetre della società ha mostrato che il ricavato derivante dalla vendita di componenti di precisione in plastica è stato influenzato dal rallentamento del mercato globale degli smartphone e dal forte calo delle vendite di Samsung di componenti in plastica. Il mercato e i fattori ambientali sono le cause tipiche che spiegano il declino di queste cinque società.
Secondo Yuan Mingren, consulente dell’Associazione Taiwanese di Dongguan, leggi più rigorose in termini di produzione e ambiente hanno portato a un aumento dei costi. Pertanto è difficile per le imprese affrontare le sfide poste da una debole situazione economica. «Il settore dell’elettronica sta facendo peggio quest’anno rispetto al 2008», afferma Yuan. «La crisi del 2008 è stata causata principalmente da fattori internazionali. Quest’anno la crisi è il risultato di una combinazione di fattori internazionali e nazionali, con i fattori interni che contribuiscono ancora di più ad aggravarla».
ONDATA DI CHIUSURE
Gong Jiayong, vice direttore del Centro ricerche per le Strategie emergenti d’Industria di Guangdong presso il China Electronic Information Industry Development Institute, ha dichiarato ai giornalisti che è giunto il momento per l’industria manifatturiera di Dongguan di fare un salto di qualità. Ma per sviluppare un nuovo modello d’industria, il tempo rimasto è molto scarso.
Gong ha riferito che l’attuale situazione economica sta rivelando i problemi di quelle aziende che erano rimaste in sordina durante il rapido sviluppo in passato. Le fabbriche di Dongguan venivano gestite come piccoli laboratori, facendo affidamento su una manodopera a basso costo, sui bonus e su una debole regolamentazione ambientale. Quando sono sopraggiunte condizioni economiche differenti, si è verificata un’ondata di chiusure.
Per esempio la chiusura nel 2008 della Smart Union Toy Factory, la più grande fabbrica di giocattoli a Dongguan, aveva creato una crisi economica di diversi anni. Inoltre, secondo un sondaggio, nel 2011 circa 1.800 su oltre 3.500 fabbriche di giocattoli di Dongguan hanno chiuso i battenti; le aziende che lavorano per le fabbriche di giocattoli, che facevano affidamento su ordinativi esteri, hanno anch’esse chiuso su larga scala. Questa è stata la prima ondata di chiusure a Dongguan. In questo momento rimangono aperte solamente qualche centinaio di fabbriche di giocattoli.
Nel primo semestre del 2015, la Taiwan enterprises Masstop e l’High Power OPTO hanno chiuso i loro stabilimenti a Dongguan. Lo stesso ha fatto Nokia. Dongguan Puguang, subappaltatore di Samsung che impiegava decine di migliaia di lavoratori, ha interrotto la produzione. Il presidente del consiglio d’amministrazione di Dongguan Shengxin Food è irraggiungibile. Il padrone della Dongguan Merde Plastic è fuggito. A luglio 2015 è stato apposto al cancello della Dongguan Soyea Toy un sigillo del tribunale civile completo di sentenza sul caso, a conferma che i dirigenti di questo business della Corea del Sud erano scomparsi.
Quanto durerà tutto questo? Il direttore generale di una società locale di peluche fondata nel 2003 ha ammesso che il business dei giocattoli non era buono come in passato e che chiudere era una cosa comune per le fabbriche di piccole dimensioni. Le fabbriche di giocattoli contraffatti di Dongguan sono quasi tutte scomparse. Nel 2014 si diceva che più di quattromila imprese avessero chiuso a Dongguan, ma questo dato non è stato confermato ufficialmente. Secondo Yuan Baocheng, sindaco di Dongguan, solo nel 2014 hanno chiuso in città 428 imprese. E potrebbero essere anche di più, perché molte potrebbero non aver comunicato la loro chiusura al Dipartimento dell’Industria e del Commercio.
Gong Jiayong, del Centro ricerche per le Strategie emergenti d’Industria, ha dichiarato che questo giro di chiusure è stato per la maggior parte dovuto a fattori industriali. In altre parole, la base industriale per le tradizionali fabbriche subappaltatrici non c’è più. «Le imprese con un piccolo miglioramento nelle loro pratiche di amministrazione e senza il proprio marchio e la tecnologia di base stanno abbandonando il mercato. Il loro tempo è passato», ha espresso senza mezzi termini Gong.
LE PROSPETTIVE FUTURE OSCURANO TUTTA LA CINA
Yuan Mingren, consulente dell’Associazione Taiwanese di Dongguan, ha sottolineato un’altra chiave di lettura. Secondo Mingren, Dongguan non è sola: il settore manifatturiero in tutta la Cina si trova ad affrontare quasi la stessa situazione. Ningbo, Changzhou, Wuxi, Kunshan, Suzhou e Tianjin sono distretti industriali le cui fabbriche hanno clienti sia stranieri che nazionali, e la loro produzione è diminuita di oltre il 40 per cento.
Chen Zhilong, ricercatore del Centro ricerche Regionali della Cina presso l’Università di Finanza ed Economia di Nanjing, ha scritto un articolo in cui osserva che, assieme alla scomparsa del dividendo demografico (ossia l’abbondanza di giovani lavoratori) e all’aumento globale delle spese principali, la crisi e le sfide che affronta l’industria manifatturiera cinese non possono essere cancellate. Se non sarà amministrata correttamente, l’industria manifatturiera della Cina potrebbe «diventare una scatola vuota», potrebbe cioé morire.
Nel 2015, il governo municipale di Dongguan ha lanciato il nuovo piano decennale per migliorare la produzione nella città entro il 2025. Il piano si compone di ‘Sei Grandi Progetti’: produzione intelligente, produzione orientata ai servizi, produzione innovativa, qualità di fabbricazione, cluster di produzione e produzione verde. Ma ci vorrà molto tempo affinché questa politica abbia un qualche genere di effetto sulle piccole e medie imprese. Per ora, la maggior parte di quelle condizionate dalla crisi continua a badare solo ai benefici di breve termine e non si è ancora ‘svegliata’.
Questa è una traduzione ridotta di un articolo pubblicato il 20 ottobre 2015 su JMedia, una piattaforma di pubblicazione per scrittori indipendenti. Lü Yin è scrittore e noto analista di Cina
Articolo in inglese: ‘The Collapse of China’s Pearl River Manufacturing Center’