La Cina conclude il suo 2015 con una vittoria economica. Il Congresso Usa ha approvato un pacchetto di riforme che va ad aumentare i diritti di voto da parte della Cina nel Fondo Monetario Internazionale (Fmi) dal 3,8 al 6 per cento. Tuttavia, questo successo è in gran parte simbolico, e simile all’inserimento dello yuan cinese nel paniere della valuta di riserva (Dsp) del Fmi del novembre 2015.
Nel 2015 quindi, la Cina ha aumentato il suo prestigio internazionale, ma l’economia ha avuto il suo anno peggiore da quando sono cominciate le riforme nel 1992.
PRESTIGIO INTERNAZIONALE
Nonostante sia simbolico, e molto lontano dalla realtà quotidiana della finanza mondiale, il sostegno del Fmi alla Cina è per Pechino una grande vittoria, che aveva perseguito tutto l’anno. L’inserimento dello yuan nel paniere dei Diritti speciali di prelievo (Dsp), significa che il Fmi considera la moneta, e per estensione tutta l’economia politica cinese, al pari di dollaro, euro, yen e sterlina.
Ma perché ‘simbolico’? Prima che il piano della Cina di sostituire il dollaro con il Dsp come valuta di riserva globale diventi realtà, ci sono molto pochi Dsp in circolazione (285 miliardi di dollari) per modificare la domanda per lo yuan come valuta di riserva. Il suo utilizzo inoltre è limitato ai Paesi membri, che lo utilizzando per lo più per le transazioni con il Fmi.
Inoltre, l’aumento dei diritti di voto non modifica la struttura del potere nel Fmi, dal momento che gli Stati Uniti detengono il potere di veto con il 16,5 per cento del totale dei voti. Tuttavia, riconosce gli sforzi della Cina nel costruire una struttura di potere alternativa al sistema finanziario di Bretton Woods, stabilito dopo la Seconda Guerra Mondiale. La Cina ha lanciato con successo la sua Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture quest’anno, convincendo a partecipare persino fedeli alleati degli Stati Uniti come l’Australia e il Regno Unito.
La Cina ha anche perfezionato i suoi sforzi per competere nel commercio mondiale dell’oro, e ha dato il via a varie iniziative per guadagnare il controllo sul commercio mondiale, come l’iniziativa della Via della Seta, che vuole attirare un altro alleato degli Stati Uniti, il Pakistan ? più vicino alla Cina economicamente ? in quanto apre gli scambi con l’Asia centrale e, di conseguenza, con l’Europa. La Cina ha lanciato nuove stanze di compensazione per lo yuan in tutto il mondo, oggi la quarta moneta più usata nel mondo.
Tra le riforme per convincere il Fmi a darle più diritti di voto e l’inserimento nel Dsp, la Cina per la prima volta dal 2009 ha aggiornato le sue riserve auree ufficiali (incrementate più del 60 per cento) a 1.921 tonnellate; ha inoltre rimosso i tassi di interesse che le banche pagano ai depositanti per spostare il reddito ai consumatori, che si suppone diventino il motore di crescita dell’economia. In qualche misura, ha liberalizzato il suo tasso di cambio rispetto al dollaro, anche se è ancora attentamente pilotato. Il regime prevede per il prossimo anno di riformare ulteriormente il tasso di cambio, i tassi di interesse e la registrazione delle compravendite.
PROBLEMI IN CASA
Tutte queste riforme muovono l’economia da un sistema chiuso, centralizzato e pianificato, a una vera e propria economia di mercato pienamente integrata nel sistema finanziario globale. Ma purtroppo, potrebbe essere troppo poco e troppo tardi: la Cina sta attuando ora quelle riforme che avrebbe dovuto realizzare quando l’economia cresceva rapidamente. Ufficialmente, la Cina è cresciuta del 7 per cento nel 2015, il tasso più basso dal 1990; ufficiosamente, la crescita è scesa di circa il 2 per cento, con un marcato rallentamento nel quarto trimestre.
Nel 2015, anche gli analisti più ottimisti si sono resi conto che il modello di crescita degli investimenti della Cina è finito. Ma più dei dati ufficiali sugli investimenti, il calo dei prezzi sulle materie prime e dei prezzi alla produzione in Cina, suggeriscono un rallentamento grave, forse un vera e propria recessione.
Questo cambiamento inatteso della domanda ha fatto barcollare esportatori di materie prime come la Russia, il Canada, Brasile e Australia e ha causato scompiglio tra i giganti della mineraria e delle materie prime internazionali. Hanno speso centinaia di miliardi per costruire la loro infrastruttura presumibilmente per soddisfare la domanda senza fine dalla Cina.
L’unico dibattito che infuria ancora tra investitori e accademici è se il consumer service può sostenere la produzione, gli investimenti e le esportazioni. Anche se ci sono alcuni segnali di capacità di recupero in tutti questi settori, per un vero e proprio riequilibrio ci vorranno decenni, e sarà doloroso, secondo il professore dell’Università di Pechino, Michael Pettis; il consumatore cinese semplicemente non ha un reddito sufficiente a compensare tutte le spese di investimento inutili.
Gli investimenti senza freni hanno creato un grande debito per l’economia: vicino al 300 per cento del Pil. Un debito che deve essere affrontato. Quest’anno, i rapporti sui default e sull’incapacità delle aziende di pagare i loro debiti sono diventati sempre più frequenti, nonostante gli sforzi del regime per fornire sollievo monetario attraverso tassi di interesse più bassi e altri diversi espedienti contabili, come ad esempio il programma di conversione del debito del governo locale.
MERCATI FINANZIARI
Troppo debito e bassa crescita sono le principali ragioni dell’aumento e della caduta del mercato azionario, così come della scioccante svalutazione di metà agosto. Dato che molte aziende non potevano più render conto dei loro debiti di finanziamento, il governo ha finto un boom del mercato azionario, dando alle aziende l’accesso al capitale, che non comportava alcun interesse e non doveva essere rimborsato.
Questo ha funzionato per un po’, ma dal momento che le banche hanno creato la bolla con un margine di debito, non poteva far a meno di cadere prima o poi e, alla fine, l’ha fatto nel mese di luglio. Con la caduta del mercato azionario, tutte le classi di attività in Cina sono state colpite, tanto che era diventato impossibile investire.
La bolla immobiliare era già scoppiata nel 2014. Il fatto che nella seconda metà del 2015 è andata relativamente meglio, non fa una grande differenza. Il mercato azionario si era schiantato e i titoli di Stato locali o obbligazioni societarie con decorrenza da inizio anno, portavano il rischio di default, qualcosa di completamente sconosciuto agli investitori in società cinesi.
Questi fattori hanno aggravato una tendenza, che probabilmente è iniziata a metà 2014: il deflusso di capitali. Da quando la Cina ha aderito all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, ha accumulato miliardi di dollari di riserve valutarie in dollari, gestendo enormi eccedenze commerciali e attirando capitale straniero. Il Paese ha ancora un surplus commerciale, ma le sue riserve di valuta estera sono scese dai 4 miliardi del 2014 ai 3,4 miliardi di novembre 2015. Questo significa che centinaia di miliardi di capitali stanno abbandonando il Paese. Probabilmente il deflusso ammonta a circa 1 miliardo nel 2015.
L’enorme deflusso di capitali, in ultima analisi, ha portato alla forte svalutazione dello yuan nel mese di agosto, ed è la ragione del drenaggio delle riserve valutarie, che si è protratto da allora. Gli investitori internazionali stanno spostando il loro denaro fissandolo in azioni e obbligazioni negli Stati Uniti, mentre i cittadini cinesi divorano beni immobili da New York a Londra.
IL VERDETTO
Nel 2015 si è assistito a una serie di importanti cambiamenti: dall’afflusso al deflusso di capitale; dal sovrainvestimento, al calo della spesa in conto capitale; da una crescente montagna di debiti ai primi default e perdite. Siamo stati testimoni di riforme che segnano l’inizio della piena integrazione dell’economia cinese nel sistema finanziario globale. Il 2015 sarà ricordato come l’anno di una svolta storica per la Cina e il mondo.