Il 10 aprile 1970 il mondo della musica si è fermato per un istante: Paul McCartney ha annunciato pubblicamente che i Beatles, la band che ha ridefinito il concetto stesso di pop e rock, non esistevano più.
La storia della band britannica diventata «più famosa di Gesù Cristo» era iniziata nelle strade di Liverpool, una città operaia che negli anni ’50 pulsava di energia e sogni. John Lennon, un adolescente ribelle con una passione per la musica skiffle, aveva fondato i Quarrymen, accogliendo presto un giovanissimo e Paul McCartney. A loro si era poi unito George Harrison, un chitarrista nella media, e Pete Best un batterista che, a dispetto del nome, non era considerato il migliore sulla piazza di Liverpool. Il migliore in città, infatti, era ritenuto essere tale Richard Starkey, un ragazzetto bassino e dal naso grosso che, siccome suonava con un cappello western, si faceva chiamare “Ringo”, Ringo Starr. E quando sarà il momento di entrare in studio di registrazione, per decisione dei produttori della casa discografica Parlophone, Ringo prenderà il posto del povero Pete Best. Il destino sa essere molto, molto crudele.
Ma, sia come sia, da lì in poi i Fab Four erano pronti a conquistare il mondo.
I primi anni erano stati un turbine di concerti nei locali fumosi come il Cavern Club e i concerti dal vivo nelle bettole di Amburgo. Nel 1963, era arrivato il loro primo album Please Please Me: era esplosa la Beatlemania, il primo fenomeno di isteria collettiva musicale della Storia.
LA SVOLTA
La carriera dei Beatles è stata costellata di eventi che sembrano usciti da un sogno. Nel 1964 ospiti dell’Ed Sullivan Show negli Stati Uniti avevano fatto 73 milioni di spettatori, praticamente tutti i televisori americani avevano trasmesso le loro immagini. La loro musica si è evoluta a una velocità sorprendente: dalle semplici canzoncine d’amore per ragazzini, come She Loves You si ai “capolavori” sperimentali come Sgt. Pepper’s e l’Album Bianco.
Tra gli episodi più particolari, il concerto sul tetto della Apple Corps nel 1969: l’ultima esibizione pubblica della band, un momento spontaneo e caotico che è stato interrotto dalla polizia, ma che ha catturato l’essenza della loro energia creativa, e che è stato imitato vent’anni dopo dagli U2; e più il viaggio in India nel 1968, per incontrare il controverso santone inidiano Maharishi Mahesh Yogi, un’esperienza che ha ispirato alcune delle loro canzoni più introspettive, Across the Universe.
Ma ci sono stati anche momenti curiosi e bizzarri: John Lennon ha restituito il suo Mbe (una onorificenza britannica) per protestare contro la guerra; la teoria complottista del “Paul is dead” è nata da indizi criptici sparsi nei loro dischi. Questa teoria, in particolare, ha catturato l’immaginazione dei fan in modo unico. È emersa verso la fine del 1969, quando un Dj americano ha dichiarato che Paul McCartney era morto in un incidente d’auto nel 1966 ed era stato sostituito da un sosia di nome William Campbell. I fan hanno iniziato a cercare “prove” nei testi e nelle copertine degli album. Ad esempio, sulla copertina di Abbey Road, Paul è l’unico a piedi nudi e fuori passo dagli altri, come se fosse un simbolo della sua “morte” (in Inghilterra i morti si seppellivano scalzi). In Sgt. Pepper, un’aiuola a forma di chitarra è stata interpretata come una tomba, e il testo di A Day in the Life ha alimentato speculazioni con versi ambigui come “he blew his mind out in a car”, oppure John Lennon che biascica «Paul is dead, miss him, miss him» alla fine di I’m so tired. I Beatles hanno sempre smentito queste voci.
LO SCIOGLIMENTO
Ma anche le stelle più brillanti si spengono. Alla fine degli anni ’60, diverse tensioni interne hanno cominciato a incrinare il gruppo. Divergenze creative, l’influenza di Yoko Ono nella vita di Lennon, la morte del manager Brian Epstein nel 1967 e le pressioni di una fama insostenibile hanno portato a un lento ma inesorabile distacco. L’album Let It Be, pubblicato dopo lo scioglimento (anche se il vero ultimo album in termini di registrazione è Abbey Road), è stato un canto del cigno dolce-amaro, con brani come The Long and Winding Road che presagiscono la fine.
Quando McCartney ha annunciato l’addio nel 1970, i fan hanno pianto, ma i Beatles hanno lasciato un’eredità che non si è mai dissolta. Ognuno dei quattro ha intrapreso strade diverse, regalandoci ancora musica straordinaria, ma nulla ha mai eguagliato la magia di quel quartetto unito.
UN ADDIO SENTIMENTALE
Oggi, a 55 anni da quel giorno di aprile, ci si ritrova a sfogliare vecchi vinili, a guardare foto in bianco e nero di quattro ragazzi che hanno riso insieme, ignari di quanto sarebbero diventati grandi. I Beatles non sono stati solo una band: sono stati il primo grande fenomeno socio-culturale del mondo giovanile, un sogno condiviso, una promessa che la musica potesse unire il mondo, anche solo per il tempo di una canzone. Hanno insegnato alle persone a credere nell’amore con All You Need Is Love, a sognare con Imagine (sì, anche se è di Lennon solista, è nata da quel cuore beatlesiano), a trovare bellezza nella semplicità di Yesterday.
Lo scioglimento spezzò il cuore a mezzo mondo, ma lasciando comunque un regalo: la possibilità di tornare a quelle note ogni volta che ne abbiamo bisogno. E così, mentre il vento porta via le ultime note di Let It Be, viene spontaneo sussurrare un grazie a John, Paul, George e Ringo: non per ciò che sono stati, ma per ciò che continuano a essere, ogni giorno, nei ricordi di tutti.