«Riteniamo che queste verità siano sacre e innegabili, che tutti gli uomini siano creati uguali e indipendenti, che da questa creazione uguale derivino diritti innati e inalienabili, tra i quali la difesa della vita, la libertà e la ricerca della felicità». Lo scrive nel 1776 Thomas Jefferson nella bozza della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.
La bozza di Jefferson fu discussa, dibattuta e modificata dagli altri membri del Comitato dei Cinque, composto da Benjamin Franklin, John Adams, Roger Sherman e Robert Livingston, e in seguito dal Secondo Congresso Continentale. Parlando di «diritti inalienabili» i Padri Fondatori capivano perfettamente cosa si intendesse per vita, libertà e ricerca della felicità. L’ultimo di questi tre diritti, tuttavia, nel corso dell’ultimo secolo è stato lentamente e completamente ridefinito.
Sul significato di felicità, Jeffrey Rosen, presidente e amministratore delegato del National Constitution Center, ha lavorato instancabilmente per restituire alla coscienza americana il suo senso originale. Attraverso il Constitution Center, il podcast We the People e numerose conferenze, Rosen, che è anche professore di diritto, lavora per sensibilizzare i cittadini americani sui principi della Dichiarazione di Indipendenza e della Costituzione e, sull’esempio dei Padri Fondatori, scrive.
DEFINIRE LA FELICITÀ
In The Pursuit of Happiness: How Classical Writers on Virtue Inspired the Lives of the Founders and Defined America, (La ricerca della felicità: Come gli scrittori classici sulla virtù hanno ispirato la vita dei fondatori e caratterizzato l’America) Rosen spiega come i Fondatori intendessero il significato di felicità e come quell’ideale non nascesse da loro, ma fosse stato elaborato nel corso dei millenni.
Spiega Rosen: «Per i Padri fondatori, la ricerca della felicità significava essere buoni, non “sentirsi bene”, ricercare la virtù e non il piacere immediato. Per virtù intendevano la padronanza di sé, la fiducia in se stessi, il miglioramento del carattere». Questa sorta di «libertà ordinata», come l’ha definita Rosen, in cui si ordina la propria vita in modo virtuoso e responsabile, «è una parte cruciale del praticare la virtù».
Rosen ha ripreso le riflessioni dei Fondatori secondo cui una società, per essere libera, deve essere virtuosa. La loro definizione di felicità si basava sul dizionario di Samuel Johnson, che citava numerose fonti per definire la parola: dal teologo Richard Hooker al filosofo politico John Locke. Rosen aggiunge che questi ideali, che coincidono con quelli del XVIII secolo, provengono dall’Etica Nicomachea del filosofo greco Aristotele, che «definisce la felicità come un’attività dell’anima rispondente all’eccellenza o alla virtù».

La ricerca della felicità, quindi della virtù, per i Fondatori rientrava in un contesto più ampio, quello dell’autogoverno: istituire un governo che riflettesse gli ideali della persona virtuosa.
Dice Rosen: «I Fondatori ritenevano che l’autogoverno del singolo fosse necessario per l’autogoverno politico. Ogni individuo deve trovare prudenza, temperanza, coraggio e giustizia – le quattro virtù classiche – nella costituzione della propria mente, per ottenere lo stesso equilibrio e la stessa armonia nella Costituzione dello Stato».
Un governo giusto deve nascere dal basso e non dall’alto e un popolo ragionevole può costruire un governo ragionevole. Inoltre, la ragione deriva dalla razionalità, e una persona razionale ha una propria ragione, fondata su principi stabiliti: senza la ragione, la forma di governo degli uomini non sarebbe diversa da quella degli animali.
Come sottolinea Rosen, i diritti dell’uomo derivano da Dio: «Quando una società perde la coscienza che i suoi diritti e le responsabilità provengono da Dio o dalla natura, tutto viene ridotto a politica e la politica non regolata dai principi, che i nostri Fondatori avevano riconosciuto, può portare alla violenza».
Il timore di Rosen è che l’America sia sul punto di cadere proprio su questo: la maggior parte dei dibattiti del Paese, anche quelli relativi ai diritti inalienabili, sono stati ridotti a mera “politica”. Ma ha ricordato che questo non è un fenomeno del XXI secolo. I Padri Fondatori conoscevano bene i fallimenti di governi del passato, sapevano che per creare un governo che durasse nel tempo era indispensabile capire cosa avesse fatto crollare gli altri.
Quando nel 1787 i delegati di tutti gli Stati – escluso il Rhode Island – si riunirono a Filadelfia per la Convenzione costituzionale, ognuno portò la propria proposta di Costituzione. Il dibattito, che verteva sui principi di ragione e di virtù, durò tutta l’estate. Rosen scrive che James Madison arrivò con un «baule pieno di libri sulle democrazie fallite della Grecia e di Roma», e che John Adams ragionava sui cicli della Storia descritti da Polibio, che diceva «che la monarchia si trasforma sempre in tirannia, l’aristocrazia in oligarchia e la democrazia in massa».
I Fondatori però erano consapevoli che questo nuovo governo, fondato su una nuova Costituzione, doveva nascere dalla volontà del popolo. Doveva essere democratico, ma formato in modo da temperare la faziosità e garantire che la democrazia non degenerasse in rivolta delle masse. La Convenzione costituzionale, quindi, promise una «forma di governo repubblicana», che fu accettata, e la Costituzione, studiata per «separare i poteri al fine di proteggere la libertà e garantire la sovranità finale di “Noi, il popolo”» fu ratificata dagli Stati.
E ora, all’avvicinarsi del 250° anniversario dell’America, abbiamo un Paese diviso in fazioni. Rosen sostiene che l’attuale «riduzione a politica» non è un prodotto di questo secolo, ma risale a quello precedente, e che il declino della virtù americana è iniziato negli anni Cinquanta e Sessanta: «In particolare, vediamo che la cultura pop ha iniziato a celebrare l’edonismo piuttosto che la padronanza di sé. Di conseguenza, l’idea della felicità come virtù è svanita dalla nostra coscienza popolare». Le cause sono complesse e molteplici, e vanno dalle nuove filosofie, come il Romanticismo – che «esalta l’espressione di sé e l’indipendenza piuttosto che la padronanza di sé» – la perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali fino al «cambiamento del ruolo della religione nella vita pubblica».
Aggiunge inoltre che lo sviluppo della tecnologia negli anni ha contribuito notevolmente al declino della virtù individuale, e quindi nazionale: «La sfida più grande all’idea dei Fondatori di una virtuosa padronanza di sé e della successiva gratificazione è rappresentata dai nostri dispositivi: la dipendenza dallo “scorrere” sugli schermi invece di leggere attentamente le cose porta a diventare schiavi delle nostre passioni invece di dominarle».

Non furono solo i Fondatori a comprendere l’importanza della lettura approfondita, lo capiva anche il cittadino americano medio dell’epoca. Ecco perché i Federalisti e gli Anti-Federalisti si servivano delle pubblicazioni, dei periodici, per sostenere le tesi a favore o contro la nuova Costituzione: i loro concittadini leggevano, riflettevano ed eventualmente discutevano le idee.
Madison, dice il professore, riponeva «molta fiducia in una nuova tecnologia mediatica, oggi chiamata broadside press». Sperava che i cittadini leggessero le argomentazioni, come quelle dei Federalist Papers (articoli politici) e si prendessero «il tempo di discuterli con i loro concittadini, una cosa molto lontana dagli Instagram Reels».
Davvero molto lontana… Secondo Rosen, i social media e le fonti di notizie disponibili 24 ore su 24 «gratificano le emozioni più basse, come la rabbia, la gelosia e la paura, e creano una polarizzazione negativa. È una tecnologia che i Fondatori non avrebbero mai potuto prevedere, ma è un problema che conoscevano bene». Riflettendo su questo, Rosen aggiunge che i Fondatori «non erano affatto sicuri che l’esperimento americano [sarebbe] riuscito, ma [pensavano] che tutto dipendesse dalla virtù dei cittadini, dalla capacità dei cittadini di trovare la padronanza di sé e l’autodisciplina per essere governati dalla ragione piuttosto che dalla passione».
Rosen è pienamente convinto che l’America sia in grado di tornare alle proprie radici virtuose e, in realtà, i fallimenti morali dei Fondatori nel ricercare la felicità sono un incoraggiamento. Tra i Fondatori più importanti, alcuni erano proprietari di schiavi e Rosen osserva che non cercarono di giustificare la schiavitù, credevano che questa violasse la Bibbia e la legge naturale, ma era un “male” che molti non riuscivano a contrastare.
Rosen riflette: «In un certo senso, è scoraggiante e allo stesso tempo incoraggiante vedere che questi grandi Fondatori non riuscivano a realizzare i loro ideali, perché ci fa capire che noi stessi non riusciremo mai a diventare perfetti, ma possiamo provarci e possiamo essere ispirati dai loro sforzi esaltanti».
«Erano molto attenti alla ricerca. Erano moralmente molto seri nel ritenersi responsabili, nel rimproverarsi quando non riuscivano a raggiungere i loro ideali, nel riconoscere in alcuni casi le loro ipocrisie e nel cercare sempre di fare meglio».
IMPEGNARSI PER LA VIRTÙ

Rosen pensa che possiamo riconoscerci nei Fondatori perché non siamo tanto diversi. Nota che anche il nostro dibattito politico è simile: il confronto tra Alexander Hamilton e Thomas Jefferson «sul potere nazionale contro i diritti degli Stati, su un esecutivo forte contro un Congresso forte, sull’interpretazione liberale della Costituzione contro quella rigorosa, ha definito… da allora, le nostre battaglie politiche e costituzionali». Ha aggiunto, tuttavia, che sebbene quei due Fondatori storici fossero in disaccordo sulla linea politica, restarono fedeli ai principi della Dichiarazione d’Indipendenza e della Costituzione.
Rosen esorta vivamente a fare lo stesso: «È incoraggiante vedere ancora oggi che americani di diverse posizioni continuano a credere nei principi della Dichiarazione e della Costituzione».
Ma «È anche preoccupante notare che ci sono forze illiberali a sinistra e a destra che rifiutano questi principi. È di estrema importanza, con l’avvicinarsi nel 2026 del 250° anniversario dell’America, che tutti gli americani di diverse opinioni si impegnino a salvaguardare i principi della Dichiarazione e della Costituzione. È questo che garantirà il successo costante dell’esperimento americano per i prossimi cinquant’anni e oltre».