I ministri degli Esteri del G7 riuniti in Canada cambiano posizione su Taiwan: il nuovo comunicato prosegue la linea di una recente dichiarazione congiunta di Stati Uniti e Giappone, condannando l’atteggiamento ostile di Pechino nei confronti di Taiwan. I Sette Grandi non assecondano più la teoria del regime cinese della “Cina unica”, secondo cui l’isola di Taiwan sarebbe territorio appartenente «di diritto» alla Cina continentale.
Rispetto al comunicato dei ministri G7 dello scorso novembre, il nuovo testo vede con preoccupazione l’espansione nucleare cinese, benché ancora eviti di condannare la dittatura comunista cinese per le persecuzioni religiose e le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, nel Tibet e a Hong Kong. Crimini contro l’umanità che si sommano al prelievo forzato di organi da persone ancora in vita (di cui sono vittime in gran parte i praticanti del Falun Gong), un racket milionario gestito da ospedali militari controllati dal Partito comunista cinese e su cui i G7 continuano a tacere.
Ma indubbiamente il tono delle dichiarazioni del G7 è cambiato: sono spariti i riferimenti al desiderio di «relazioni stabili e costruttive con la Cina» e quelli all’importanza di un «dialogo diretto e franco per gestire divergenze». Lo scorso novembre (prima che entrasse in carica Donald Trump) i Grandi della Terra rassicuravano il regime cinese che non vi era «nessun cambiamento nella posizione del G7 su Taiwan, incluse le politiche di una sola Cina» e che il G7 non si stava «allontanando» da Pechino, ma che anzi riconosceva il ruolo della Cina nel commercio internazionale.
La posizione politica “una sola Cina”, che riconosce Pechino come governo ufficiale cinese e mantiene legami non ufficiali con Taipei, è stata per decenni la base dei rapporti occidentali con il regime di Pechino e Taiwan. Questo cambiamento, quindi, non può che preoccupare il Partito comunista cinese. Nel comunicato, i ministri «auspicano una soluzione pacifica delle questioni tra le due sponde e ribadiscono la loro opposizione a tentativi unilaterali di cambiare lo statu quo con la forza o la coercizione».
Le dichiarazioni del G7 «ignorano i fatti e la posizione solenne della Cina, interferiscono gravemente nei suoi affari interni e la diffamano spudoratamente», ha replicato un portavoce dell’ambasciata cinese in Canada citato da Reuters. La Cina «si oppone fermamente alle malefatte del G7 che ledono la sua sovranità», ha aggiunto il portavoce del regime, sottolineando poi che «la chiave per mantenere pace e stabilità nello Stretto di Taiwan sta nel rispettare il principio di una sola Cina».
Donald Trump e il Primo Ministro giapponese Shigeru Ishiba hanno introdotto, in un summit del mese scorso, il termine «coercizione» per descrivere la crescente pressione militare cinese su Taiwan.
I ministri del G7 hanno poi espresso seria preoccupazione per la situazione del Mar Cinese Orientale e Meridionale, per le azioni militari cinesi indirizzate a Filippine e Vietnam, e hanno denunciato l’uso crescente di «manovre pericolose» e i tentativi di limitare la libertà di navigazione appunto nel Mar Cinese Meridionale che, analogamente a Taiwan, il regime cinese considera “cosa propria”.
A livello economico, l’ultimo G7 ha criticato il regime comunista cinese anche per le sue politiche opposte al libero mercato, che causano sovra-capacità produttive e distorsioni del mercato (che danneggiano non solo l’economia cinese ma quelle del mondo intero) invitando il Pcc a evitare misure di controllo delle esportazioni che possano causare degli shock sulle catene di approvvigionamento.
L’ambasciata cinese in Canada, di rimando, ha attaccato il G7, rispondendo che la regione Asia-Pacifico «non è una scacchiera per rivalità geopolitiche», ed esortando il G7 a «abbandonare la mentalità da Guerra Fredda e smettere di creare confronti tra blocchi e alimentare tensioni». Il regime, tramite l’ambasciata in Canada, ha poi respinto le accuse a suo dire «infondate» del G7 su sovra-capacità e gravi distorsioni del mercato, accusando i membri del G7 di «politicizzare le questioni economiche e commerciali».