La coalizione di governo guidata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è «sul punto di crollare», ma non per la guerra a Gaza o per il trauma del 7 ottobre.
A sostenerlo è Yossi Verter, uno dei più noti analisti politici israeliani, in un editoriale pubblicato su Haaretz, storico quotidiano di centrosinistra noto per le sue posizioni critiche verso la destra e il nazionalismo religioso. Secondo Verter, «è difficile immaginare che 20 mesi dopo lo scoppio della guerra a Gaza, il governo di Israele possa crollare – non per il più disastroso fallimento della sicurezza nella storia del Paese; non per i 1.200 assassinati del 7 ottobre; non per la più politica, lunga e cinica guerra dalla fondazione dello Stato; e certamente non per il sacrificio di 58 ostaggi per mantenere intatta la coalizione». La miccia che ora potrebbe far saltare tutto, spiega l’autore, è invece il mancato accordo per una legge che garantisca un’esenzione permanente dal servizio militare a circa 80 mila uomini ultraortodossi (haredim), «corredata da miliardi di shekel per i partiti che li rappresentano nel governo».
«Ci saranno elezioni anticipate – afferma Verter – anche se non è ancora chiaro quando, perché Netanyahu ha venduto l’anima alla comunità più estrema e turbolenta del Paese, che pretende un’evasione istituzionalizzata dalla leva mentre soldati del resto della società vengono uccisi e feriti quasi ogni giorno». Verter attacca duramente la leadership di Netanyahu, accusandolo di perseguire una «legge tra le più immorali nella storia dello Stato». Il premier, scrive il giornalista, «ha ordinato da poco un aumento delle giornate di riserva militare a 450 mila – per la quinta o sesta volta – mentre lavora dietro le quinte per portare avanti una norma che rappresenta un insulto a chi combatte e rischia la vita». La crisi sarebbe ora nelle mani di Yuli Edelstein, presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset, che secondo Verter «è l’unica persona a frapporsi tra Netanyahu e il suo obiettivo».
I partiti ultraortodossi – Shas compreso – avrebbero ormai deciso di sostenere una mozione per lo scioglimento della Knesset, minaccia che avrebbe scosso anche il premier. «È questo il nostro Aryeh?», si chiede Verter con ironia riferendosi al leader di Shas, Aryeh Deri. «Sì. Deri è subordinato ai suoi rabbini ultraestremisti, che a loro volta si inchinano ai fratelli ashkenaziti. Se dipendesse da lui, spegnerebbe le luci nel complesso governativo. Ma non stavolta». L’editorialista sottolinea il peso crescente dei rabbini anziani, «tutti nella loro nona o decima decade di vita», per i quali «le chiamate di leva sono sporcizia da gettare nel gabinetto». E conclude con un monito: «Potrebbero scoprire che sarà l’elettore israeliano a scaricarli nel gabinetto politico, condannandoli a un lungo esilio all’opposizione, come punizione per la loro arroganza, impudenza e avidità».
Se in Israele si votasse oggi, il blocco di opposizione guidato dall’ex primo ministro Naftali Bennett otterrebbe tra i 62 e i 72 seggi alla Knesset, contro i 48 che andrebbero ai partiti della coalizione di governo guidata da Netanyahu. È quanto emerge da un sondaggio condotto dall’emittente Channel 12, secondo cui la nuova formazione politica di Bennett si affermerebbe come primo partito del Paese con 24 seggi, seguita dal Likud di Netanyahu con 22. Complessivamente, secondo la rilevazione, la ripartizione dei 120 seggi del Parlamento israeliano vedrebbe i Democratici ottenere 12 seggi, Shas 10, Yisrael Beytenu 10, Yesh Atid 9, Otzma Yehudit 8, Unione nazionale 7, Ebraismo della Torah Unito (Uyj) 8, Hadash-Ta’al 5 e Ra’am 5. Le liste Sionismo religioso e Balad non supererebbero lo sbarramento.
Il sondaggio ipotizza due scenari: con la partecipazione dei partiti arabi Hadash-Ta’al e Ra’am, il blocco di Bennett raggiungerebbe 72 seggi, mentre senza di essi si attesterebbe a quota 62, comunque oltre la soglia di maggioranza assoluta. Il nuovo partito politico fondato da Naftali Bennett si chiama “Bennett 2026”, nome provvisorio che potrebbe essere modificato in vista delle prossime elezioni politiche. L’obiettivo dichiarato del partito è «ripristinare la sicurezza in Israele e la fiducia del popolo nella capacità del Paese di difendere i suoi confini e l’interno», promuovendo un concetto di sicurezza attivo.