Medico cinese testimonia il prelievo forzato di organi da persone in vita

di Redazione ETI
9 Marzo 2015 13:21 Aggiornato: 22 Giugno 2025 9:51

Il signor Wang (pseudonimo) vive in Canada da anni, ma solo recentemente ha deciso di rendere pubblico un episodio straziante vissuto circa vent’anni fa in Cina: da giovane medico tirocinante è stato costretto a partecipare al prelievo forzato di organi da una persona ancora in vita. Le autorità cinesi, in particolare il sistema medico-militare, si servono tuttora degli organi prelevati dai prigionieri giustiziati (ma, dopo il 2000, anche dai prigionieri di coscienza del Falun Gong – vivi) per eseguire trapianti su cittadini cinesi benestanti e su stranieri che possono pagare. Esisteva da tempo il sospetto che il prelievo spesso venisse eseguito mentre le vittime erano ancora vive, per assicurarsi di avere  organi di “alta qualità”. Quella che segue è la testimonianza del signor Wang così com’è stata raccontata a The Epoch Times Usa

 

«Il fatto risale agli anni ’90. Ero un medico interno nel dipartimento di Urologia dell’Ospedale militare generale di Shenyang, nella provincia del Liaoning. Un giorno l’ospedale ricevette una chiamata dalla regione militare di Shenyang, che chiedeva al personale medico di eseguire immediatamente una missione militare.

Nel pomeriggio il direttore del mio dipartimento fece un appello e furono chiamati sei membri del personale: due infermiere, tre dottori ed io.

Ci dissero che da quel momento e fino alla fine della missione non avremmo potuto metterci in contatto con il mondo esterno, compresi famiglia e amici. Non eravamo autorizzati a tenere, né ad avere accesso ad alcun mezzo di comunicazione, come i telefoni.

Siamo saliti su un furgone modificato; davanti a noi c’erano alcune auto militari cariche di soldati armati. I mezzi militari avevano le sirene accese per aprirci la strada e andavamo a velocità elevata. Le finestre del nostro furgone erano coperte con dei teli blu, per impedirci di vedere dove fossimo diretti.

Infine siamo arrivati in un posto circondato da montagne, nel quale stavano di guardia molti soldati. Un ufficiale militare ci ha ricevuti, e da lui abbiamo scoperto che ci trovavamo in una prigione militare vicino a Dalian.

La mattina seguente, due soldati hanno accompagnato un’infermiera che doveva prelevare alcuni campioni di sangue, poi ci hanno chiesto di salire sul nostro furgone. Ci hanno portato in un luogo sconosciuto. Alcuni soldati armati circondavano il nostro furgone.

Dopo poco tempo quattro soldati hanno portato un uomo nel furgone e lo hanno messo in un sacco di plastica nero lungo circa due metri.

I piedi dell’uomo erano legati strettamente insieme da una specie di filo speciale e resistente, molto sottile, come una fibra. Gli tagliava la carne. Era legato strettamente anche intorno al collo e con le mani dietro la schiena, con lo stesso filo collegato anche alle gambe per impedirgli di muoversi o di lottare – infatti, cambiare posizione gli avrebbe tagliato il collo, che già presentava una ferita grave, a giudicare dal sangue che gli sgorgava dalla gola.

Un dottore mi ha detto di tenerlo fermo. Quando gli ho toccato le gambe potevo sentire che erano ancora calde.

I dottori e le infermiere si sono vestiti velocemente per l’intervento. Ero il loro assistente, incaricato di recidere le arterie, le vene e l’uretere [il canale che connette i reni alla vescica].

Un’infermiera ha tagliato e aperto la maglia dell’uomo e ha applicato del disinfettante sul torace e sull’addome per tre volte. Quindi un dottore con un bisturi ha fatto un taglio dalla sub-xifoidea mediana [sotto il torace] fino all’ombelico.

Ho visto che le gambe dell’uomo si contraevano, ma la sua gola non poteva emettere alcun suono.

Allora il dottore ha aperto l’addome, da cui sono usciti improvvisamente sangue e intestini. Il dottore ha spinto da un lato gli intestini e ha iniziato velocemente a liberare un rene. Un altro dottore ha cominciato quindi a togliere il rene dal lato opposto.

In seguito ho sentito che un dottore mi chiedeva di tagliare l’arteria e le vene; quando l’ho fatto, il sangue mi è schizzato addosso. Il suo sangue stava ancora scorrendo, il che voleva dire che era vivo.

Le azioni dei dottori erano competenti e veloci. Hanno messo i due reni in un contenitore termostatico.

Un altro dottore mi ha chiesto di prelevare i bulbi oculari.

Guardai la faccia dell’uomo, nella quale potevo vedere gli occhi che mi fissavano con estremo terrore. Mi sentivo come se mi stesse davvero guardando. I suoi occhi si muovevano, era vivo.

Mi si è annebbiata la mente, tremavo e mi sentivo debole, non potevo muovermi. Era troppo orribile!

In quel momento mi sono ricordato che la notte prima avevo sentito un ufficiale dire al nostro responsabile qualcosa come «neanche diciottenne. Salute ottima e ancora vivo». Era lui? Stavamo prelevando degli organi da una persona viva. Era orribile.

Ho detto al dottore che non potevo farlo.

Allora un altro dottore con la mano sinistra ha spinto brutalmente la testa dell’uomo sul pavimento, mentre teneva una palpebra sollevata con due dita. Poi con la mano destra ha estratto un bulbo oculare con il forcipe.

Dopo tutto questo non riuscivo a fare più niente, rabbrividivo e sudavo, ero sull’orlo di un collasso.

Quando tutto è finito, un dottore ha bussato su un lato del furgone. Un soldato che sedeva sul sedile anteriore ha iniziato a parlare alla radio, subito sono arrivati quattro soldati che hanno avvolto il corpo, ormai inerte, nel sacco di plastica, per lanciarlo poi dentro il camion militare.

Siamo stati riportati in fretta all’ospedale, e quando siamo entrati con gli organi nella sala operatoria, un gruppo di medici era già lì, pronto al trapianto.

Sono tornato a casa in preda alla paura e allo shock e mi è venuta la febbre. Non riuscivo a dire niente a nessuno di quello che era successo. Nessuno della mia famiglia lo sa. Subito dopo quell’intervento, ho lasciato l’ospedale militare generale di Shenyang.

Tuttavia la mia mente era sempre in preda al panico: avevo assistito con i miei occhi alla tortura e all’uccisione di un essere umano. La pressione mentale mi ridusse in uno stato pietoso.

Per un periodo lunghissimo, di giorno e di notte, vedevo gli occhi quell’uomo pieni di dolore e orrore, che mi fissavano.

Per anni non ne ho parlato, perché ogni volta che ci pensavo avrei potuto svenire.

Quando i mezzi di informazione all’estero hanno iniziato a denunciare il prelievo di organi dai praticanti del Falun Gong [nel 2006, ndt], seppi con assoluta certezza che era tutto vero. Pratiche di questo tipo esistono da molto tempo nel sistema militare del Partito comunista cinese. La persecuzione del Falun Gong gli ha solo offerto una sorgente maggiore di organi.