Controllo della fame e carboidrati (P2)

di Redazione ETI/Jason Fung
7 Marzo 2025 19:15 Aggiornato: 7 Marzo 2025 19:15

Sentire fame è normale, ma cosa succede quando diventa un ostacolo alla perdita di peso? Molti credono che mangiare più spesso aiuti a controllarla, ma è davvero così? Il consiglio più comune suggerisce di consumare sei o sette piccoli pasti al giorno per evitare la fame e prevenire le abbuffate. L’idea di mantenere la fame sotto controllo per fare scelte alimentari migliori sembra sensata, ma è davvero la soluzione giusta? Anche teorie come “Mangia meno, muoviti di più” o “Calorie in, calorie out” sembravano logiche, ma si sono rivelate inefficaci. Le apparenze possono ingannare, quindi è essenziale analizzare più a fondo la questione.

La fame è il principale fattore che determina quanto si mangia. Si può decidere di ridurre le porzioni, ma non di avvertire meno fame. Se si mangia meno ma si continua ad avere fame, nel tempo questa condizione diventa difficile da sostenere. Alla prima occasione, si tenderà a mangiare di più, combattendo costantemente contro il proprio corpo. Ridurre la fame, invece, porta a mangiare meno in modo naturale, collaborando con l’organismo invece di contrastarlo.

Come il dottor Fung spiega nel suo libro The Obesity Code, l’obesità non dipende semplicemente da un eccesso di calorie, ma da uno squilibrio ormonale, in particolare dall’iperinsulinemia. Il principale motivo per cui si assumono più calorie non è la mancanza di volontà, ma la fame, regolata dagli ormoni. Si può scegliere cosa mangiare, ma non si può decidere di avvertire meno fame. A lungo termine, è proprio la fame a determinare quanto si mangia.

D’altra parte, il dispendio energetico dipende soprattutto dal metabolismo basale, ossia l’energia necessaria per mantenere in funzione gli organi vitali e regolare la temperatura corporea. L’attività fisica influisce in minima parte su questo processo. Non si può decidere di aumentare il metabolismo, anche perché non è stabile nel tempo: può variare fino al 40% in base agli ormoni.

L’accumulo di grasso, anche secondo il modello “Calorie in entrate, calorie in uscita”, è un problema ormonale piuttosto che una scelta consapevole. Nessuno decide volontariamente di ingrassare, si tende a mangiare di più perché la fame non viene soddisfatta. Le cause possono essere molteplici, sia mentali che fisiologiche. L’obesità non è una questione di forza di volontà o di cattive scelte, ma una condizione che merita comprensione. Ridurre semplicemente le calorie senza affrontare il problema ormonale non porta a risultati duraturi.

Esistono prove scientifiche che dimostrano come mangiare più spesso aiuta a ridurre la fame? No. Questa idea è stata ripetuta così tante volte da diventare credibile, ma non si basa su evidenze reali. È stata in gran parte promossa dall’industria degli snack per aumentare le vendite. Fino agli anni ’70, la maggior parte delle persone consumava tre pasti al giorno: colazione, pranzo e cena. Gli spuntini erano rari e considerati un’eccezione piuttosto che una pratica salutare.

Mangiare frequentemente è anche poco pratico. Se si deve mangiare sei o sette volte al giorno, quando si ha il tempo di lavorare o svolgere altre attività? Inoltre, il corpo immagazzina energia sotto forma di grasso proprio per fornire calorie nei momenti di bisogno, eliminando la necessità di mangiare continuamente. Ma mangiare spesso aiuta davvero a prevenire la fame?

Facciamo un confronto. Se si ha bisogno di urinare, qual è la soluzione più semplice?

  1. Trattenere l’urina fino a trovare un bagno.
  2. Espellere solo una piccola quantità e poi fermarsi volontariamente, ripetendo l’operazione più volte al giorno.

Una volta iniziato, fermarsi diventa difficile. Un oggetto in movimento tende a restare in movimento finché qualcosa non lo ferma. Lo stesso principio vale per la sete. Qual è la soluzione più semplice?

  1. Bere fino a placare la sete quando si trova dell’acqua.
  2. Bere un solo sorso e poi fermarsi volontariamente, ripetendo il processo più volte al giorno.

Anche in questo caso, una volta iniziato a bere, si tende a continuare fino a quando la sete non è soddisfatta. Per il cibo vale lo stesso principio.

Si potrebbe pensare che mangiare poco e spesso aiuti a prevenire l’eccesso di cibo. Se fosse vero, quale sarebbe lo scopo degli antipasti? I famosi hors d’oeuvre francesi vengono serviti “prima del pasto principale”. Qual è il loro obiettivo? Far sì che gli ospiti mangino meno? Ovviamente no. Gli antipasti sono pensati per stimolare l’appetito, non per ridurlo. Un piccolo assaggio gustoso aumenta la fame, non la placa, perché attiva il desiderio di mangiare.

Mangiare frequentemente, quindi, non solo non aiuta a controllare la fame, ma potrebbe addirittura aumentarla. In francese, il termine “amuse-bouche” significa letteralmente “qualcosa che diverte la bocca”. Il suo scopo? Stimolare l’appetito e incentivare il consumo del pasto successivo. Può trattarsi di ostriche, uova ripiene o frutta secca. Non viene servito per saziare, ma per preparare il palato a un pasto più elaborato. La tradizione di stimolare l’appetito è presente in molte culture. Gli antichi Greci e Romani offrivano ai loro ospiti piccoli pezzi di pesce, verdure condite, formaggio e olive. Lo scrittore rinascimentale italiano Platina, autore di una delle prime opere di gastronomia del Rinascimento, consigliava sottili involtini di vitello grigliato. Una porzione troppo abbondante attiverebbe gli ormoni della sazietà, riducendo l’appetito, mentre una piccola porzione lo stimola. Questo principio è noto da secoli e chiunque abbia organizzato una cena lo conosce bene.

Capita spesso di non avere fame al mattino, ma di mangiare comunque perché la colazione è considerata il pasto più importante della giornata. Nonostante l’assenza di appetito iniziale, una volta iniziato a mangiare si finisce per consumare un pasto completo. Questo dimostra che mangiare può stimolare ulteriormente l’appetito. Tuttavia, viene spesso sconsigliato di saltare un pasto o uno spuntino.

Seguire il consiglio di consumare sei o sette piccoli pasti al giorno significa introdurre continue stimolazioni dell’appetito senza mai raggiungere una vera sazietà. Questo approccio non riduce la fame, ma la aumenta, richiedendo uno sforzo costante per controllarla. Si contano le calorie, ma non si considera la volontà necessaria per fermarsi. Questo processo si ripete ogni giorno.

Mangiare frequentemente per ridurre l’appetito è un’idea errata. Se un medico o un dietologo suggerisce questa strategia, è meglio ignorarla. Se mangiare spesso accresce l’appetito, il contrario è altrettanto vero: mangiare meno frequentemente lo riduce. Questo principio è supportato da evidenze scientifiche.

DIGIUNO E SENSO DI FAME

La grelina, scoperta nel 1999, è conosciuta come l’ormone della fame. Stimola l’ormone della crescita e aumenta l’appetito. Per una perdita di peso duratura, è fondamentale ridurne i livelli.

Uno studio ha monitorato i livelli di grelina durante un digiuno di 33 ore, misurandoli ogni 20 minuti. I dati hanno mostrato che la grelina è più bassa intorno alle nove del mattino, momento in cui anche la fame è minima secondo i ritmi circadiani. Questo suggerisce che la fame non dipende solo dal tempo trascorso dall’ultimo pasto. Nonostante il lungo digiuno notturno, la sensazione di fame al mattino è ridotta.

I livelli di grelina aumentano in corrispondenza di pranzo, cena e colazione del giorno successivo, dimostrando che la fame è in parte un’abitudine. Tuttavia, se un pasto viene saltato, la grelina non continua a salire indefinitamente. Dopo un primo picco, i livelli calano spontaneamente, indipendentemente dal consumo di cibo. La fame si manifesta a onde: se ignorata, si attenua dopo circa due ore. Inoltre, dopo 24 ore di digiuno, i livelli medi di grelina diminuiscono, indicando che l’assenza di cibo riduce l’appetito.

Questa esperienza è comune. Se si è impegnati e si salta il pranzo, la fame si fa sentire all’una del pomeriggio, ma spesso scompare nel giro di un paio d’ore, magari con l’aiuto di una bevanda calda. Lo stesso accade con la cena. Studi dimostrano che la grelina diminuisce indipendentemente dai livelli di insulina o glucosio. Mangiare di più può aumentare la fame, mentre ridurre la frequenza dei pasti può attenuarla.

Lo stesso effetto si osserva con il digiuno prolungato. Dopo tre giorni senza cibo, i livelli di grelina si riducono gradualmente. Chi affronta un digiuno prolungato spesso riferisce di non provare più fame, contrariamente alle aspettative. Molti notano di sentirsi sazi più rapidamente una volta ripreso a mangiare, suggerendo un possibile adattamento fisiologico.

Esistono differenze tra uomini e donne. Nei primi, l’effetto sulla grelina è lieve, mentre nelle donne si registra una riduzione più marcata, suggerendo un maggiore beneficio dal digiuno. Molte donne riferiscono che il digiuno ha eliminato del tutto le voglie di cibo, un effetto che potrebbe avere basi fisiologiche.

A differenza delle diete ipocaloriche, il digiuno intermittente e prolungato affronta il problema principale del sovrappeso: la fame. La riduzione dei livelli di grelina durante il digiuno facilita il controllo dell’appetito, rendendo più semplice mangiare meno e perdere peso in modo sostenibile.

Il dottor Jason Fung è un medico nefrologo, ricercatore e autore best-seller, noto per i suoi studi sul digiuno intermittente e sulla gestione di obesità, diabete e malattie metaboliche. Attualmente esercita a Toronto, Canada. Attraverso i suoi libri, come “The Obesity Code” e “The Diabetes Code”, ha sfidato le teorie tradizionali sulle malattie metaboliche, promuovendo approcci alimentari innovativi. È co-fondatore di The Fasting Method, un programma che aiuta le persone ad adottare il digiuno intermittente per migliorare la salute.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

 

Ripubblicato da TheFastingMethod.com

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